Donne che hanno vissuto l’arte nel periodo storico che ha fatto fiorire l’Italia. Quando ci cimentiamo nello studio della Storia dell’Arte, soprattutto nei testi scolastici, ci rendiamo subito conto che la narrativa ha sempre una traiettoria che tende a mostrare una faccia sola della società dell’epoca.
La tendenza, per snellire la quantità di apprendimenti, consiste nel seguire solo gli artisti particolarmente importanti e che spiccano per talento, originalità o per la fama che all’epoca li accompagnava.
Tuttavia, come ogni studio che si rispetti, la Storia dell’Arte deve tenere conto della storia, della società, della cultura del tempo e di come i vari strati sociali erano organizzati.
Per questo motivo, parlando di un periodo estremamente famoso per la quantità di pittori, scultori e innovatori famosi, ci sorge spontaneo chiederci: Dove erano le donne?

Dal ruolo di donne, muse ispiratrici, ad artiste rinascimentali

Nella narrativa le vediamo raffigurate come muse ispiratrici, compagne di uomini potenti, talvolta padrone di casa inflessibili o matrone responsabili di gestire le finanze in assenza dei mariti o per una prematura vedovanza. Eppure, le donne nell’arte erano molto presenti, tanto da meritare anche delle menzioni onorevoli in alcuni testi scolastici.
La più nota di tutte è sicuramente Artemisia Gentileschi, divenuta tristemente nota per aver dipinto ‘Giuditta e Oloferne’ come rivalsa contro l’uomo che le usò violenza.
Questa pittrice, purtroppo, trova fama nei nostri giorni con una sorta di feticizzazione della sua rivalsa, quasi fosse emblema della vendetta femminile e quindi attribuendo, come fin troppo spesso accade, la fama di questa straordinaria pittrice al suo trauma, alla violenza subita e relegandola a vittima vendicativa.
Eppure, Artemisia Gentileschi fu una delle prime donne a cimentarsi in temi eroici e biblici, scontrandosi con la tendenza dell’epoca e andando controcorrente rispetto al pensiero comune.
Vediamo queste tematiche in quadri come ‘Susanna e i Vecchioni’, che racconta di un episodio biblico ed esplica perfettamente la bravura e il talento di una giovanissima pittrice.
Questa opera fu estremamente controversa e molti tentarono di attribuirla al padre di Artemisia, Orazio, nonostante la firma della donna presente sull’opera stessa.
All’epoca Artemisia Gentileschi aveva solo 17 anni, ammettere che fosse dipinto da lei sarebbe stato affermare le chiare innovazioni stilistiche e formali che una donna così giovane aveva già maturato. Ebbe la fortuna di poter accedere alla bottega del padre, al contrario di molte delle sue colleghe, riuscendo a ricevere un’istruzione artistica e ad entrare in contatto con la pittura fina da giovanissima.

Le donne Artiste
Giuditta e Oloferne di Artemisia Gentileschi, 1612-1613. Olio su tela [Artemisia Gentileschi, Public Domain, Wikimedia Commons]

L’arte, un mondo precluso alle donne

All’epoca lo studio di tutte le discipline artistiche era limitato ai soli uomini. Perciò, le donne che si scontrarono con queste imposizioni furono numerose e non molte riuscirono a farsi strada senza essere nobili o avere una famiglia già dedita all’arte.
Inoltre, poiché considerato sconveniente, non potevano studiare l’anatomia umana osservando dei corpi dal vero. Erano quindi costrette a osservare i dipinti di altri artisti o le sculture antiche che era loro consentito vedere.

Sofonisba Anguissola una pittrice di fama internazionale

Sofonisba Anguissola, nata da famiglia nobile a Cremona, fu una delle prime ad avere un riconoscimento internazionale come pittrice. I suoi ritratti erano carichi di intensità psicologica, tanto che nella sua carriera fu chiamata alla corte spagnola per divenirne la pittrice ufficiale. Di lei abbiamo un autoritratto, intitolato ‘Autoritratto al cavalletto’, che la raffigura mentre dipinge un quadretto devozionale, dimostrando una grande originalità, profondità e attenzione ai dettagli.
Questa donna fu un’eccezione nel panorama delle commissioni. Poiché nella maggioranza dei casi le donne, quando ingaggiate dai committenti, venivano pagate molto meno dei loro colleghi maschi. Questo rendeva molto difficile vivere del lavoro di artista e la scelta, raramente possibile, era di bilanciare la vita familiare e le proprie aspirazioni.

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Autoritratto al cavalletto mentre dipinge un pannello devozionale di Sofonisba Anguissola, 1556. Olio su tela [Sofonisba Anguissola, Public Domain, Wikimedia Commons]

Lavinia Fontana e i primi importanti lavori su commissione

Ad esempio, la bolognese Lavinia Fontana, una delle prime donne ad ottenere commissioni da clero e nobili. Ebbe undici figli e dovette faticare molto per continuare a ottenere commissioni ed essere pagata. Molto famoso è il suo ‘Ritratto di Antonietta Gonzalez’, commissionatole da uno dei cortigiani di Enrico II di Francia e che raffigura la figlia, affetta come il padre da ipertricosi. Qui vediamo una sensibilità straordinaria nell’evidenziare le mani e il vestito sontuoso della bambina, portando in secondo piano il viso e armonizzandolo con lo sfondo.

 

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Ritratto di Antonietta Gonzalez di Lavinia Fontana, 1595. Olio su tela [Lavinia Fontana, Public Domain, Wikimedia Commons]

Properzia de’ Rossi, una scultrice dal talento unico

Properzia de’ Rossi, sempre di Bologna, era invece un’artista poliedrica e che si dedicava anche alla scultura. Divenne celebre per il suo talento tecnico, la sua capacità di lavorazione dei materiali e per realizzare forme anche molto minuziose e complesse, ricche di studio e attenzione. Fu una delle poche scultrici donne del Rinascimento e si distinse per alcune commissioni celebri, come il ‘San Paolo’ ospitato alla Basilica di San Petronio a Bologna.
E non fu l’unica a cimentarsi in cose del tutto nuove o considerate tecnicamente molto difficoltose, come scolpire rametti di nocciolo e piccolissimi dettagli. Ma ci furono altre figure che addirittura portarono alcuni generi molto prima di artisti ben più noti.

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Nella piazza la basilica di San Petronio di Antonio di Vincenzo,1390-1663. Per la realizzazione di questa basilica, collaborarono molti artisti tra cui Properzia de’ Rossi [Fenilefrina, licenza CC BY-SA 4.0 Wikimedia Commons]

Fede Galizia antesignana delle nature morte e Marietta Robusti dimenticata dalla Storia dell’arte

Fede Galizia, ad esempio, viene menzionata più volte come precursora in Italia del genere delle nature morte, in cui si specializzò e divenne famosa per il dettaglio e l’uso della luce.
La tendenza a non riconoscere i meriti delle donne era ben diffusa all’epoca. Quasi a non voler ammettere che i preconcetti sulla psiche, la creatività e l’ingegno femminile fossero, in fondo, solo delle imposizioni e dei falsi miti. Esempio emblematico della tendenza a sottrarre meriti alle figure femminili è Marietta Robusti, chiamata “La Tintoretta”, poiché figlia dello stesso Tintoretto.
La sua carriera venne costantemente limitata dalla fama del padre, a cui molte delle sue opere sono state erroneamente attribuite. Dalle aspettative sociali dell’epoca e dal padre stesso che la costrinse a sposarsi, dando un colpo durissimo alla sua carriera.
Questa pittrice è l’esempio perfetto del motivo per il quale molte donne passarono inosservate, costrette a sposarsi, rinunciare alle proprie carriere nonostante il loro lavoro fosse riconosciuto e richiesto.

Diana Scultori, incisora e fra le prime a essere riconosciuta come artista

Un’altra donna che dominò il suo settore fu Diana Scultori, incisora e una delle poche donne a ottenere una licenza ufficiale per esercitare questa arte.
Tra le sue maggiori creazioni vediamo ‘La creazione di Eva’ e ‘Il sacrificio di Abramo’, eseguiti con impeccabile maestria e testimonianza del suo talento e della sua capacità espressiva.
Notiamo, escludendo i ritratti su commissione, che queste donne si dedicarono tutte a scardinare un concetto dell’arte che osservava con pudicizia e estraneità tutto ciò che concerneva alla sfera del femminile. Nonostante la donna fosse ampiamente rappresentata, era anche molto idealizzata e considerata un essere fragile, emotivo, dedito alla cura e alla casa.

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Il sacrificio di Abramo di Diana Scultori, 1547-1612. Bulino. [Filadelfia, Museo d’arte di Filadelfia, CC0, Wikimedia Commons]

La determinazione delle donne per essere riconosciute nel passato e l’oblio odierno

La tendenza delle donne nell’arte in questo periodo è quella di riappropriarsi degli spazi espressivi, di iniziare a scardinare il concetto che il genere femminile non fosse adatto a rappresentare, per esempio, scene violente, religiose o che raffigurassero dei corpi nudi. Nel momento in cui si osava uscire dal tracciato dei ruoli di genere si veniva svalutate, ostracizzate, minacciate e scoraggiate nella prosecuzione dei propri studi. Anche nei casi più eclatanti, come quello della Gentileschi e della violenza subita, non ci fu nessuna fiducia da parte di coloro che la interrogarono e la sua esperienza fu resa estremamente più dolorosa, feticizzata e svalutata pubblicamente.
La cosa più triste, però, fu sicuramente il fatto che queste donne ebbero un discreto successo in vita, ma la loro storia non venne tramandata allo stesso modo di altri pittori a loro contemporanei. Il risultato, purtroppo, fu la discesa vertiginosa della loro fama, l’esclusione dai libri di storia dell’arte e la loro riscoperta a posteriori.
Molte delle artiste sono tutt’oggi sconosciute alla maggioranza e si trovano solo in testi dedicati, relegate a delle eccezioni e finite in un angolo, oscurate da una società che non poteva sopportare che una donna fosse più di quello che le era richiesto di essere.

Laura Cantarelli
©Villegiardini. Riproduzione riservata

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