di Maurizio Corrado
L’idea di città e quella di giardino vengono solitamente contrapposte, ma non solo hanno molti punti in comune anzi, fra loro c’è una sostanziale identità. Il termine giardino ci arriva dal francese jardin, da jart, a sua volta dal franco gard, orto. La radice indoeuropea è gher, col significato di cingere, recintare, afferrare, rinchiudere, da cui deriva il greco kortos, recinto e anche kheir, mano. Il giardino è, quindi, ciò che si tiene sotto la mano e quello che la mano lavora. In latino è hortus, col significato primo di recinto e poi di giardino.
Da gard / gart / grad nelle lingue indoeuropee si sono sviluppati i concetti riferiti ai luoghi recintati. Lo slavo gorod significa città, e in Europa orientale molti insediamenti conservano il suffisso grad. Il giardino, come la città, esiste solo in quanto luogo chiuso, recintato, protetto, delimitato. Lo si vede bene guardando i riti di fondazione delle città, dove il tracciamento dei limiti è un atto fondamentale, si delimita un pezzo di caos che da quella azione assume dignità di luogo. Città e giardino sono spazi che l’uomo ricava nella natura, ciò che è dentro ai limiti esiste, è conosciuto, ciò che è fuori è sconosciuto, forestiero. Nelle società tradizionali il Mondo stesso si genera dalla contrapposizione sacro-profano, reale e non-reale. Il desiderio di vivere nel sacro equivale a quello di vivere in un mondo reale ed efficiente, dentro a limiti stabiliti. Ma cosa c’è fuori dai limiti? Alla radice etimologica di alius, alter, ille, altro, è collegato il termine sanscrito che indica la foresta, aranya, da arana, strano. Fuori dai confini del villaggio, della città, del giardino, c’è l’altro, lo straniero, il forestiero. Fuori, c’è la foresta.