Progettare la città del futuro è stata l’aspirazione principale del Movimento Metabolista, movimento di avanguardia sviluppatosi in Giappone negli anni Sessanta. Una reazione ai modelli architettonici e urbanistici tradizionali, inserita in un contesto di grande progresso tecnologico, volta ad assecondare il naturale sviluppo della città.
Il Giappone e la rinascita degli anni Sessanta
Fondato dagli architetti Kiyonori Kikutake, Kisho Kurokawa, Fumihiko Maki, e dal critico Noboru Kawazoe, il Movimento Metabolista fu la conseguenza di un clima di rinascita. Le città giapponesi fiorivano sulla spinta dello sviluppo economico e il futuro si faceva strada, con la promessa di un mondo dominato da nuove esigenze. Il gruppo di architetti, ispirati dal premio Pritzker Kenzo Tange, si riunì in occasione dell’Expo 1970 di Osaka, la prima esposizione universale svoltasi in Asia. L’esposizione dal tema Progresso e Armonia per l’Umanità offrì, agli architetti di tutto il mondo, l’occasione di sviluppare concetti di forte stampo futuristico. Il laboratorio ideale per riflettere sul ruolo svolto dall’architettura e sull’impatto che la stessa avrebbe potuto avere come strumento di sviluppo sociale.
Tra biologia e spiritualità
La filosofia alla base del movimento è riassunta dalla scelta del termine metabolismo, preso in prestito dal linguaggio della biologia. Una scelta ricca di significato che riflette la concezione dell’architettura e dell’urbanistica come parte attiva nella trasformazione della società. A questo si aggiunge anche un secondo significato, connesso al corrispondente termine giapponese, ossia shinchintaisha, che introduce una dimensione spirituale. La parola giapponese, infatti, si lega al concetto Buddista di impermanenza, di cambiamento incessante, una legge da prendere in considerazione anche in architettura. Le due dimensioni, biologica e spirituale, spiegano come gli edifici obsoleti debbano lasciare il posto a nuove cellule, nell’organico processo di rinnovamento della città. Le idee alla base del movimento furono definite nel manifesto “Metabolismo: Proposte per un nuova urbanistica’’, come strumento per incoraggiare attivamente tale sviluppo metabolico.
Il concetto di capsula
Dal punto di vista puramente tecnico, le idee del movimento metabolista si rivelarono spesso di difficile applicazione, più vicine ad un progetto utopico. In virtù della concezione futuristica, i membri del gruppo considerarono l’architettura come una forma di apparecchiatura, prediligendo il concetto della capsula. Secondo Kisho Kurokawa, infatti, la capsula sarebbe una forma di “architettura cyborg’’, una struttura adatta allo stile di vita dell’uomo del futuro. A ciò si aggiunse la predilezione per megastrutture, spesso in forme che riecheggiavano l’idea di grandi alberi. Progetti così ambiziosi da rimanere per lo più in forma di schizzo, soprattutto nel campo dell’urbanistica e con poche applicazioni concrete anche in architettura.
Marine City: la città galleggiante
Poche le opere effettivamente realizzate, oltre a quelle temporanee costruite in occasione dell’Expo del 1970, di cui rimane solo la Torre dell’Expo di Kiyonori Kikutake. Lo stesso architetto fu autore del progetto visionario di Marine City, splendido esempio di architettura metabolista, sviluppato già nel 1958. Marine City era, infatti, una città industriale galleggiante, un’isola artificiale pensata come un ecosistema alternativo. Nonostante le complicazioni, l’architetto riuscì a realizzare il progetto nel 1975, in occasione dell’Expo di Okinawa, dedicato al mare e alle tematiche ad esso correlate. L’isola, di forma circolare, presentava delle torri cilindriche di cemento armato su cui erano collocate delle capsule prefabbricate, che fungevano da unità abitative. La città galleggiante, rimasta aperta ai visitatori fino al 1993, fu smantellata definitivamente nel 2000.
Nakagin Capsule Tower a Tokyo
Un altro raro esempio di architettura metabolista è la Nakagin Capsule Tower, progettata da Kishō Kurokawa all’inizio degli anni Settanta. Situata a Tokyo, tra i quartieri di Shinbashi e Ginza, la torre fu la prima reale applicazione del concetto di capsula abitativa. L’edificio, infatti, è composto da 140 capsule abitative prefabbricate, realizzate in acciaio galvanizzato e caratterizzate da un oblò che costituisce l’unica finestra dell’abitazione. All’interno, l’architetto concepì le capsule secondo le necessità dell’uomo del futuro, adattandole quindi ad una vita veloce e pratica. L’edificio è andato incontro ad un progressivo degrado, dovuto anche all’abbandono da parte degli inquilini, tanto da essere a rischio di demolizione.
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