L’Urlo è il famoso dipinto realizzato nel 1893 dall’artista norvegese Edvard Munch, che appartiene al movimento del proto-espressionismo. È la raffigurazione distorta di un uomo il cui volto si contrae in una smorfia di intenso terrore. L’opera è diventata una delle immagini più rappresentative dell’arte moderna, il volto trasfigurato incarna l’emblema dell’ansia e del malessere della natura umana. Sono otto le versioni de “L’Urlo” (Skrik in lingua originale) realizzate da Munch attualmente conservate al Munch Museum di Oslo: un disegno a pastello su cartoncino del 1893; un dipinto tempera e olio su cartone presumibilmente del 1910 e sei litografie.
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Edvard Munch e la genesi de L’Urlo
«Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto a una palizzata. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura… E sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.»
Il pittore norvegese Edvard Munch (12 dicembre 1863 – 23 gennaio 1944) descrisse nel suo diario, come in un racconto, l’esperienza che lo portò alla realizzazione del suo più famoso dipinto. È dunque autobiografica la matrice che ha ispirato un’opera diventata il simbolo, nella storia dell’arte, della fragilità umana.
Munch conobbe ben presto la malattia e il lutto e fin da bambino visse ossessionato dal fantasma della malattia mentale, manifestatosi di frequente nella sua famiglia (la sorella Laura Catherine soffriva di un disturbo ossessivo-depressivo).
Studente presso la Scuola Reale di Arte e Design di Kristiania (l’attuale Oslo), entrò a far parte del circolo dei bohèmien e fu Hans Jæger, influente figura intellettuale e politica del gruppo, a incoraggiare il giovane Munch a riversare nella pittura le sue emozioni e gli stati psicologici: è questo il suo tratto distintivo, la sua ‘pittura dell’anima’. Più cresceva la sua fama e più il suo stato emotivo diveniva fragile: nel 1890 ebbe un esaurimento nervoso che lo obbligò a smettere con l’abuso di alcool. Trascorse gli ultimi anni della sua vita in volontaria solitudine.
Descrizione de L’Urlo di Munch e il suo significato
In un sentiero verso la collina di Ekberg, frequentemente confuso con un ponte, nella città di Oslo, vi è un uomo, in primo piano, la cui la figura è trasfigurata dalla potenza del suo stesso urlo, tanto acuto e lancinante da espandersi e deformare lo spazio circostante e la sua stessa silhouette, impastando il tramonto e l’orizzonte. La scena diventa totalizzante e metafora universale dell’angoscia collettiva umana, del dolore, della paura. Il terrore, rappresentato da una bocca troppo grande e distorta, inghiotte l’occhio dello spettatore in una smorfia sofferente, destabilizzandolo, provocando un evidente squilibrio. È un pessimismo non solo personale ma soprattutto sociale in cui la corrente culturale fin de siècle vedeva il crollo dei valori di un’epoca e di un modello di vita, nello stesso periodo in cui Sigmund Freud si addentrava nello studio degli abissi del subconscio.
L’Urlo non è solo la descrizione di uno stato emotivo collettivo complesso ed estremo che vede nella paura e nel grido il suo sfogo è anche una denuncia verso l’ipocrisia di molti rapporti umani, spesso disinteressati e sordi, indifferenti e insensibili. Munch ce lo mette davanti in maniera diretta, asciutta, nelle due figure ferme sullo sfondo, immuni alla deformità del dolore.
Lo stile de L’urlo, le quattro versioni e i due furti
Il forte effetto espressivo de L’Urlo è reso grazie all’utilizzo sapiente e curato dei colori come azzurro-arancio e rosso-verde, che enfatizzano il cromatismo dell’opera. Non è un caso che Munch abbia collocato i colori caldi nella parte superiore del dipinto lasciando quelli scuri e freddi in basso: un espediente per controbilanciare la composizione inferiore. I colori chiari fanno da cornice al volto del personaggio, questo non fa altro che risaltare e aggiungere maggiore pathos alla sua espressione. Il gioco di linee del parapetto impedisce al soggetto di scomparire nella fluidità dello spazio e, anzi, lo colloca al centro dell’occhio di chi guarda. Le due figure, dritte sullo sfondo, segnano un confine oltre il quale lo sguardo non può perdersi.
Munch realizzò diverse versioni de L’Urlo:
la prima versione dipinta venne esposta lo stesso anno della sua realizzazione alla National Gallery of Norway di Oslo (ora al Museo Munch) e riporta la scritta a matita “Kan kun være malet af en gal Mand!” – “poteva essere dipinto solo da un pazzo”. La seconda, in pastello, è conservata nella collezione del Museo Munch di Oslo. La terza, in pastello, e unica in cui una figura dello sfondo si affaccia sul parapetto del sentiero, era di proprietà di Hugo Simon, un collezionista d’arte ebreo che la vendette all’armatore norvegese Thomas Olsen nel 1937. Venne battuta all’asta per circa 120 milioni di dollari da Sotheby’s il 2 maggio 2012 e se la aggiudicò il finanziere Leon Black (asta peraltro contestata dagli eredi di Simon). La quarta, dipinta, è del 1910, periodo in cui Munch stava rivisitando alcune sue opere precedenti, è conservata anch’essa nella collezione del Museo Munch.
L’Urlo di Edvard Munch è stato rubato ben due volte: la versione del 1893 nella National Gallery di Oslo il 12 febbraio 1994, giorno in cui inauguravano i XVII Giochi olimpici invernali per mano di due uomini, che in soli cinquanta secondi si introdussero indisturbati nel polo museale, lasciando al posto del dipinto un biglietto con scritto «grazie per le misure di sicurezza così scarse». L’opera venne ritrovata intatta tre mesi dopo in un albergo di Åsgårdstrand.
La versione de L’Urlo del 1910, esposta presso il Museo Munch, venne trafugata, invece, il 22 agosto 2004 insieme ad un’altra opera dell’autore, Madonna. Le due tele vennero ritrovate il 31 agosto 2006, e ritornarono in esposizione al museo nel 2008, dopo essere state restaurate.
Attualmente il Munch Museum di Oslo ne custodisce otto versioni facenti parte della Collezione dedicata all’artista: una in vernice e una in pastello del 1893; sei stampe litografiche del 1895 e un dipinto del 1910. Tutte sono in carta o cartone, questa peculiarità rende le opere estremamente sensibili a fattori atmosferici come la luce, gli sbalzi di temperatura, l’umidità, che possono provocare un deterioramento del colore e del supporto. È questo il motivo per il quale in mostra, a rotazione, viene esposta sempre e solo una delle versioni de L’Urlo: il dipinto, il disegno o la stampa.
L’Urlo nella cultura di massa
Lo status iconico de l’Urlo ha fatto sì che venisse imitato, parodiato e persino copiato dopo la scadenza del suo copyright. L’Urlo è comparso in serigrafie, nelle copertine di libri; è diventato una maschera, utilizzata anche per e nel cinema; una delle quattro versioni è stata persino scelta come francobollo dal servizio postale norvegese. Che dire, poi, dell’emoji 😱 ‘Faccina che urla di paura’ che tutti conoscono e usano costantemente nei messaggi? Ebbene, sì, è L’Urlo di Munch.
Il Munch Museum di Oslo
Un imponente e modernissimo edificio sovrasta il panorama metropolitano di una Oslo al tramonto, è il nuovo Munch Museum che sembra chinarsi con riverenza alla vivacità della capitale norvegese. È cinque volte più grande del vecchio museo. Il palazzo si erge a sessante metri di altezza, è rivestito con pannelli di alluminio di forma ondulata totalmente riciclati che infondono diversi livelli di trasparenza. La facciata, creata ad hoc per riflettere i raggi solari e schermare la luce, permette di avere all’interno una temperatura stabile. Il progetto è stato realizzato dallo Studio Herreros che ha subito sposato scelte architettoniche sostenibili con l’ambiente, l’edificio, infatti, nonostante la sua imponenza, produce meno della metà delle emissioni generate da altri edifici simili.
Il complesso nasce dalla necessità di omaggiare il lascito dell’artista: Munch muore nel 1944, non avendo eredi, dona il suo cospicuo patrimonio artistico alla sua città: 4500 disegni e acquerelli, 1100 dipinti, 18000 opere grafiche, 6000 libri, una raccolta epistolare e documenti vari entrano a far parte della Collezione Munch. (Autoritratto con sigaretta, uno dei suoi dipinti più iconici). Il trasloco delle opere nel nuovo complesso museale è stato un lavoro complicato: i quadri monumentali (tra i quali i Ricercatori e il Sole, dipinti per ispirare gli studenti universitari di Oslo) sono stati spostati via mare, sollevati con una gru fino al sesto piano e inseriti all’interno dell’edificio attraverso un’apertura di sette metri, sigillata, poi, subito dopo.
Il Munch Museum è ad oggi, uno dei più vasti musei dedicati a un unico artista, sebbene all’interno del complesso di tredici piani si svolgano numerosi eventi di musica, danza, letteratura rivolti a ogni tipologia di pubblico e esposizioni d’arte contemporanea di livello mondiale, il tutto incorniciato dalla spettacolare vista della città sul fiordo. Non mancano punti di ristoro come il Tolve bistro al dodicesimo piano o il cocktail bar Karen all’ultimo piano; o posti come il MUNCH Deli & Caffè al piano terra dove è possibile acquistare un cestino da picnic e ritrovarsi davanti all’Opera beach, una spiaggia di fronte al museo dove fare il bagno tutto l’anno. Un quartiere di tendenza, il Bjørvika, che unisce all’arte il piacere dell’intrattenimento e del relax. La posizione centrale, il ricco ventaglio di proposte culturali offerte dal museo MUNCH, pongono la struttura come uno dei maggiori poli di riferimento nella crescita della comunità.
©Villegiardini. Riproduzione riservata
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