Dal 18 febbraio all’11 giugno 2023 il Magazzino delle Idee di Trieste presenta la mostra Ritratti Africani. Seydou Keïta, Malick Sidibé, Samuel Fosso, a cura di Filippo Maggia. Ormai celebrati in tutto il mondo fra i protagonisti della fotografia dell’ultimo mezzo secolo, i tre artisti si sono stati scoperti in occidente solo in anni recenti e le loro storie personali hanno contribuito a rendere ancora più affascinanti le loro opere. L’esposizione, prodotta e organizzata da ERPAC – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia, presenta per la prima volta in Italia un’importante selezione di più di cento opere dei tre fotografi, messe a disposizione dalla C.A.A.C. The Contemporary African Art Collection di Ginevra, dalla Galleria Jean Marc Patras di Parigi, dalla Fondazione Modena Arti Visive e da numerosi prestatori privati. Seydou Keïta e Malik Sidibé nascono da famiglie modeste e iniziano la propria carriera in piccoli studi fotografici nella capitale del Mali, Bamako. Davanti al loro obiettivo sfilano i propri concittadini, in anni cruciali per la storia del Paese e dell’Africa. Essi immortalano con abilità straordinaria non solo una eccezionale galleria di volti e di figure, ma soprattutto catturano le aspirazioni, le mode, l’evoluzione di una società che a partire dagli anni Cinquanta muta rapidamente sia in conseguenza della riconquistata indipendenza politica del Mali nel 1960, ma anche del desiderio dei giovani africani di stare al passo con i propri coetanei europei.
Di una generazione successiva a quella di Keïta e Sidibé, Samuel Fosso riparte da dove gli altri avevano lasciato. Anche lui inizia la propria carriera in un piccolo studio fotografico senza l’ambizione di essere artista, ma la sua opera, che al bianco e nero alterna il colore, non si compone come quella di Keïta e Sidibé di ritratti di altri. Fosso inizia quasi per gioco a ritrarre sé stesso, e il suo lavoro si sviluppa attraverso autoritratti in cui egli interpreta ironicamente gli stereotipi dell’Africa vista con gli occhi dell’Occidente o in cui reincarna, a partire da Malcolm X, le figure simbolo dell’emancipazione dei neri. Il percorso si può configurare come una “staffetta”, come lo definisce il curatore Filippo Maggia, che permette di coprire un lungo periodo di storia africana. “Keïta – scrive Maggia – è attivo negli anni che precedono l’indipendenza del Mali (avvenuta nel 1960), Sidibé vive e racconta gli anni immediatamente successivi all’indipendenza, Fosso nasce negli anni in cui diversi Paesi africani raggiungono l’indipendenza. Una staffetta che riscontriamo anche nei contenuti delle loro immagini, come se il filo narrativo tracciato da Keïta alla fine degli anni Quaranta avesse poi trovato un suo percorso evolutivo che corre di pari passo con la progressiva conquista e manifestazione di una consapevole ‘africanità’, segno distintivo che leggiamo nei loro ritratti, che non casualmente divengono autoritratti in Fosso”. Attraverso il genere del ritratto, che per ragioni storiche, politiche, sociali e religiose è stato quello prediletto da molti fotografi africani, l’esposizione al Magazzino delle idee racconta dunque attraverso immagini di straordinaria bellezza un’Africa di rinascita e di ricerca della propria identità, documentando le aspirazioni sociali dei soggetti fotografati sullo sfondo di una realtà culturale, politica ed economica con caratteristiche e urgenze lontane da quelle occidentali.
Ritratti Africani: Seydou Keïta apre il suo studio nel nuovo quartiere di Bamako-Coura nel 1948, che diventa un luogo non solo di ritratti ma di incontro, dal suo atelier passa la borghesia di Bamako per farsi fotografare. In quegli anni, la gran parte dei clienti preferiva essere ritratta in abiti tradizionali africani che sovente Keïta “confonde” con i tessuti che fanno da fondale. Il risultato finale è un’immagine sfarzosa, nella quale il modello esprime sicurezza e autorevolezza. Nel 1960 il Mali diventa indipendente e Keïta fotografa gli anni di transizione e di ricerca della identità del suo Paese. Keïta è fotografo a disposizione della gente, i suoi ritratti non sono ambizioni artistiche, ritrae donne, bambini, uomini in posa davanti ai fondali che lui stesso crea. I soggetti si fanno ritrarre nei loro abiti tradizionali o vestiti all’occidentale con gioielli e acconciature curate: hanno la possibilità di farsi rappresentare come essi stessi si vedono, la dignità nei loro sguardi e la fierezza di mostrarsi liberamente. Le immagini esposte in mostra sono documenti storici, antropologici e sociali, come specchio di un’epoca e di una cultura, e un prodotto visivo con un valore artistico per la scelta dei fondali, degli oggetti di scena, della nitidezza e armonia delle foto. Seydou Keïta sceglie di fotografare in bianco e nero per tutta la sua vita.
Ritratti Africani: Malick Sidibé studia alla Scuola degli Artigiani Sudanesi di Bamako e nel 1955 si diploma in disegno e gioielleria. Invitato da Gérard Guillat-Guignard, conosciuto come Gégé la Pellicule, decora il suo “Photo Studio” e lì comincia a fotografare. Nel 1962 apre lo “Studio Malick” nel quartiere popolare di Bagadadji a Bamako dove svolge la sua professione di fotografo ritrattista. Sono passati quasi tre lustri dagli esordi di Keïta e il Paese ha da poco conquistato l’indipendenza. Il clima è effervescente, si guarda sempre all’Europa ma non più da colonia, ora s’importano le nuove mode per farle proprie. Negli anni Settanta i soggetti dei ritratti di Sidibé sono in gran parte giovani, una nuova generazione che vuole mettere in mostra la propria esuberanza e freschezza, ragazzi a cavallo di una motocicletta o travestiti da cacciatori, musicisti, boxeur o militari, giovani madri o gruppi di ragazze in abiti tradizionali. Sidibé documenta le feste che da mezzanotte continuano sino alle 4, alle volte sino alle 6 del mattino della domenica, per concludersi poi sulle rive del fiume Niger.
Ritratti Africani: Samuel Fosso inizia a lavorare come assistente fotografo giovanissimo, all’età di 12 anni, e solo un anno dopo apre il suo studio a Bangui, “Studio Photo Nationale”. Tra il 1975 e il 1978 produce una serie di autoritratti (inizialmente per finire i rulli e inviare sue fotografie alla nonna rimasta in Nigeria) raccolti sotto il titolo esplicativo “70’s Lifestyle”. Vedendo la trasformazione del proprio aspetto, la enfatizza indossando abiti occidentali, come pantaloni a zampa e camicie attillate, imitando le pose delle copertine degli LP. Ed è proprio attorno a questo concetto che poi Fosso costruisce il suo modus operandi, il teatro dell’immaginazione, intorno al quale sviluppa la sua produzione negli anni successivi, aggiungendo ogni volta sentimento e qualità politica al suo lavoro. Il processo di maturazione e perfezionamento di un’identità africana autonoma e ora capace di esprimersi criticamente verso il mondo occidentale sembra compiersi in Fosso passo dopo passo. Nel 1997 lavora per una catena di grandi magazzini francesi con la serie “Tati”. In questa serie appare lui stesso con costumi scenografici e interpreta vari personaggi. Nel suo lavoro ricerca costantemente l’identità andando oltre la semplice “messinscena”. Autoritratti creativi, performance e trasformismo: questa l’indagine che Fosso persegue nella ricerca della propria identità e di quella del suo continente.
Completa il percorso espositivo la ricostruzione di uno studio fotografico come quello di Keïta e Sidibé. Un’occasione per il visitatore di immedesimarsi nei luoghi e nell’atmosfera da cui sono nate molte delle fotografie in mostra, scattandosi un ritratto su un inedito set con arredi e oggetti vintage che richiamano proprio l’ambientazione delle opere esposte.