Mark Tobey – “Luce Filante”
Nello scorso mese di maggio, presso il Museo della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, è stata inaugurata quella che, ad oggi, è la più completa retrospettiva italiana sull’artista americano Mark Tobey.
Realizzata a cura di Debra Bricker Balken, resterà aperta al pubblico sino al prossimo 10 settembre. È un’esposizione costruita su un numero imponente di opere – ben 70 dipinti – che coprono un periodo compreso tra gli anni ’20 e gli anni ’70.
Tobey è stato uno degli esponenti più significativi dell’avanguardia artistica battezzata come “Espressionismo astratto” e viene ritenuto un anticipatore degli spunti espressivi della Scuola di New York, che ha annoverato figure del calibro di Jackson Pollock.
Citando la curatrice: “… Tobey è stato in grado di evitare uno specifico debito col Cubismo, a differenza dei suoi compagni modernisti, fondendo elementi legati a linguaggi formali in composizioni che sono sorprendentemente radicali e al tempo stesso meravigliose …”.
La biografia
Mark Tobey nasce, nel 1890 – nel Midwest statunitense – e inizia a esprimere compiutamente le sue doti artististiche, nel 1911, a New York, in qualità d’illustratore di moda.
La sua conversione alla fede Bahá’i cambia le basi percettive e le linee d’espressione del suo linguaggio creativo, che si sviluppa durante una lunga serie di viaggi in Asia, in Europa e in Oriente.
Inizia a insegnare espressione artistica e scambia esperienze con artisti cinesi, che gli aprono le porte della calligrafia del loro paese. In seguito, approfondisce scritture decorative come l’arabo e il persiano, continuando ad alternare viaggi, mostre e insegnamento.
La “scrittura bianca”
A partire dalla metà degli anni ’30, la sequenza di contaminazioni tra arte e scrittura, che ha sperimentato, si trasferisce sulle sue tele e una nuova espressione calligrafica, svincolata dalla linearità della pagina scritta, disegna profili elettrici e multicolori, per rappresentare le architetture delle grandi metropoli.
Astrazioni che fondono stili occidentali e orientali, fitte griglie costruite con brevi tratti, intessono la trama della sua “scrittura bianca”, cambiando spesso il punto di visuale nello spazio, ma osservando sempre agglomerati antropici fittamente illuminati.
Evoluzione del suo percorso
Dopo l’ultimo conflitto mondiale, l’artista inizia a frequentare la Scuola di New York; lì l’espressione astratta pone il suo focus sull’inconscio umano e la fuga dalla razionalità. È una modalità creativa che si confronta con le teorie junghiane, il surrealismo e qualche eredità del cubismo.
La produzione di Tobey, diviene più introspettiva, quasi spirituale e le metafore delle grandi architetture si trasformano in micro-mondi, dove, tra i colori delle città, riemerge la natura, mentre gli archetipi della scrittura bianca, gli intarsi di segni e linee incrociati, si fanno meno netti, ma non scompaiono.
Il fil rouge del suo lavoro è sempre una ricerca, quasi zen, di centratura interiore. Citando le sue parole: “… alcuni artisti parlano dell’atto del dipingere … ma la prima preparazione è lo Stato d’animo, e l’azione procede da questo. La Pace interiore è un altro ideale, forse lo stato ideale da ricercare nella pittura, e certamente è preparatorio all’atto …”.
Le opere in mostra
Nel percorso espositivo alla Guggenheim, troviamo, tra le altre opere: “Wild Field” – Campo Selvatico del 1959; “Threading Light” – Luce Filante (che dà il nome alla mostra), del 1942; “World” – Mondo, del 1959 e “Crystallizations“ – Cristallizzazioni, del 1944.
Per i credits, le immagini della cover e della galleria, sono tratte dal sito internet della Collezione Peggy Guggenheim; vi consigliamo di visitarlo per approfondimenti.