Un altro anno in vostra compagnia è passato e un altro sta iniziando. Noi tutti di Villegiardini, dal Direttore della testata, alla Redazione e ai collaboratori web della rivista online, lavoriamo per offrirvi momenti fatti di scoperta e di conoscenza, di condivisione e confronto, come pure di leggerezza e piacevolezza, nella speranza che vi sia stato e sia sempre gradito.
A questo proposito, teniamo a dirvi che il nostro lavoro proseguirà anche nell’anno nuovo con lo stesso entusiasmo e lo stesso impegno, rinnovando e rinnovandoci, per far sì che siate sempre soddisfatti e interessati a ciò che proponiamo.
Vogliamo, quindi, ringraziarvi per la fiducia che ci accordate di giorno in giorno e cogliamo l’occasione per farvi i nostri Migliori Auguri per un Buon 2025.
Abbiamo scelto di porgerveli attraverso le parole di una grande poetessa italiana contemporanea che, nei versi di questa poesia di Capodanno, ci invia un meraviglioso messaggio che vi invitiamo a leggere e rileggere fino all’ultima parola, per guardare al 2025 con una luce di speranza.
Auguri da tutti noi
ESORTAZIONE URBANA E PLANETARE
Poiché io credo nelle parole
nel loro celeste di parole
nel loro rosso acceso. Poiché
io credo che possano fermare,
sciogliere. Incendiare,
dare da mangiare. Fare nascere.
Fare ballare. Allora ecco:
vengano a noi le bambine parole –
escano chiare e fiere dalle nostre
bocche. E con esse parole
venga un silenzio di covature
quel silenzio bello di passi e di pace
dove il furore del mondo tace
il furore delle nostre teste malate.
Prima che la città fosse città
era tutto respiro diffuso e slargato
tutto quanto era respirato.
Prima che la città fosse città
il selvatico della terra cantava così forte
e generava da ogni vita altra vita.
Poi edificammo la città
coi porticati e le torri
con le fontane e cuocendo la terra
fabbricammo case e mura maestose –
e la sola vita che ora c’è
nella città, è la vita umana
con la sua appendice di qualche albero
qualche animale addomesticato, qualche
animale che poi verrà mangiato.
E tutta quella vita che era qua
prima che la città fosse città
tutta quella vivacissima vita
è stata dimenticata.
La prima esortazione è:
si possa ricordare – sempre – che
ogni nostro soffio è fatto di foglie e foreste
di radici e distese erbose e senza quelle
sarebbe respiro attossicato, sarebbe da tempo
finito il nostro piccolo essere qui.
Così, in questo anno che comincia appena
vorremo frequentare
la scuola superiore dei fiori, degli alberi sapienti,
dei pesci, la scuola degli uccelli del cielo
l’alta scuola internazionale
dell’acqua da bere, dell’acqua del mare.
Vorremo guardare più spesso
il cielo. Le nuvole maestose e quel
blu steso o anche l’addensarsi del nero
fra le case, e guardare il cielo stellato –
e le stelle guardiane delle parole
sciolgano il nostro inquieto pensiero.
Questo ti voglio dire, che non
indurisca il tuo cuore e quando lo
senti indurire, allora pensare che anche
il mondo s’indura con te e allora
voler riparare.
L’augurio grande è che tu possa tornare
a casa dentro te. Tornare dove hai
imparato a balbettare, quando tutte le cose
stavano senza nome.
Tornare a casa dentro di te
dove eri nuova e nuovo.
E così placare quella nostalgia
di non sai cosa.
Il mio augurio è di preoccuparti e tremare
se pensi di essere migliore e ricordare
che l’ape, che il lombrico, che anche la formica
è più necessaria di te e di me
a questo verdeggiare della terra.
Ricordare che non sei migliore.
Lo senti? Tutto sta in attesa di una pietà
tutto implora una nostra resa.
Ti esorto ad essere gentile.
Qualunque sia il tuo genere, il tuo colore,
la tua età, il tuo nome.
Sii tu gentile, che non serve
sbattere e sopraffare, invadere. Non serve
imperare, potenziare. Bastonare.
Che vincere non significa niente.
L’augurio è che le mani, tutte le mani
di questa città facciano al meglio le cose
e poi restino a volte inoperose
in uno stare contemplante.
Che le sere siano sere quando si torna
nelle case a respirare in pace.
E nei letti di questa città il sonno sia
quel tesoro occulto in cui la stanchezza
giace e si guarisce dal peso.
Nessuno stia dentro un fare infelice.
E quella infelicità che c’è e che ci sarà,
quei giorni quando si torcono le cose
allora l’augurio è che quello stare infelice
porti le sue profondità
e da lì, da quel gradino basso
dove pare ci sia meno luce
proprio lì si compia quel passo savio
dove si comprendono meglio
le complicate umane cose.
E chi fa il pane faccia bene il pane
e chi spazza le strade, spazzi
con cura le strade
e chi cammina provi in cuor suo
un respiro grato per questo avere cura
della bella città. E chi fa il caffè
faccia il più buon caffè della terra
e si cominci ancora a sentire
che c’è, senza dubbio c’è
un bene comune generale e che
si sta molto bene nel fare bene
nell’avere dentro il pensiero un pensiero
per chi ci sta accanto
in questo traversare.
Che tu possa proteggere
i tuoi – e io i miei. Che un’energia viva
di salute ci tenga qui operosi generosi.
Con la coscienza che, questi fragili corpi,
bombardati corpi, i corpi naufragati e rotti,
quelli bastonati, i violentati, sono tutti tuoi
sono tutti miei.
Io mi dico: sii tu a porre la misura.
Tocca a te, mi dico, in ogni momento
tocca a te mettere lì un dettato
di umanità.
Sii anche tu come i pochi che prendono
in braccio lo storto mondo umano
e guardano la terra come guardare la madre
e hanno cura grande dello sventurato,
della supplicante, dell’abbandonato.
Sii tu mi dico. Non aspettare che qualcuno
muova nell’aria un grido, che qualcuno
alzi il suo autoritario dito.
Innamorarci ogni giorno, ogni giorno
un amore, che sia albero o luce del
mattino, che sia nuvola o bambino,
un colore, un canto, che sia il gesto
di qualcuno, una faccia, una pietra,
una collina, una parola, un boccone.
Innamorarci. Allora la pace viene,
viene da sé e rimane.
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