Umberto Boccioni, l’autore del La città che sale (1882- 1916,) è stato un pittore, scultore e teorico italiano del movimento futurista.
Nato a Reggio Calabria nel 1882, Unberto Boccioni si è formato dal 1898 al 1902 nello studio del pittore Giacomo Balla, dove si avvicinò al divisionismo, iniziando a dipingere con la tecnica dalla separazione dei colori in singoli punti o linee che vanno a fondersi otticamente tra di loro. Nel 1907 il giovane aspirante pittore si trasferì a Milano, dove entrò gradualmente nella sfera d’influenza del poeta e teorico dell’arte Filippo Marinetti, che proprio in quel momento era impegnato nell’elaborazione teorica del movimento futurista, con il celebre manifesto del 1909, che propugnava un abbandono delle tradizioni del passato a favore di una esaltazione del dinamismo della vita moderna, favorito dallo sviluppo delle nuove tecnologie industilai, come le macchine e i motori. In questo contesto, Umbberto Boccioni aderì al futurismo, adattando le teorie, perlopiù letterarie di Filippo Tommaso Marinetti alle arti visive, e diventando il principale teorico della nuova corrente artistica d’avanguardia. Nel 1910 lui e altri pittori elaborarono e pubblicarono il “Manifesto dei pittori futuristi”, promuovendo la rappresentazione dei simboli della tecnologia moderna: energia, potenza e velocità.
L’opera
Uomini, cavalli e macchine lavorano senza sosta per costruire una nuova città moderna. In primo piano, alcuni uomini cercano di addomesticare dei cavalli che irrompono nella scena. Sullo sfondo, tram, impalcature di industrie in costruzione e ciminiere aumentano il senso di movimento e velocità, che sono i due elementi essenziali del quadro. Sono questi i principali elementi iconografici de La città che sale di Boccioni. Il movimento è trasmesso dalle molteplici linee che puntano caoticamente in ogni direzione sulla tela. Linee verticali proiettano la città verso il cielo e oltre la tela stessa, linee a spirale si alzano al cielo dal collo dei cavalli come tornado, linee curvilinee a forma di s descrivono il movimento vorticoso di uomini e cavalli. Le figure nella folla si intrecciano l’una con l’altra a tal punto che non riusciamo più a metterle a fuoco mentre si allontanano e si rimpiccioliscono nello spazio. A causa della loro incessante velocità e movimento, i lavoratori e i cavalli sembrano senza peso. Sembrano scivolare rapidamente davanti allo spettatore, nonostante i loro sforzi fisici estenuanti.
Realizzata nel 1910, ovvero nel periodo immediatamente successiva l’elaborazione del Manifesto del futurismo, La città che sale di Umberto Boccioni esemplifica i principi che ispiravano questa importante corrente avanguardistica italiana. L’opera, attualmente conservata al Museum of Modern Art di New York, consiste di una trasfigurazione espressiva di un soggetto realistico, il cantiere di una periferia urbana di Milano, Piazza Trento, nella quale stava per essere costruita una vasca di raffreddamento per la nuova centrale elettrica. La scena è osservata dalla finestra dell’abitazione del pittore. Luogo d’incontro tra città e campagna, questa periferia rappresenta per l’artista un punto di trasformazione tipico dell’epoca di grande fermento e innovazione che in quel momento stava vivendo la città di Milano, non a caso la culla del Futurismo. Questo confronto tra la nuova civiltà meccanica e la vitalità naturale è esemplificato dalla figura del cavallo rosso imbizzarrito, in primo piano, un rimando a Pegaso che con la sua dirompente energia irrompe nella scena travolgento un altro cavallo bianco, uomini e atrezzi presenti del cantiere, creando un rimando simbolico con l’imminente sprigionarsi dell’energia elettrica dalla centrale. La sua immagine frammentata è replicata, in scala ridotta, diverse volte, a enfatizzare la vertiginosa rapidità del movimento. Sullo sfondo, l’orizzonte urbano comprende una linea tramviaria, pali elettrici e incombenti ciminiere.
La città che sale di Boccioni: analisi
Umbero Boccioni aveva immaginato La città che sale come parte centrale di un trittico dedicato al tema del lavoro (ed effettivamente il primo titolo dell’opera era proprio Il lavoro). Un richiamo alla cultura simbolista di cui era comunque intriso, che usava ampiamente questo formato. Dal punto di vista compositivo, l’opera presenta forme distorte, organizzate sulle diagonali della tela per enfatizzare l’effetto dinamico dell’insieme. In questo senso, la geometria perde quella funzione di elemento studiato per conferire equilibrio alla composizione, per diventare strumento di organizzazione di linee di forza, intese come contrasti dirompenti in grado di esprimere al meglio ed enfatizzare il movimento e una dinamica esasperata. I colori, trattati ancora con tecnica divisionista, richiamano il fuoco e la luce e sono usati anch’essi per sottolineare la forza irrefrenabile dell’energia elettrica, la vera grande musa ispiratrice del futurismo.
La luce gioca un ruolo energico nel sostenere i lavoratori stanchi con nuova forza e potenza, e nel sottolineare l’ascesa della nuova città moderna. L’intera opera d’arte mostra pennellate rapide e filamentose, che aumentano il dinamismo e l’energia che invade la scena. Questa tecnica pittorica è chiamata Divisionismo, e impiega pennellate direzionali che evidenziano il movimento delle figure. Attraverso questa tecnica, le masse di colore che si fondono e si scontrano l’una contro l’altra generano un effetto dinamico coinvolgente.
Perché la scena non è stata raffigurata dalla realtà, ma dalla visione mentale dell’artista. Lo scopo dell’artista non è principalmente quello di celebrare l’ascesa della città moderna, con tutta la speranza e il rinnovamento che potrebbe portare, ma piuttosto quello di enfatizzare e lodare il movimento incessante e il progresso che uomini e cavalli da lavoro intraprendono. Boccioni ha rappresentato il lungo processo di costruzione, che corrisponde a un periodo di tempo, invece di rappresentare il momento statico di una città finita e costruita, che corrisponde a un punto nel tempo. Il movimento spaziale e la durata del tempo distruggono la concretezza delle figure e le fanno diventare astratte. In questo dipinto, egli esplora il dinamismo interiore degli oggetti della città moderna e apprende “la pura sensazione della realtà plastica”. Questo è coerente con le idee principali del Futurismo, di cui Boccioni fu uno dei collaboratori più influenti.
La città che sale di Boccioni: un manifesto del futurismo
Il Futurismo è stato il movimento più importante dell’arte italiana del 900. Infatti, è la prima Avanguardia italiana, in quanto alla ricerca di uno sconvolgimento culturale, ripudiando la tradizione passata e sperimentando nuovi ideali. Il Futurismo nacque nel 1909, quando un gruppo riunito di artisti e scrittori iniziò a promuovere la rivoluzione industriale e la modernizzazione urbana in Italia. Il loro leader era il poeta Filippo Tommaso Marinetti (1876 – 1944). Il Futurismo non divenne solo un movimento artistico, ma acquisì anche un significato storico e politico. Infatti, arte e politica si sostennero a vicenda per raggiungere lo stesso obiettivo: il rifiuto del passato e l’esaltazione del futuro. La città che sale di Umberto Boccioni è un manifesto futurista, perché racchiude tutte le caratteristiche principali di questa rivoluzione politica e artistica. Il concetto di città moderna era associato a quello di un’immensa macchina in movimento. La città moderna è il luogo dove avviene tutto il progresso industriale e tecnologico, ed è il fondamento del futuro glorioso che il paese attende. I futuristi non ammiravano le antiche città statiche che si soffermavano troppo sul loro passato. Infatti, chiedevano la distruzione dei luoghi storici. Avevano bisogno che sorgesse una nuova metropoli energica e lungimirante, e Milano era la città italiana più moderna in quel momento, perché la sua posizione geografica, vicino al confine nel centro nord dell’Italia, facilitava la comunicazione con il resto dell’Europa. Pertanto, non era isolata e statica come altre città italiane del sud, ma piuttosto arricchita da un flusso di idee diverse provenienti da altre culture e paesi.
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