Lee Miller: l’audace magnetismo degli esordi
Impavida, affascinante, eccentrica: è difficile dare una definizione univoca dell’americana Lee Miller, di cui arriva per la prima volta in Italia una retrospettiva in grado di restituirne tutta la potenza creativa.
Lanciata da una copertina di Vogue del 1927, che la rende famosa in tutto il mondo, intraprende una carriera da modella di elegante bellezza: brillante, ma breve. Pur essendo apprezzata, tra gli altri, da Edward Steichen, George Hoyningen-Huene o Arnold Genthe, oltre a diventare la musa di Man Ray, solo due anni dopo, all’urlo di “preferisco fare una foto, che essere una foto”, passa infatti dall’altra parte dell’obiettivo, mostrando una sensibilità artistica matura e fuori dal comune.
Il carisma a servizio dell’obiettivo
Con Ray instaura infatti un sodalizio artistico imprevisto e totalizzante, attraverso cui prende forma l’innovativa tecnica della solarizzazione. Diventa amica di Cocteau e Picasso, di Ernst e di Mirò, da cui si lascia influenzare nella visione surrealista della vita, che presto diventa cifra stilistica dei suoi scatti. È agli anni cosmopoliti parigini, infatti, che appartengono i sofisticati scatti Nude bent forward, Condom e Tanja Ramm under a bell jar, che si ispirano all’arte dell’image trouvé, con cui restituisce piccoli aspetti della quotidianità.
Gli anni della guerra
Al Cairo arriva la folgorazione della fotografia di reportage, studiando quasi con intenti antropologici le dinamiche strutturali del deserto e le rovine dei villaggi. Mette dunque in pratica il suo occhio critico allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, documentando i bombardamenti su Londra. Da Vogue a Time, passando per Life, è tra le poche fotografe donne corrispondenti di guerra, e ottiene l’esclusiva per seguire il lavoro di liberazione degli alleati durante il D-Day.
Il suo lavoro è ora illustrato in Surrealist Lee Miller, una mostra curata da ONO arte contemporanea e organizzata dal bolognese Palazzo Pallavicini fino al 9 Giugno: più di 100 fotografie iconiche narrano l’eccezionale personalità di un’artista che ha anticipato di un secolo i diritti rivendicati dal femminismo.
Sembravo un angelo fuori. Mi vedevano così. Ero un demonio, invece, dentro.
Chi avrebbe potuto concedere a una donna la possibilità di testimoniare, ad esempio, la liberazione dei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald? O gli scandalosi appartamenti di Hitler? O gli orrori dei sopravvissuti delle prigioni della Gestapo? Nessuno.
E infatti Lee Miller non aspettò il permesso: se lo prese, con buona pace degli animi più convenzionali.