Villa Tugendhat di Mies van der Rohe è una delle pietre miliari dell’architettura moderna e incarna lo stile essenziale, quasi scultoreo del suo creatore.

Mies van der Rohe – nel segno della coerenza

Solo seguendo il percorso evolutivo del celebre architetto sarà possibile comprendere il mood dell’altrettanto celebre abitazione.

Ludwig Mies van der Rohe nacque nel 1886 ad Aquisgrana, città tedesca della Renania.
Il padre aveva un’impresa di marmi funebri e una lunga esperienza da muratore e scalpellino. La città, pur nell’incipiente industrializzazione, mostrava un tessuto urbano secolare. Per citare il futuro architetto: “edifici molto semplici ma molto chiari e slegati dal tempo. Tutti i grandi stili erano passati, loro erano rimasti”.

La trama delle sue percezioni visive e l’attitudine a scavare l’essenza della materia lo allontanarono dalla fascinazione per le mode. Gli assoluti della  filosofia estetica incarnarono i suoi principi ispiratori.

La formazione

Mies van der Rohe studiò tecniche di costruzione, disegno e matematica e lavorò come operaio e scalpellino alla manutenzione della cattedrale romanica della città. Apprendista architetto in più studi, si specializzò alla Scuola di Arti Applicate e Belle Arti di Berlino.

Dopo alcuni lavori giovanili, ottenne una borsa di studio che gli permise di visitare l’Italia (Roma, Firenze e Vicenza – palazzo Pitti e le ville palladiane), quindi iniziò a lavorare per l’architetto Peter Behrens.
In quel contesto conobbe Le Corbusier e Gropius e progettò abitazioni e monumenti, per poi staccarsi da Behrens e aprire un proprio studio personale a Steglitz (zona sud di Berlino) e sposare Adele Bruhn, madre dei suoi tre figli.

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Vista essenziale di uno spazio architettonico di Mies van der Rohe a Berlino – Foto ©H.Dobbertin by Pixabay

Le influenze estetiche e i progetti

Al termine del primo conflitto mondiale, separatosi dalla moglie, si avvicinò alle influenze Dada e alle avanguardie. In questo periodo iniziò a considerare l’impiego di materiali moderni (come acciaio e vetro).
Con questi e col cemento armato, progettò i primi grattacieli e gli scheletrati delle ville di campagna. Intanto curava soluzioni d’arredo e creò la sedia MR20, icona dell’interior design, con una struttura in tubi d’acciaio cromato e una seduta di corteccia di giunco.

Nel 1929, per la Repubblica di Weimar, progettò il padiglione tedesco all’esposizione universale di Barcellona, separando nettamente componenti portanti e di collegamento. In collaborazione con Lilly Reich, la nuova compagna, disegnò la famosa poltrona Barcelona: due linee curve d’acciaio cromato e cuscini di pelle di bovino.

Nello stesso periodo, in Cecoslovacchia, a Brno, Mies van der Rohe lavorò a tempo pieno alla progettazione di Villa Tugendhat, a breve focus principale dell’articolo.

Il Bauhaus

Nel 1930, ebbe l’opportunità di dirigere la scuola del Bauhaus, in cui propose una linea didattica in equilibrio tra una scuola di arti e mestieri e un istituto di architettura.

La scuola, troppo politica per il regime nazista, dovette chiudere i battenti e l’ex direttore migrò negli Stati Uniti.

Il periodo americano

Mies van der Rohe insegnò all’Armour Institute di Chicago (oggi IIT), concentrandosi su tecniche del disegno, materiali e funzioni degli spazi.
Divenuto cittadino americano, lavorò a diversi nuovi progetti, tra cui: casa Farnsworthe, la Crown Hall all’Armour, la Convention Hall di Chicago e le due torri del Lake Shore Drive Apartments.

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Immagine della Farnsworth house – Foto @julielion by Flickr

Premi e riconoscimenti

Nell’arco della sua vita professionale ricevette molti premi ed entrò nell’American Academy of Arts and Science. Nel 1947, il MoMA di New York gli dedicò anche una personale.

Ritrovò anche i contatti col vecchio continente, facendo accesso all’Akademie der Künste di Berlino e ricevendo la medaglia d’oro del Royal Institute of British Architects e l’inclusione nell’Académie d’architecture di Parigi.

Il pensiero e lo stile

Mies van der Rohe mise al centro della sua attività le caratteristiche di praticità degli edifici, cercando contiguità tra forme, bisogni e funzioni.

Gli viene spesso attribuita la frase ‘less is more’, non realmente sua, ma suo motto interiore. Per lui la semplificazione aveva natura filosofica, avvicinando l’architettura all’arte. Esaltò sempre il minimalismo della forma che può nascere solo dalla sottrazione.

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Particolare del Padiglione Barcellona – Foto @D.Lobo by Flickr

Villa Tugendhat di Mies van der Rohe

La Villa Tugendhat di Brno, nell’odierna Repubblica Ceca, è a tal punto importante, nella storia dell’architettura, da appartenere al patrimonio culturale dell’UNESCO. Non si esagera se la si definisce una delle abitazioni più famose del XX secolo.

Nacque in continuità con il Padiglione di Barcellona, sul fil rouge della declinazione degli spazi nel movimento delle linee progettuali. Una liberazione dello sguardo che scansiona agevolmente l’interno dell’abitazione.

Villa Tugendhat – le caratteristiche

È un’abitazione molto spaziosa, che include mini appartamenti dedicati al personale. Gli ambienti hanno grande respiro e le separazioni interne sono ridotte al minimo e inondate di luce.
Le pareti esposte a sud e le facciate del giardino sono state concepite e realizzate in vetro, dai basamenti ai soffitti.

Così la casa è divenuta iconica, nella storia dell’architettura, per la sua concezione a pianta aperta, con lastre in vetro a scomparsa completa nel pavimento del soggiorno, che sembrano rimarcare, in chiave poetica, la continuità tra interno ed esterno. Moduli a scorrimento e viste progressive completano il visual.

I materiali di costruzione, scelti senza badare a spese, includono marmi, onice, legno di gran pregio e putrelle d’acciaio di segno minimal e raffinato. Anche le infrastrutture tecnologiche per la climatizzazione, l’umidificazione e l’aerazione, molto innovative per quel periodo, vennero realizzate con materiali e tecniche innovativi.

Mies van der Rohe volle occuparsi anche dell’arredamento, purtroppo saccheggiato nel dopoguerra. Disegnò una serie di mobili incorporati (buil-in), come un elegante tavolo, col top in legno, appoggiato su una base cromata, incassata come i pilastri di sostegno della casa. Nella zona giorno erano collocate anche le poltrone Barcellona, citate più sopra, il cui profilo trasponeva la sagoma di un paio di forbici.

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Vetrate di villa Tugendhat – Foto @BM by Flickr

Le traversie storiche

La villa è sopravvissuta a molte traversie, durante la storia. Le magnifiche vetrate originali sono state distrutte dalle incursioni aeree del secondo conflitto mondiale e l’edificio è stato occupato dalla polizia politica dopo la fuga della famiglia proprietaria, di origini ebraiche.

Successivamente è stata occupata dalle truppe sovietiche, è stata una scuola di danza, un ospedale per l’infanzia, e ha ospitato la firma dei trattati di separazione tra le Repubbliche Ceca e Slovacca (1992).

Solo negli anni 2000, dopo l’inclusione nel set di beni UNESCO, è partita la ristrutturazione più importante. L’operazione è stata supervisionata da una squadra di esperti provenienti da tutto il mondo e, secondo una stima, è riuscita a recuperare quasi l’80% della struttura.

Entrata a far parte del patrimonio immobiliare della città di Brno, la villa oggi è un museo aperto al pubblico, in quasi tutti i giorni della settimana, per almeno 8 ore. Pare che il periodo migliore per una visita sia la fase del crepuscolo dell’estate, quando le ultime lame di luce che emergono dalle nuvole esaltano i colori caldi racchiusi dalla facciata di vetro.

Paolo Servi

©Villegiardini. Riproduzione riservata

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