Tutto ciò che ci circonda racconta delle storie. I volti, gli oggetti, le persone. Potremmo guardare al mondo come ad una fitta rete di trame, che si incontrano, si incrociano e si scontrano. È come al racconto di una storia molto particolare che bisogna guardare il giardino di Villa Durazzo Pallavicini a Pegli, quartiere residenziale del ponente di Genova.
Realizzato per volere del nipote della marchesa Clelia Durazzo, Ignazio Alessandro Pallavicini, il parco di epoca romantica è uno dei maggiori giardini storici a livello nazionale. La mente che ha concepito l’intero percorso, tra il 1840 ed il 1846, è stata quella di Michele Canzio, scenografo del Teatro Carlo Felice, nonché maestro presso l’Accademia Ligustica di Belle Arti.
Le idee massoniche del marchese Pallavicini hanno influenzato considerevolmente lo sviluppo del percorso narrativo messo in scena dal giardino. Il racconto è, infatti, suddiviso in un prologo e tre atti, di quattro scene ciascuno. Attraverso le architetture, le sculture ed il paesaggio naturale si articola una chiara rappresentazione visiva ed esperienziale del cammino di conoscenza massonico-esoterico. Dalla morte in vita alla rinascita in vita.
Si parte, così, dal prologo, ovvero, il piazzale della villa che ci immette su un viale, arricchito dalla presenza di lecci e allori. Al termine del viale vi è l’Arco di Trionfo, la cui iscrizione avverte il visitatore del fatto che si sta per affrontare un passaggio: le preoccupazioni della vita quotidiana devono essere abbandonate per immergersi nella quiete della natura. È la prima richiesta che viene fatta all’iniziando: fare silenzio, ovvero, raccogliersi in se stessi.
Immediatamente si entra nel primo atto, dove è presente una delle più antiche collezioni italiane di camelie, piante di origini asiatiche, importate in Italia – dal Giappone – nella seconda metà del ‘600, dal missionario gesuita Georg Joseph Kamel. La fioritura delle camelie, in primavera, colorano questa parte del parco ottocentesco con una palette di colori che va dal bianco al rosso, passando per il rosa. Attraversato il bosco di camelie, si risale una parte di collina tra il profumo dei pini marittimi. Alla sommità della pineta ha inizio il secondo atto.
Prima di procedere, all’iniziando è richiesto di conoscere la storia intera. E, allora, delle finte rovine medievali simboleggiano il succedersi stesso della Storia. La cappelletta gotica della Madonna, il castello, il mausoleo del Capitano, le tombe degli Eroi e la casa colonica (anch’essa in stile medioevale) rievocano gli eventi epici ispirati al mondo cavalleresco, che non solo è un leit-motiv del mondo romantico, ma è anche un omaggio a quel mondo che, nel corso del Medioevo, ha custodito il segreto iniziatico.
Con il terzo ed ultimo atto si entra nel cuore di tutto il percorso. L’iniziando, ora, può accedere all’interno di una grotta (solo oggi chiusa al pubblico), che simboleggia la cosiddetta nigredo, o opera al nero, processo di morte a se stessi, di morte in vita, di rinunzia al proprio ego illusorio. Dopo questo passaggio attraverso gli inferi interiori, si accede alla grandiosa scenografia del Lago Grande, simboleggiante la catarsi della purificazione e della rinascita, è l’opera al bianco, o albedo. Per costruire la propria scenografia, poi, il Canzio si serve di elementi fortemente simbolici: il tempietto neoclassico dedicato a Diana (divenuto simbolo dell’intero parco), il ponticello in ferro in stile orientale, la pagoda cinese, l’obelisco egizio e il tempio turco.
Si conclude in bellezza con il Casino di Flora, ovvero, una costruzione a base ottagonale, che presenta all’interno un gioco di specchi contrapposti che proietta all’infinito l’immagine dell’iniziato/spettatore all’interno della sala. Si è accolto il divino al proprio interno, il viaggio verso l’infinito è concluso.
Piero Di Cuollo
Via VillaPallavicini
Fonte immagini: Visitgenoa.it