Testo e Acquerello di Valentina Grilli
Concludiamo la trilogia dei piccoli passeriformi legati alla leggenda della passione di Cristo con il pettirosso. Dalla forma tondeggiante e dai grandi occhi espressivi, questo pennuto cela sotto l’aspetto dolce un’indole orgogliosa e a tratti aggressiva.
Il Pettirosso e il suo habitat
Con la caratteristica livrea rosso rame che incornicia gli occhi estendendosi fino la petto e con un peso di soli 16 grammi, il pettirosso possiede un senso di appartenenza territoriale molto spiccato e non ammette l’intrusione di suoi simili nel proprie aree abitative. Non è raro osservarlo mentre scaccia in malo modo chiunque osi avvicinarsi alle sue regioni.
I boschi di conifere sono il suo habitat naturale ma negli anni si è adattato anche a zone antropizzate, come giardini, siepi e parchi pubblici sopratutto in inverno quando, con il freddo, si fa più forte la necessità di trovare cibo.
Solo in prossimità della stagione degli amori il pettirosso abbandona le sue abitudini solitarie per unirsi alla compagna con la quale si rivela premuroso, tessendo con lei un compatto nido che può essere ospitato nelle spaccature dei tronchi, ai piedi delle siepi, ben nascosto tra foglie di edera o, addirittura, all’interno di oggetti dismessi dall’uomo se ritenuti idonei dalla coppia.
Il Pettirosso nella Storia dell’Arte, i Preraffaelliti
Nella storia dell’arte il pettirosso torna più volte, accompagnando scene della passione del Gesù, poiché anche lui come fringuello e cardellino tentò secondo la tradizione di estrarre le spine della corona che cingeva il capo del Messia. Tuttavia oggi ci allontaneremo dalla tradizione cristologica, esplorando il dipinto di John Everett Millas, Ophelia (1851-52) considerata l’opera più rappresentativa della Confraternita Preraffaellita.
Il quadro ritrae la morte dell’eroina descritta nel IV atto dell’Amleto di Shakespeare; perdendo il senno per la morte del padre Polonio e per l’abbandono dell’amato Amleto, la giovane donna cade e annega in un torrente della superficie vitrea lungo la cui riva stava raccogliendo fiori intonando solitarie litanie.
Nel quadro Ophelia è presentata come una figura esile e fragile, incastonata come una gemma in una ricca vegetazione che contribuisce a creare un ambiente intimo, quasi sacro, attorno alla sua figura. Osservando in modo lenticolare la natura del Surrey, Millais da vita da una complessa rete di elementi simbolici, tra cui compare anche il pettirosso, un animale che in epoca vittoriana era molto amato. Spaziando con lo sguardo in un tripudio specie floreali , l’occhio del fruitore incontra nell’angolo in alto a sinistra il piccolo uccello, abbozzato con pennellate morbide ed intuitive; egli incarna il simbolo della pietà, della passione e del dolore inconsolabile assurgendosi a dico testimone silenzioso di una morte futile e prematura.
Il Pettirosso nella Storia dell’Arte, Raffaello
Raffaello è celebre per aver colto la grazia delle forme umane e i moti dell’animo che si celavano dietro la pelle, ma nelle Logge Vaticane – al centro del triplice porticato ideato da Bramante – il genio urbinate orchestrò cinquantadue scene dove la natura divenne protagonista indiscussa. Il risultato, affidato ai suoi giovani collaboratori, fu un compendio di specie vegetali e animali, scelti per il loro significato simbolico o semplicemente per la loro bellezza.
Tra i vari uccelli rappresentanti viene riprodotto un unico pettirosso ben interpretato nelle sue caratteristiche essenziali forse dalla sapiente mano di Giovanni da Udine. L’allievo che anche secondo il Vasari era dotato di una uno spiccato interesse nella raffigurazione di elementi naturali, che schizzava dal vivo in un taccuino.
Collocato in una delle lunette della quinta volta, il nostro pennuto si staglia su uno sfondo blu intenso, poggiando leggero sopra un mazzo di pesche con i virgulti ancora in fiore.