Tra le numerose espressioni artistiche giapponesi, l’ikebana 生け花, l’arte della disposizione dei fiori, rappresenta una delle tradizioni più riconosciute a livello globale.
Insieme ad altre forme artistiche come la cerimonia del tè, o cha no yu 茶の湯, e la calligrafia, conosciuta come shodō 書道, l’ikebana funge da autentico ambasciatore della cultura giapponese, veicolando in tutto il mondo le particolarità estetiche e la raffinatezza della tradizione nipponica.
Nel segno grafico della parola fiore, un significato spirituale
Il carattere giapponese per “fiore”, hana 花, si svela in due tratti distinti: 艹, la parte superiore che evoca la natura stessa, un filo di erba, un ramo, o il fiore che sboccia, e 化, la parte inferiore, che suggerisce l’idea di trasformazione, di cambiamento, di un divenire perpetuo. Attraverso la scrittura, il Giappone ha sviluppato un linguaggio che non solo descrive, ma incorpora concetti filosofici dal significato e dal valore profondo. Come il passaggio del tempo e la transitorietà della vita. Il fiore, dunque, non è solo un elemento che cresce e sfiorisce, ma un organismo che danza nel tempo, attraversato da cicli invisibili di nascita, vita e morte. Ogni fiore è un miracolo senza fine, un soffio di vita che appare e
svanisce, ma che sempre rinasce. È come una fenice che, dalle proprie ceneri, prende forma di nuovo, eterno nel suo ricominciare. Così, nel fiore, i giapponesi vedono riflessi i contorni sfumati della loro stessa esistenza. Una bellezza effimera che pulsa di vita, ma che è destinata a dissolversi nell’ombra del tempo. Eppure, nella sua caducità, il fiore porta con sé una verità silenziosa, che si svela nella contemplazione: la bellezza più pura nasce dal suo stesso morire. E così, in ogni petalo che si piega, si rinnova un frammento della nostra esistenza.
L’origine dell’ikebana
L’origine dell’ikebana (letteralmente “rendere vivi i fiori”) è piuttosto incerta. L’ipotesi oggi più accreditata è quella che la colloca nel contesto dell’introduzione del Buddhismo in Giappone, avvenuta nel VI secolo d.C., in concomitanza con l’arrivo di monaci e discepoli di Buddha provenienti dalla Cina e dalla Corea. Fu in questo periodo che, accanto ai già esistenti santuari shintō, furono eretti templi buddhisti. Al loro interno, venivano inizialmente disposti rami di piante, privi di fiori e senza alcuna connotazione estetica, ma piuttosto con una funzione simbolica e votiva.
L’uso dei rami in questi spazi sacri, rappresentava un’offerta alla divinità, destinata a evocare la serenità spirituale e l’armonia con la natura. Tra i primi fiori utilizzati nella disposizione sugli altari buddhisti vi furono i fiori di loto. Emergendo dalle acque stagnanti e torbide, simboleggiavano per i buddhisti la purezza in un mondo altrimenti impuro. Il loto rappresentava inoltre l’aspirazione dell’essere umano a trascendere la condizione terrena per elevarsi verso l’idealizzazione del cielo.
L’evoluzione nel corso dei secoli
Durante il periodo Heian (794-1185), era consuetudine inviare poesie legate a un ramo
fiorito, quale gesto simbolico di ammirazione e di espressione sentimentale. Tale dono veniva frequentemente posto in un recipiente d’acqua e collocato in un luogo di rilievo all’interno della stanza, come segno di cura e rispetto.
Nel XIII secolo si iniziò a osservare l’uso di una lunga tavola appoggiata alla parete, utilizzata come elemento ornamentale nelle residenze della nobiltà di corte e dei guerrieri di alto rango.
Su questa tavola venivano posizionati tre piccoli tavoli, ognuno dei quali ospitava un numero variabile di oggetti, generalmente tra i tre e i cinque. In particolare, il tavolo centrale ospitava un portacandele, un bruciatore di incenso e un vaso di fiori, mentre sui due tavoli laterali venivano elegantemente posizionate composizioni floreali. Al di sopra dei tavoli, sulla parete, venivano appesi dipinti, solitamente tre o cinque, che completavano l’armonia visiva dell’ambiente. Queste composizioni decorative possono essere considerate i precursori dell’alcova incassata, nota come tokonoma 床の間, che, nel tempo, sarebbe divenuta un elemento fondamentale nella decorazione degli spazi interni delle residenze giapponesi.
L’ikebana per i samurai
Durante i secoli XIV e XV, i guerrieri giapponesi, inizialmente relegati al ruolo di guardie del palazzo, acquisirono progressivamente potere, dando origine alla classe dei samurai e, successivamente, assumendo il controllo come signori feudali. L’ikebana, insieme alla cerimonia del tè, alla calligrafia e alla composizione poetica, divenne una componente essenziale del bunbu 文武 (addestramento del samurai), che coniugava l’arte della guerra con quella delle lettere e delle pratiche estetiche. Pertanto, l’ikebana occupava un ruolo di rilievo, rappresentando una via di comprensione delle leggi naturali, della bellezza e del valore intrinseco della vita.
Con l’affermarsi dello shōgun 将軍 come la figura di maggiore autorità tra i samurai e l’istituzione del governo noto con il termine di bakufu 幕府, si produssero significativi cambiamenti socio-politici che influenzarono anche l’architettura. Man mano che i signori feudali acquisivano prestigio e potere, cresceva il desiderio di ostentare la propria ricchezza e la propria posizione sociale. In tale contesto, nacque il tokonoma, originariamente uno spazio dedicato all’esposizione delle armature, ma che, con l’instaurarsi di un periodo di pace e unificazione del Giappone sotto il governo degli Ashikaga, si trasformò in uno spazio dedicato alla cultura estetica e spirituale, dove venivano esibiti oggetti d’arte.
Il ruolo dell’ikebana nel tokonoma
Il tokonoma è oggi considerato un elemento fondamentale dello stile shoin zukuri 書院造, una delle principali tipologie di architettura residenziale giapponese premoderna. Lo shoin
zukuri si sviluppò all’interno delle residenze dei guerrieri e prevedeva l’inclusione di un tokonoma decorato, insieme a una scrivania e a scaffali integrati. All’interno di questo spazio, era consuetudine disporre con cura un insieme di oggetti che, pur variando nei dettagli, seguivano regole estetiche precise: un rotolo appeso, generalmente con un dipinto o una calligrafia, una composizione floreale, e su uno scaffale adiacente, un oggetto d’arte di valore.
Per quanto riguardava la composizione floreale, pur essendo un campo che offriva grande
libertà creativa, era essenziale che essa fosse in armonia con la stagione e con gli altri oggetti presenti nel tokonoma.
Ikebana, un cammino infinito fatto di spiritualità e bellezza
Così, nel corso dei secoli, l’ikebana ha percorso un cammino ricco di significato, intrecciando spiritualità, arte e filosofia. Dalle prime offerte votive nei templi buddhisti alle eleganti composizioni nel tokonoma, ogni ramo, ogni fiore ha continuato a raccontare la storia di una cultura che ha saputo vedere il mondo con occhi attenti alla bellezza della natura.
Maurizio Bertoli
©Villegiardini. Riproduzione riservata
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