L’Isola Bella è un complesso artistico e paesaggistico di rara bellezza che appare come un vascello che solca le suggestive acque del Lago Maggiore.  Isola Bella fu voluta dai Borromeo come testimonianza del loro prestigio. L’architetto Crivelli, a cui venne affidato il progetto, sfruttò la cornice del Lago Maggiore e delle montagne per far apparire l’isola come un vascello che solca le acque

“Forse la follia più romantica del mondo classico”, così Geoffrey Jellicoe, rinomato architetto paesaggista del 900, ha definito l’Isola Bella, di fronte a Stresa, in un’incantevole ansa del Lago Maggiore. E a ben guardare è necessario un pizzico di follia per trasformare quello che a inizio del 600 era poco più di uno scoglio con un villaggio di pescatori in un complesso residenziale dotato di un giardino scenografico e dedicarlo alla moglie, Isabella d’Adda, modificando anche il nome della proprietà da Inferiore ad Isola Isabella e poi Isola Bella.

 

Nel 1631 Carlo III  Borromeo, uomo colto e raffinato, lo fece, o meglio, iniziò a farlo, perché furono necessari quarant’anni per concludere l’assetto principale, ottenuto dal figlio Vitaliano VI, che raccolse fedelmente l’eredità del padre. A differenza della vicina Isola Madre, progettata per essere privata, quasi un mondo a parte, la Bella fu pensata anche per riflettere la statura sociale dei Borromeo e l’architetto Crivelli, cui Carlo III affidò il progetto, sfruttò la cornice del lago e delle montagne per far apparire l’isola come un vascello che solcava le acque.

A prua la villa, preceduta da un giardino appuntito, a poppa dieci terrazze digradanti verso il lago, progettate con particolare attenzione alla prospettiva, e un giardino pianeggiante come ponte. Obelischi in granito rosa di Baveno sormontati da pennacchi in ferro si ergono sulle terrazze come gli alberi della nave e statue che rappresentano Flora e altre figure allegoriche, realizzate nel 700 da Carlo Simonetta, sono i passeggeri che guardano verso la riva, il timoniere, collocato sul punto più alto, è Eros, dio dell’amore, a cavallo di un unicorno, simbolo araldico dei Borromeo.
Sull’altro lato della poppa, spostandosi verso la villa, si trovano le terrazze del Teatro Massimo, il fulcro dei giardini, ingentilito da nicchie a forma di conchiglia, con statue in pietra bianca al loro interno, e da sessanta vasi con Buxus sempervirens ‘Faulkner’ potato a sfera ai lati delle scale che collegano i tre livelli, a loro volta sottolineati da fioriture stagionali in colori delicati che ben si accostano al grigio della struttura, senza sbavature cromatiche.

La terrazza più alta è un belvedere con una vista completa del golfo ma costruita più per essere guardati che per guardare, un chiaro messaggio di esclusività e di potere. Si giunse a questo risultato grazie a continui apporti di terra e contestuali terrazzamenti e livellamenti del terreno e a un enorme cantiere che contemplava la presenza di più maestranze, anche per costruire i complessi impianti idraulici per trarre dal lago l’acqua per l’irrigazione di tutti i giardini e terrazze e il mantenimento delle fontane. La particolare conformazione dell’isola, che presenta una curva nei pressi della prua immaginaria (il palazzo), impegnò il Crivelli in una sfida progettuale, privandolo dell’asse rettilineo che gli avrebbe consentito di creare l’illusione di un vascello.
L’architetto superò l’ostacolo brillantemente: al termine del ponte, ora chiamato il Piano della Canfora, creò una doppia scala a chiocciola che scende al livello dell’ingresso del palazzo dove si trova una sorta di grotta all’aperto di forma poligonale e dove l’asse viene ripreso ma ad angolo rispetto a quello superiore, secondo l’inclinazione naturale dell’isola, e disorientando così il visitatore, convinto di seguire lo stesso asse.

A partire dall’800 i giardini, le terrazze, i parapetti e i viali vennero impreziositi con nuove piante, grazie soprattutto a Vitaliano IX, che già si occupava di arricchire l’Isola Madre di specie esotiche, in virtù di una rete di scambi coi cacciatori di piante dell’epoca, e i giardini iniziarono a trovare un assetto coerente. Davanti al Teatro Massimo fu portato a compimento il giardino all’italiana con due grandi aiuole inerbite delimitate da siepi in bosso topiato, a una quota inferiore in un sistema organizzato di aiuole geometriche vennero messi a dimora alberi e arbusti profumati, anici, carrubi, mirti, magnolie, alcune Theaceae provenienti dall’Isola Madre, conifere e una canfora (Cinnamomum camphora) che ora è un imponente esemplare che dà il nome alla terrazza.

I muri vennero ornati con spalliere di camelie e ibischi (Hibiscus syriacus), gelsomini, rose, Hydrangea petiolaris e quelli più esposti a sud con agrumi, oppure ricoperti di Ficus pumila. Furono creati viali monospecifici come quello dei melograni e degli aranci amari (Citrus × urantium), quest’ultimo nella parte privata ma visibile dalle terrazze sovrastanti. Brahea armata e Jubaea chilensis furono poste a ingentilire l’ingresso del palazzo, sempre Brahea ma insieme a Trachycarpus fortunei e Cycas revoluta sono state piantate nella prima terrazza accanto alla Torre della Noria, dove si trova anche una sughera, mentre la parte affiorante dall’acqua fu rivestita da glicini. Grandi macchie di azalee (Rhododendron indicum), Rhododendron arboreum, R. a. ‘Kermesinum’, R. simsii ora rallegrano varie zone dei giardini in primavera, mentre una collezione di ortensie arricchisce di colori l’estate. Parterre de broderie in bosso topiato con disegni dalle forme elaborate furono disposti nel Giardino d’Amore.

Tutto si compose con un’armonia perfetta, in una sobria alternanza di colori che fanno da contraltare ai verdi, di tessiture fogliari non banali e di profumi a volte inebrianti. Quando l’isola fu aperta al pubblico, a metà del 900 circa, si aggiunsero vasi con fiori a rotazione a ornare balaustre e scalinate.

La ricerca botanica di piante idonee al luogo non si è mai fermata. Il dinamico sistema di relazioni tra assi prospettici che incrociano linee trasversali, quali balaustre, terrazze e viali, e oblique, principalmente scale ellittiche o circolari, il connubio perfetto con la vegetazione che si sposa con le architetture senza sovrastarle, e i pavoni bianchi danno luogo a grandiosi effetti scenografici che trasportano chi si trova in giardino in un viaggio onirico, nel ricordo dei Giardini Pensili di Babilonia, dove la realtà lascia il posto all’immaginazione, alla contemplazione della bellezza, sublimando l’immagine di una luogo fiabesco: “giardini ancorati in un lago di sogni” scrisse Edith Wharton nel suo Italian Villas and Their Gardens.

 

L’Isola Bella fa parte del Network Grandi Giardini Italiani.

 

Elisabetta Pozzetti

©Villegiardini. Riproduzione riservata

© Foto di Grandi Giardini Italiani e © Foto di Dario Fusaro

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