Il Parco Giardino Sigurtà è molto amato perché chiunque può vivere la sua personale esperienza e trovare ciò che in un giardino cerca. Visitare un giardino è un’esperienza sensoriale completa: non ci si limita a vederlo, ma lo si sente, lo si percepisce e si sperimenta il suo cambiamento nel tempo, anche se solo di momento in momento.
Spesso si tratta di rallentare, osservare e pensare. Le persone sono attratte da aspetti diversi di un giardino: le piante, la loro disposizione, le fioriture, gli scorci panoramici, l’atmosfera che si respira, la luce che filtra attraverso le foglie degli alberi, la sensazione di pace, la varietà degli ambienti, il senso della scoperta, il gioco delle ombre sull’erba, il dialogo con la natura e molto altro.
È forse questo il motivo per cui il Parco Giardino Sigurtà è molto amato: perché chiunque può vivere la sua personale esperienza e trovare ciò che in un giardino cerca. A Sigurtà c’è tutto e soprattutto una vastità di ampio respiro dove il cielo sembra toccare la terra e l’occhio si perde, mentre un senso di pace e libertà sembra pervadere l’anima.
Questo locus amoenus, accarezzato dalle colline moreniche, si trova a Valeggio sul Mincio, a due passi dal lago di Garda, e la sua storia ebbe inizio quando queste terre erano da poco sotto il dominio della Serenissima.
Le prime tracce storiche risalgono infatti al 1407 con l’acquisto da parte del patrizio Gerolamo Nicolò Contarini di tre fattorie che furono riunite dando vita al primo nucleo, da cui nei secoli il Parco avrebbe preso forma, con l’aggiunta di un’abitazione nobiliare.
Inizialmente adibito a un uso prevalentemente agricolo e boschivo, gli antichi documenti parlano di un “brolo cinto de mura”, il fondo mantenne questa sua funzione, pur con qualche concessione di una parte del terreno a giardino per merito dei successivi proprietari Guarienti, fino agli inizi del 600, quando fu acquistato dai Conti Maffei.
La famiglia mantenne la proprietà di questo luogo per circa due secoli e iniziò profondi cambiamenti a partire dalla costruzione di una sontuosa villa affidata a Vincenzo Pellesina, discepolo del Palladio, ma soprattutto all’ottenimento del diritto di attingere dal vicino fiume Mincio l’acqua per irrigare i campi. Un fatto che consentì di ampliare il famoso brolo fino a oltre venti ettari e di iniziare a pensare a un giardino, da affiancare alla tenuta agricola.
A fine 700 erano maturi i tempi per un salto di qualità: l’Europa era già stata conquistata dal nuovo canone estetico inglese del landscape garden che stranamente in Italia ancora non si era diffuso, con qualche illustre eccezione come la Reggia di Caserta, Villa Sommi Picenardi in provincia di Cremona e due esperimenti di Giovanni Bettini per il parco di Villa Belrespiro all’interno della Villa Doria Pamphilj a Roma.
Il primo a parlarne, nella memoria ‘Saggio sopra i giardini inglesi’ (poi pubblicata con il titolo ‘Dissertazione su i giardini inglesi e sul merito in ciò dell’Italia’) all’Accademia di Scienze Lettere e Arti di Padova fu Ippolito Pindemonte, di ritorno dal Grand Tour, nel 1792, precorrendo Ercole Silva.
Il letterato riportava come “L’arte del giardiniere Inglese consiste nell’abbellir così un terreno assai vasto, che sembrar possa, che la natura l’abbia in quella guisa abbellito ella stessa, ma la natura intesa a far cosa più squisita e compiuta, che far non le veggiamo comunemente, riunendo in un dato spazio molte bellezze, che non suole riunir mai, e dando a quelle bellezze stesse una perfezione ed un finimento maggiore” per giungere a “scene maravigliose, e d’ogni maniera, cioè o gentili e ridenti e sublimi, o sparse d’una dolce melanconia”.
Pindemonte era nipote di Antonio Maffei e nella tenuta dello zio vide un luogo ideale per realizzare ciò che aveva visto in Inghilterra, liberando la natura modellata dall’uomo tipica del giardino italiano, che continuava a replicare il canone cinquecentesco, abbandonando il rigore formale e aprendo gli spazi.
A grandi distese lasciate a prato furono intervallati alberi e arbusti, costruiti un tempietto neo-gotico (oggi noto come Eremo), un Castelletto e una Grotta. A memoria del ruolo che Pindemonte ebbe nella creazione del giardino, che ormai era un parco, e dell’amore che in esso riversò rimane un epigramma da lui composto “Sì Dilettosa Qui Scorre La Vita / Ch’io Qui Scrupolo Avrei Farmi Eremita”, inserito nella sua raccolta ‘Poesie Originali’ e che è anche inciso su una pietra posta nel bosco a lui dedicato.
Per questioni ereditarie la proprietà fu divisa, trascurata, poi riunita e andò incontro a un lento declino fino a un giorno del 1941, anno in cui, per un caso fortuito, l’industriale farmaceutico milanese Giuseppe Carlo Sigurtà venne a sapere che il parco era in vendita. Riuscendo a leggere le tracce della passata bellezza e intuendone il potenziale ancora inespresso, se ne innamorò e decise di acquistarlo.
Si dedicò al suo ripristino: tornò a irrigarlo facendo valere il diritto, dimenticato dai precedenti proprietari, di prelevare l’acqua dal fiume, restaurò le architetture, eliminò le tracce dell’abbandono, recuperò gli alberi maestosi, scoprì tesori inaspettati, come migliaia di bossi che erano cresciuti nel sottobosco.
Acquistò altro terreno fino a raggiungere l’attuale estensione di sessanta ettari, proseguendo sulla strada iniziata da Pindemonte ma aggiornandola al ventesimo secolo, arricchendo il parco di specie, facendo realizzare nuovi percorsi, boschetti, radure, laghi (ben diciotto), sfruttando le naturali modulazioni del terreno per creare angoli appartati o incanalare le viste oppure, al contrario, dilatare le visuali.
A lunghi viali alberati monospecifici, di pioppi cipressini, carpini, betulle, Pinus pinea e olivi si alternano in più punti gruppi di cipressi, bagolari, armoniose composizioni di aceri giapponesi in varietà, tigli e Paulownia a gruppi, Lagerstroemia indica in filari, una macchia di Ginkgo biloba, boschetti misti con querce, faggi, carpini, Liriodendron tulipifera e Liquidambar styraciflua, Metasequoia glyptostroboides e Taxodium distichum vicino a qualche laghetto.
Sono la struttura del parco e ne definiscono il disegno, si prestano come quinta davanti alla quale far risaltare i molti arbusti che fioriscono lungo l’arco delle stagioni componendo un canovaccio sempre diverso, consentono alle piante del sottobosco di prosperare, proiettano la loro ombra ai limiti delle grandi distese erbose creando mutevoli giochi di chiaroscuro.
Di particolare impatto, anche emotivo, è la Grande Quercia di oltre quattrocento anni, uno degli alberi più antichi del parco, insieme al Grande Faggio. Ancora alberi nel labirinto dove 1.500 tassi tenuti a guisa di mura alte oltre due metri sono disposti, su una superficie di 2.500 metri quadrati, per far perdere l’orientamento prima di trovare la via che porta alla torretta centrale, da cui ammirare dall’alto il percorso ma soprattutto una delle grandi radure.
E non si può tacere della collezione di bossi più ricca al mondo, 40.000 piante tenute a nuvola o in forme geometriche ispirate all’Hynerotomachia Poliphili e disseminate nel parco, in filari, macchie, piccoli gruppi, e neppure del lungo viale delle rose (circa 30.000 e declinate nei toni del rosa acceso) cui fa sfondo il Castello Scaligero, su una collina oltre i confini della proprietà, ma che dal parco è inquadrato da più cannocchiali visivi.
La ricchezza botanica si esprime anche attraverso le fioriture che dall’inizio della primavera fino all’autunno colorano Sigurtà, a iniziare da quella più grandiosa che è uno spettacolo nello spettacolo: quella dei tulipani.
Sono oltre un milione (circa trecento tra specie, ibridi e cultivar) disposti in aiuole sinuose che si rincorrono a formare percorsi punteggiati dagli alberi, lungo i pendii, nei boschi dove riescono a ricevere luce sufficiente, in macchie monocromatiche che portano lo sguardo da un punto all’altro, persino in vasche galleggianti sulle acque di un lago, oppure liberi di crescere tra l’erba di prati non ancora sfalciati.
Spesso in purezza, a volte combinati con muscari, narcisi, fritillarie o narcisi. La loro fioritura, da metà marzo sino a maggio, è un evento imperdibile, a cui è stato dato il nome di Tulipanomania e che nel 2019 ha fatto meritare al parco il premio World Tulip Destination Worth Travelling For attribuito dalla World Tulip Society.
I tulipani iniziano a fiorire insieme a ciliegi da fiore, Cornus, viburni, seguiti da spiree, iris, peonie, Hemerocallis, ibischi, rose, dalie, ortensie, Lagerstroemia, Canna indica, mentre nei laghetti fioriscono le ninfee e i fior di loto.
A fine estate le grandi fioriture terminano con i settembrini. Arrivato l’autunno, gli alberi si prendono la scena con il fall foliage e i colori del parco mutano nuovamente verso tonalità calde e ambrate, rosso acceso e giallo oro.
Nel 1978 Carlo Sigurtà decise di condividere la bellezza con il mondo e aprì al pubblico il parco cui ha dedicato una vita, sempre con nuovi progetti, ora portati avanti dagli eredi che custodiscono la sua creatura, la innovano, perpetrando l’amore della famiglia per il parco. Oggi il Parco Giardino Sigurtà è un luogo moderno, aperto all’innovazione. sigurta.it
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