Negli anni ’60, l’architetto inglese Ronald J. Herron, assieme ai colleghi Cook, Crompton, Chalk, Webb e Green, diede vita ad un gruppo d’avanguardia architettonica (Archigram) e ad un’idea (Walking city).
Archigram aveva sede presso l’Architectural Association di Londra e si proponeva di trarre “linfa ideale” e ispirazione dalle innovazioni tecnologiche per creare nuovi profili urbani.
Le idee di Archigram erano, per lo più esercizi teorici, rimasti a livello di progetto, che costruivano contenuti per riviste del settore, come Architectural Design, o ipotesi di allestimento per mostre a tema.
Le più sofisticate evoluzioni dei materiali venivano narrate in termini di adattamento, mobilità e proiezioni su “sliding doors“, con un segno un po’ futurista e un po’ glamour.
Il limite di questi studi era soprattutto la mancata esplorazione delle problematiche sociali ed ecologiche, che negli anni succ essivi si sono fatte sempre più pressanti.
Nel 1964, scrivendo proprio su Architecture Journal Archigram, Ron Herron lanciò un’idea con venature quasi fantascientifiche: la costruzione di grandi strutture robotiche semoventi, “città che camminano“, capaci di muoversi sul territorio, incontrarne altre con cui collegarsi, disperdersi se non più necessarie.
La tecnologia avrebbe dovuto offrire il movimento, una capacità di autoriparazione e di modifica continua a questi robot abitabili, per far evolvere le città quasi come organismi viventi.
Tutta questa premessa era necessaria per arrivare a segnalarvi quella che ritengo una delle più raffinate opere artistiche digitali degli ultimi anni: “Walking city” … “Città che cammina“, appunto.
Walking city – l’animazione
Walking City, opera visuale di 8 minuti, prodotta dallo studio Universal Everything, curata nella direzione creativa da Matt Pyke e animata da Chris Perry sulla colonna sonora di Simon Pyke, porta davanti ai nostri sensi la narrazione dell’idea di Ron Herron.
L’animazione è davvero affascinante; l’antropo-città cammina e si adatta continuamente a quanto incontra: si muove, si plasma e destruttura e risponde agli “stimoli“ dell’ambiente invisibile che percepiamo circondarla.
Prendetevi qualche minuto e guardatela – sull’upload Vimeo o sul sito di Universal Everything – e lasciatevi rapire dal suo ritmo incalzante, quasi ipnotico. Se amate le animazioni, la creatività o le utopie vi intrigherà certamente.
L’opera ha vinto un premio ad Ars Electronica nel 2014 e, da allora, ha girato quasi ininterrottamente il mondo espositivo digitale, incontrando altri riconoscimenti. Ve la ricordo nella speranza che questo spunto ideativo non si perda nel tempo.
Per i credits, le immagini della cover e della gallery sono fotogrammi tratti dal video di Universal Everything.