Il libro di Diego Galdino è rimasto sul mio comodino per un bel po’. Non volevo arrivare alla fine. Così, per allontanare l’idea, mi lasciavo sempre qualche pagina a domani, come a garantirmi altri momenti di sicura felicità. Del resto faccio lo stesso quando compro i cioccolatini, quelli fondenti con la ciliegia dentro, i miei preferiti. La scatola non è mai vuota, perché il pensiero di averne ancora mi conforta. “Vorrei che l’amore avesse i tuoi occhi” è la storia di due persone che si conoscono. Anzi, di due anime che si riconoscono. E quando questo succede, nonostante i nonostante, da qualche parte è già scritto che si debbano ritrovare, anche lungo un sentiero in salita, con i bagagli pesanti di un passato ingombrante. Terzo romanzo edito da Sperling & Kupfer, dopo “Il primo caffè del mattino “e “Mi arrivi come da un sogno”. Titoli che da soli sono già delle dichiarazioni d’amore.
1 – Oltre alla tua professione di scrittore, è un’altra quella che ti accompagna da sempre.
In realtà il mio vero lavoro consiste nel gestire il bar di mio padre, un bar in cui sono nato, ho imparato a camminare, ho fatto tutte le esperienze più importanti della mia vita, dove i clienti ormai sono dei familiari aggiunti. Io mi sveglio da sempre tutte le mattine alle quattro, scrivo per un’ora e mezza e poi mi travesto da barista per andare a preparare il primo caffè del mattino, come ai protagonisti del mio primo romanzo.
2 – Chi ti ha insegnato a tradurre così bene tutte le sfumature dell’animo femminile?
Credo che nel mio modo di scrivere e in quello che scrivo, grande importanza abbiano avuto due scrittrici che io amo molto come Jane Austen e Rosamunde Pilcher. Quando mi dicono “tu scrivi come una donna” per me è un grande complimento, perché la sensibilità dell’animo femminile è merce rara e se io riesco ad interpretare al meglio il suo significato, non posso che esserne lusingato.
3 – Quando trovi il tempo per scrivere? E in quale stato d’animo riesci a farlo meglio?
Inizio molto prima dell’alba. Forse perché a quell’ora tutti dormono e nessuno può rompermi le scatole. Quando scrivo sono sempre felice, perché grazie alla scrittura riesco ad evadere dal mio contesto quotidiano e a fare quelle cose che nella mia vita di tutti i giorni non posso fare, per vari motivi. Vivo la vita che vorrei vivere attraverso i personaggi delle mie storie. Fosse per me, se ne avessi la possibilità, passerei le mie giornate a scrivere e a leggere che insieme a fare l’amore sono le cose che amo fare di più.
4 – I social hanno il merito di accorciare la distanza tra lettore e autore: come vivi questa vicinanza?
Io sono molto grato ai social perché grazie ad essi ho la possibilità di confrontarmi quotidianamente con i miei lettori. Ho sempre considerato le persone che leggono i miei romanzi degli amici. E non vedo come potrebbe essere altrimenti. Mi danno fiducia a scatola chiusa, comprando i miei libri senza nemmeno sapere chi sono. Ed io nel mio piccolo cerco di contraccambiare questa loro fiducia, dando loro l’importanza che meritano, la mia attenzione, la mia disponibilità. E’ vero in questo modo dormo molto poco, e il mio profilo Facebook è diventata una sorta di posta del cuore, dove tante persone mi scrivono per raccontarmi le loro vicissitudini amorose chiedendomi consigli, come se io in quanto scrittore di romanzi d’amore, possa avere la verità in tasca su un argomento così complesso e difficile. In realtà io non faccio altro che ascoltarli cercando di dar loro un po’ di conforto o una mano nel caso abbiano bisogno di scrivere qualcosa di bello alla persona che amano. Forse questa è proprio la parte più bella della mia attività.
5 – E’ appena uscito il tuo nuovo libro, “Ti vedo per la prima volta”.
E’ una storia a cui tengo molto, perché la protagonista è una ragazza narcolettica. La narcolessia, più conosciuta come la malattia del sonno è una di quelle malattie rare di cui si parla poco, ma di una gravità devastante. Ed io sono stato ben felice di poterne parlare nel mio romanzo per cercare di aiutare l’Associazione Italiana Narcolettici a far conoscere le problematiche e i sintomi di questa malattia a chi magari ne è affetto, ma non lo sa o non la sa riconoscere. La storia si svolge a Roma, uno degli amori della mia vita, con una capatina in Svizzera. Josephine ha grandi occhi verdi e un sorriso contagioso, nonostante la vita l’abbia presto messa alla prova costringendola a convivere con una malattia che le rende difficili anche le azioni più semplici. Ho anche iniziato anche a scrivere il seguito de Il primo caffè del mattino. La cosa positiva è che come mi capita tutte le volte, è una storia che si sta scrivendo da sola.