Jackson Pollock è stato uno dei più importanti pittori statunitensi del XX secolo. Morto a soli quarantaquattro anni, grazie all’uso del colore e al suo famoso dripping è considerato a ragione uno dei Maestri dell’espressionismo astratto e membro di spicco dell’action painting. La sua fortuna è collegata alla storia di Peggy Guggenheim, che per prima credette nel suo genio.
La difficile infanzia di Pollock
Jackson Pollock è il diminutivo più noto di Pauk Jackson Pollock. L’artista nacque a Cody, stato del Wyoming negli Stati Uniti, il 28 gennaio 1912. Era il più giovane di cinque fratelli. Il padre da agricoltore divenne un agrimensore alle dipendenze dello stato e si spostava continuamente. A prendersi cura dei figli era soltanto la madre, donna estremamente protettiva soprattutto nei confronti di Jackson. Visti i problemi a scuola, seguì spesso il padre nel suo lavoro, venendo fin da piccolo a contatto con i nativi americani.
Quando aveva appena otto anni, il padre però abbandonò la famiglia di cui si fece carico il fratello maggiore Charles. Jackson trascorse la sua gioventù tra l’Arizona e la California.
Studiò alla High School di Reverside e poi alla Manual Arts High School di Los Angeles, ma venne da tutte e due espulso per indisciplina per essere soggetto a grandi collere.
Gli studi a New York
Pollock si trasferì New York, con il fratello Charles. Qui studiò alla Art Students League sotto la guida di Thomas Hart Benton (1889-1975). Si trattò di una figura a tratti paterna, ma in fondo fu un modello sbagliato. Il pittore beveva molto e probabilmente Pollock, privo di una figura maschile di riferimento tese a imitarlo. Bisogna tra l’altro considerare che il giovane Pollock trascorreva molto tempo con Benton, badando spesso a suo figlio. Non solo Pollock era molto attratto dai soggetti campestri che questi ritraeva e gli rimase però impressa la sua tecnica.
Il legame con la natura e l’avversione nei confronti della grandi città rimase una costante dell’esistenza dell’irrequieto artista.
La tecnica di Pollock: il dripping e l’action painting
Nell’ottobre del 1945 sposò una nota pittrice statunitense, Lee Krasner, e il mese successivo si trasferirono in quello che è ora conosciuto come il Pollock-Krasmer House di Springs a Long Islands. L’artista ebbe i soldi in prestito da Peggy Guggenheim. Si trattava di una casa in legno con annesso un fienile, che Pollock trasformò in un laboratorio.
Fu in questo luogo appartato e nell’amata campagna che l’artista perfezionò la sua celebre tecnica di pittura spontanea con cui faceva colare il colore direttamente sulla tela stesa sul pavimento di cui egli stesso diceva: “Il mio dipinto non scaturisce dal cavalletto”. Questo suo gesto artistico è stato in seguito definito la tecnica del dripping (in italiano sgocciolatura). Per applicare il colore si serviva di pennelli induriti, bastoncini o anche siringhe da cucina.
La tecnica di Pollock è considerata alla base del movimento dell’action painting, uno stile molto vicino all’espressionismo astratto, ma va compreso meglio cosa si intende con questi termini.
Il colore in Pollock
Pollock arriva al dripping non all’improvviso ma attraverso un processo di avvicinamento. L’artista era stato introdotto all’uso del colore puro nel 1936, durante un seminario sperimentale tenuto a New York dall’artista messicano specializzato in murales David Alfato Siqueiros. Aveva quindi usato la tecnica di versare il colore sulla tela, una tra le diverse tecniche impiegate in quel periodo, per realizzare poi quadri come Male and Female, un olio su tela del 1942-1943.
Alle origini del dripping
Negli anni quaranta Pollock aveva assistito a delle dimostrazioni di sand painting (“pittura con la sabbia“) da parte di nativi americani. Anche i muralisti messicani e la pittura automatica dei surrealisti ebbero una certa influenza sulla sua arte.
Pollock negava infatti l’esistenza del “caso”. Generalmente l’artista aveva un’idea precisa dell’aspetto che una particolare opera avrebbe dovuto avere e per ottenerlo si serviva del suo corpo, su cui aveva il controllo, unito al viscoso scorrere del colore, alla forza di gravità e al modo in cui la tela assorbiva il colore. Si trattava dell’unione del controllabile e dell’incontrollabile. Si muoveva energicamente attorno alle tele spruzzando, spatolando, facendo colare e sgocciolare quasi in una danza e non si fermava finché non vedeva ciò che voleva in origine vedere. Era in qualche modo, secondo alcuni, vicino al cossiddetto surrealismo automatico, una tecnica per la quale i dipinti vengono creati “automaticamente”.
L’action painting
Non è del tutto corretto dire che Pollock fosse un esponente dell’action painting. Infatti questo termine fu coniato solo nel 1952 da Harold Rosenberg nel suo saggio The American Action Painters. Pollock ormai da dieci anni stava impiegando il dripping nella realizzazione dei suoi quadri. Del resto Rosenberg segnalava un generale e diffuso cambiamento nella prospettiva estetica dei pittori soprattutto Newyorkesi
Merito critico di Rosenberg aver però constatato come il processo creativo fosse importante quanto o più del risultato finale (su tela). Lo studioso americano fu il primo a spostare l’attenzione dal manufatto creato al gesto creativo: il dipinto era sempre di più la mera manifestazione fisica, una specie di residuo, del gesto e/o del processo creativo messo in atto dall’artista.
Il rapporto “speciale” tra Pollock e Peggy Guggenheim
Centrale nella vita di Pollock fu il ruolo di Peggy Guggenheim. La conobbe nel 1943. Lei era erede di una delle famiglie più facoltose degli Stati Uniti e nota collezionista d’arte, che l’anno successivo finanziò la sua prima personale (a cui buona parte della critica reagì positivamente) e gli aprì le porte della celebrità.
Quello che si sviluppò tra i due fu un rapporto autentico: probabilmente Peggy per lui non fu solo una mecenate, ma anche una vera amica, se non anche amante.
Le cronache raccontano che il primo giudizio di Guggenheim, guardando “Figura stenografica” del 1942, fosse stato negativo. Sarebbe stato Mondrian a commentare invece: “Penso che questo sia il quadro più interessante che ho visto in America. Non devi perdere di vista quest’uomo”. Dopo tale primo incontro Peggy Guggenheim non smise mai di sostenerlo anche nel caso del grande e programmatico dipinto “Murale”. L’opera, dipinta nel 1943, fu realizzata con pittura ad olio (e una pittura a base di acqua biancastra) su lino ed è ora esposta e custodita dl Museo d’arte dell’Università dell’Iowa.
La moglie
Sua moglie, la pittrice Lee Krasner (1908-1984), era una promettente artista, che rinunciò a se stessa per dedicarsi alla carriera del marito, pur essendo spesso tradita. Il sodalizio tra i due giocò un ruolo importantissimo nel percorso artistico ed umano di Pollock; quelli passati accanto alla moglie, infatti, furono anni di grande creatività del pittore americano. Fu lei a appoggiarlo nella sua ricerca artistica e fu lei ad aiutarlo ad uscire, almeno per un periodo, dall’abisso dell’alcolismo e della depressione. Purtroppo non riuscì mai a superare le dipendenze con cui convisse tutta la vita e che lo portava a convivere con attacchi di rabbia e periodi di mutismo.
L’impegno politico di Pollock
Pollock e la moglie erano entrambi politicamente attivi a sinistra. Però Krasner gli rimproverò sempre di aver offerto asilo (nel suo studio) al pittore messicano stalinista integralista Alfaro Siqueiros, coinvolto nell’omicidio di Trotsky avvenuto a Mexico City.
Pollock: la pittura come psicanalisi per resistere al dramma del vivere
Le opere di Pollock riflettono l’infinito e irrisolto dramma interiore dell’artista. Il suo stesso gesto era una forma di indagine interiore, psichica non casuale.
Alla psicanalisi, l’artista si avvicinò anche per i suoi problemi di alcolismo, le sedute psicoanalitiche non lo aiutarono a superarlo ma lo fecero avvicinare all’idea dell’inconscio e del pensiero junghiano.
L’importanza di tale aspetto fu tale da spingere il pittore a dire: “Credo che ognuno di noi sia influenzato da Freud. Io sono junghiano da un pezzo…”
Non stupisce perciò che più tardi, un docente di fisica dell’Università dell’Oregon rilevò nelle opere di questo artista, che tanti definirono “sciamano”, la presenza di schemi frattali. E allora è facile ricordare che Pollock stesso negava che le sue opere fossero dominate dal caso perché diceva “il dipinto ha una vita propria. Io provo a farla trapelare”.
Pollock e i nativi americani
Pollock era molto affascinato dalla cultura dei nativi americani fin dall’infanzia. Si avvicinò ai nativi americani e alla loro cultura orale quando ancora molto giovane viveva in Arizona e si avvicinò alla loro tecnica della “pittura con la sabbia” praticata da sciamani quando, in uno stato di estrema concentrazione o simile a quello di trance, versavano sabbie colorate su una superficie piatta che potevano avvicinare da ogni lato.
La danza intorno alla tela, quel gesto liberatorio del e con il colore, hanno così spesso avvicinato nell’interpretazione critica Pollock alle pratiche di queste popolazioni, quasi fosse uno sciamano del colore.
L’artista fu del resto sempre interessato allo scavare nell’inconscio e recuperare la parte più pura dell’essere umano. Allo stesso modo I nativi americani si rivolgevano al mondo degli spiriti per tornare a essere connessi con se stessi e con il mondo circostante. La stessa origine dei disegni – l’inconscio/subconscio – di Pollock si può dire sia in effetti simile a quella degli artisti nativi, che operavano in uno stato di allucinazione causato dall’uso di droghe come il cactus di San Pedro
La morte
Pollock morì giovanissimo in un incidente stradale causato dalla sua ebbrezza. L’artista era a meno di due chilometri da Springs quando perse il controllo della sua spider e fu catapultato contro un albero mentre era in compagnia della sua amante Ruth Kligman e una amica di lei, Edith Metzger che non sopravvisse.
Lui e la moglie sono entrambi sepolti al Green River Cemetery di Springs.
Quanto valgono i quadri di Pollock? I record d’asta
La produzione di Pollock è stata limitata anche a causa della brevità della sua esistenza. Tale elemento ha aiutato a far schizzare da subito il valore delle sue opere. Pensiamo a Blue Poles, conosciuto anche come Number 11, del 1952 ora conservato nella National Gallery of Australia a Canberra o Convergenza del 1952.
Le sue opere hanno negli anni battuto bruciato diversi record in asta. Nel novembre 2021 da Sotheby’s è stato stabilito il record del maestro del dripping con l’opera Number 17 (1951), un dipinto a macchie nere su tela beige, venduta per per oltre 61 milioni di dollari. Questo risultato ha superato più del doppio la stima di $25 milioni e cancellato il precedente record d’asta dell’artista, pari a 58,4 milioni di dollari, raggiunto nel 2013 per il dipinto Number 19 (1948) da Christie’s a New York.
L’eredità
Attualmente la Pollock-Krasner House è di proprietà della Stony Brook Foundation collegata all’omonima università-. Da maggio ad ottobre la casa e lo studio sono aperti alle visite del pubblico.
Dove si possono vedere le sue opere?
Pollock fu da subito collezionato da molti musei americani, che conservano la maggior parte dei suoi lavori “pubblici”, ovvero non parte di collezioni private: dal MoMA, al Philadelphia Museum of Art. Sue opere importanti si trovano però anche in Europa, tra cui il Guggenheim di Venezia e la Tate di Londra che conserva il celebre Number 9A del 1948.
Pollock da oscar al cinema
Nel 2000 è stato girato un film biografico sulla vita dell’artista intitolato Pollock. La realizzazione del film è stata ideata da Ed Harris, che ha interpretato il ruolo di Pollock ed ha diretto la pellicola. Grazie alla sua interpretazione di Lee Krasner, Marcia Gay Harden ha vinto il Premio Oscar alla miglior attrice non protagonista. Anche Ed Harris ha ricevuto nell’occasione una nomination all’Oscar al miglior attore. Nella pellicola è anche presente l’attrice, premio Oscar, Jennifer Connelly, nel ruolo dell’amante di Pollock, Ruth Kligman.
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