Lilli Doriguzzi, artista, ha trovato il suo spazio ideale in Cadore, nello chalet anni 50, ancora oggi splendido esempio dello stile razionalista “Stare”. Che non vuol dire rimanere immobili: è piuttosto un verbo di movimento, di libertà di intenzione. Ed è per questo che l’artista Lilli Doriguzzi lo ha scelto come titolo per la mostra che ha voluto portare nella ex colonia estiva del Villaggio “Corte delle Dolomiti”, a Borca, sulle pendici del monte Antelao a cavallo tra il Cadore e l’Ampezzano.
Si stratta di una scultura, un multiplo di 20 scritte al neon installate lungo il corridoio che congiunge i due principali ambienti dell’ex colonia. “Stare” è anche un omaggio all’architetto Edoardo Gellner, che per conto di Enrico Mattei progettò a metà degli anni 50, un villaggio vacanze per i dipendenti Eni. “Quando ho visto la casa la prima volta una decina di anni fa”, racconta Lilli, “ l’ho trovata perfetta e non ho aggiunto nulla. C’era tutto. I mobili, i piatti, le lampade. Ogni dettaglio, persino le tende era stato pensato con intelligenza e buon gusto”. Pavimenti di linoleum azzurro, pareti e soffitti in legno. Una stufa in maiolica color castoro, che scalda tutta la casa. I piatti hanno ancora la piccola grafica del cane a sei zampe. Nulla a che vedere con il modello chalet altoatesino. I mezzi di Mattei e la mente di Gellner hanno prodotto per l’epoca un gioiello di modernità assoluta. Gli spazi sono sfruttati come fossero gli interni di una barca.
Nata in montagna, a Pieve di Cadore, da una famiglia di imprenditori del legno, Lilli doveva seguire le impronte paterne ma ha trovato invece da sola la sua strada. Ha studiato lingue in collegio, si è trasferita a Venezia e poi ha girato il mondo: per lei si è aperta la strada dell’arte, mai più abbandonata. Quando ha incontrato l’uomo della sua vita si è imbarcata con lui su un cargo che trasportava gas e ha fatto il giro del mondo. “Io nata sulle montagne”, racconta Lilli, “ho trovato un marito marinaio, uno stacco mostruoso”. Ma il connubio è riuscito. E la casa di Borca li rappresenta entrambi. Per lei è la montagna vera, quella della sua infanzia, più quotidiana che turistica; per lui vivere in quegli spazi razionali e semplici è come vivere in una barca sospesa tra gli abeti. Fuori nemmeno un filo elettrico o un traliccio a disturbare la vista:
“È stata un’idea di Gellner, quella di nascondere i cavi sottoterra”, racconta Lilli. “Mattei non ne voleva sapere, troppo costoso. Poi Gellner lo provocò: mise un bel palo della luce davanti al primo edificio e lo mostrò a Mattei. E poi non se ne parlò più”.

TESTO DI ALESSANDRA MATTIROLO / FOTO DI ADRIANO BRUSAFERRI

ANTENNE

Il vetro e la luce

Lilli Doriguzzi vive e lavora a Venezia. Nelle sue opere il corpo è strumento d’indagine imprescindibile, dalla quale nasce la sua meditazione sul segno del passaggio.
Lilli trova la sua cifra nel concetto di fragilità contrapposto a quello di resistenza e forza. Predilige materiali trasparenti e riflettenti, quali il vetro e la luce. Nelle sue opere viene evocata la dimensione del viaggio, percorsa con un ritmo che lei definisce “afasico”.
La città di Venezia, intesa come spazio di vita e di esperienza è spesso rappresentata nel suo lavoro d’artista: una ricerca continua che si confronta con tecniche differenti, dal video all’installazione alla fotografia attraverso la scultura.
Tra le sue ultime mostre: Kaleidoscopio, Light box, Stanze del vetro, Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia; Canal Grande-tavolo da gioco, un’opera presentata in occasione di L’arte libera la notte all’ Università Ca’ Foscari (lillidoriguzzi.info). Il Kaleidoscopio (nella foto in alto) è una delle opere recenti di Lilli Doriguzzi, un multiplo in 50 esemplari  tuttora in vendita nel bookstore del museo “Le stanze del vetro” all’isola di San Giorgio a Venezia. Come nel tradizionale gioco si appoggia l’occhio all’estremità del Kaleidoscopio e si ruota la parte terminale mobile. Quello che appare sono figure geometriche formate da spesse murrine blu e bianche con segnate le lettere X e Y che muovendosi creano infinite combinazioni. Forme che rimandano a caratteristiche fisiche ben definite che si distinguono  come i maschi dalle femmine, Kaleidoscopio potrebbe farci riflettete sulla totale casualità e mutabilità dei rapporti nelle nostre vite.

Gellner e Scarpa

“L’onestà è alla base del pensiero di Edoardo Gellner”, dice Lilli Doriguzzi, “Un progetto fatto per la comunità senza interessi economici, senza alcun intento speculativo”.  A partire dalla scelta del luogo. Un ghiaione all’origine, un “covo di vipere”, come lo chiamavano i locali. Ma l’esposizione era giusta  e la genialità dell’architetto fece il resto.
Delle 600 unità previste dal progetto iniziale ne furono realizzate 260, più un albergo, un residence, la colonia, un campeggio e la Chiesa di Nostra Signora del Cadore, realizzata con la collaborazione di Carlo Scarpa. Nella foto qui sopra, un dettaglio della stufa progettata dall’architetto Gellner insieme con Carlo Scarpa. È in ceramica di color castoro ma ne esistono altri esemplari in giallo nel villaggio “Corte delle Dolomiti” . Si dice che Carlo Scarpa disegnò il motivo della spirale affondando il suo dito nell’impasto fresco della ceramica. Gli elementi sono stati fatti a mano uno a uno ed è per questo che sono disuguali. Tecnicamente la stufa è perfettamente efficace ed è capace di irradiare calore in pochi minuti in tutta la casa.