Giordano Bruno Guerri, storico e presidente della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani spiega la genesi e illustra la filosofia che ha ispirato la valorizzazione di questo inestimabile bene culturale voluto da Gabriele d’Annunzio, anticipando idee e progetti per il futuro. 

Per quali motivi d’Annunzio ha scelto il territorio del Garda e nello specifico proprio la villa Cargnacco, per realizzare il Vittoriale?

Dopo i trionfi della Prima Guerra Mondiale e l’impresa di Fiume, Gabriele d’Annunzio decise di ritirarsi a vita privata. Nel gennaio del 1921 chiese quindi ai suoi uomini di fiducia di trovargli una casa vicino all’acqua. Doveva essere anche nel Nord Italia, per ridurre il rischio di visite indesiderate di parenti e amici di gioventù. Lui conosceva bene il lago di Garda, che aveva sorvolato durante la Grande Guerra per provare gli aerei, e gli piaceva molto. “È di una bellezza improvvisa, indicibile”, scrisse in una pagina dei Taccuini datata 4 settembre 1917. Quindi, quando fu accompagnato a visitare la casa colonica che gli avevano indicato, una vecchia cascina del 700, malmessa ma con un po’ di giardino, gli piacque. Probabilmente furono decisivi in questa scelta la vista del lago, l’isolamento dalla mondanità e dai commerci umani. Nonché la distanza da stazioni e linee ferroviarie che avrebbe evitato l’afflusso di curiosi o ex legionari fiumani. Una ulteriore influenza nella decisione fu esercitata dalla presenza di un pianoforte Steinway appartenuto a Liszt, nonno della moglie dell’ex proprietario oltre alla fornitissima biblioteca con oltre 6.000 volumi e all’ampio giardino colmo di rose. La prese quindi in affitto per un anno, dopodiché decise di acquistarla con un mutuo di 130.000 mila lire che non pagò mai. Infatti, ebbe la buona idea di regalare la casa e il giardino allo Stato italiano che, dichiarandoli monumento nazionale, si assunse l’onere di finanziare quello che sarebbe diventato il Vittoriale.

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L’ingresso alla Prioria, la casa di Gabriele d’Annunzio, che amava definirsi il Frate Priore. Foto Courtesy Fondazione il Vittoriale degli Italiani

Tutti i progetti di ampliamento della villa sono stati realizzati dall’architetto Maroni. Quali sono secondo lei i motivi di un sodalizio così duraturo?

Prima di tutto perché Giancarlo Maroni era un grande architetto, originale e creativo. Le sue capacità non sono molto note perché sostanzialmente dedicò quasi tutta la sua carriera professionale al Vittoriale. Il sodalizio nacque con i migliori auspici perché Maroni era stato un combattente valoroso nella Prima Guerra Mondiale ed era stato consigliato da uno degli uomini di fiducia di d’Annunzio. Poi era particolarmente abile nel soddisfare i desideri del Comandante. La sua capacità era quella di dirgli sempre sì ma allo stesso tempo controllarlo e guidarlo.

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L’Officina, lo studio dove D’Annunzio studiava e scriveva. A differenza degli altri ambienti della Prioria in cui la luce è soffusa (Il Vate era fotofobico in seguito a un incidente di guerra nel 2016, durante il quale aveva perso la vista dell’occhio destro) è una stanza molto luminosa. Si notano il calco in gesso del volto di Eleonora Duse, velato perchè non fosse fonte di distrazione, e della Nike di Samotracia. Alla stanza si accede salendo tre alti scalini e dopo essere passati sotto un basso architrave, che costringe chi entra a chinarsi. Un inchino alla cultura e alla conoscenza. Foto Courtesy Fondazione il Vittoriale degli Italiani

Come si articolava la relazione creativa e progettuale tra d’Annunzio e l’architetto?

D’Annunzio non aveva idee ma desideri, che tuttavia nascevano da un progetto estetico e culturale preciso e non da capricci estemporanei. Queste intuizioni venivano esaminate e discusse con l’architetto per poi essere realizzate da Maroni. Il Poeta assisteva e coordinava, comandava e assillava fino alla paranoia. L’architetto lo seguiva passo passo, senza mai prendersela anche quando veniva scavalcato da d’Annunzio che voleva istruire le maestranze, consigliare, correggere. Tutto questo non valeva solo per i nuovi edifici, ma anche per il parco. È stato definito in ogni singolo dettaglio dal Comandante, che ha voluto creare un effetto di natura libera, anche se in realtà è condotta per mano e controllata in ogni singolo dettaglio.

La Stanza della Cheli, sala da pranzo in stile Art Déco. Deve il suo nome a una tartaruga in bronzo opera di Brozzi, all’interno del carapace di una vera tartaruga, che d’Annunzio raccontava essere morta per indigestione. La sua presenza è un monito per gli ospiti a non cadere vittime dell’ingordigia. Foto Courtesy Fondazione il Vittoriale degli Italiani

Qual era il rapporto di Gabriele d’Annunzio con le arti applicate e come si è esplicitato nelle sue scelte d’arredo e decorazione per il Vittoriale?

Si riteneva un grande arredatore, anzi “migliore come decoratore e tappezziere, che come poeta e romanziere”… Conosceva perfettamente la qualità di una seta, il disegno di un gioiello, si serviva dei migliori fornitori. Ogni oggetto, mobile è stato scelto e posizionato secondo un disegno preciso e ogni stanza era così “studiosamente composta”. D’Annunzio impose a Maroni di chiamare i migliori maestri dello scalpello e del legno, della pietra, del bronzo, dell’avorio del vetro e della ceramica. Alla Santa Fabbrica del Vittoriale convennero così a realizzare arredi e decorazioni Cadorin, Canali, Buccellati, Chiesa, Brozzi, Minerbi, Martinuzzi, Marussig.  Tutti nomi nella storia delle Arti Decorative e dell’arredamento. Questi maestri misero il proprio talento al servizio del Genio che voleva fare del proprio eremo un regno di “scuole, botteghe e officine per rimembrare e rinnovellare le tradizioni italiane delle arti minori”.

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abiti in tessuti pregiati, spesso creati da lui e fatti confezionare ad hoc, collezioni di scarpe che insieme a gioielli e oggetti simboleggiano il gusto raffinato del Vate. Prima erano contenuti negli armadi e nei cassetti della Prioria, oggi sono esposti nel Museo d’Annunzio Segreto. Foto Courtesy Fondazione il Vittoriale degli Italiani

Che stile di vita conduceva al Vittoriale?

Oltre che a rappresentare la memoria tangibile e l’estetica di una “vita inimitabile” il Vittoriale è stato il teatro della gioia di vivere di d’Annunzio. Se in vena, non disdegnava i panni dell’istrione e avrebbe fatto anche il saltimbanco se le gambe glielo avessero consentito. Sul finire della vita, si regalò tra i primi al mondo un cinema personale per godersi i film che lo divertivano. Appassionato di musica, acquistò un modernissimo grammofono per ascoltare musica. Sinfonica, operette, melodie popolari e i nuovi ritmi del Nuovo Mondo, soprattutto il jazz. Il lago gli consentiva inoltre di soddisfare la sua passione per la velocità. Non era raro vederlo solcare le acque con il MAS 96 e l’idrovolante Alcyone. Ricco anche il suo parco automobili. Comprendeva la Lancia Trikappa Torpedo, varie versioni dalla Lancia Lambda, la potente Fiat 509, regalata da Giovanni Agnelli, e l’Isotta Fraschini Tipo 8B. Oltre a questo, il soddisfacimento dei suoi desideri, che doveva essere immediato. Ogni giorno un diversivo, l’attesa di un oggetto per abbellire le sue stanze, acquisti da commissionare. … Con scelte anche stravaganti, come quella di mandare l’autista ad acquistare le pesche a Milano, che non era certo una passeggiata a quei tempi.

La Valletta dell’Acqua pazza e delle sue cascatelle, con La ragazza che si asciuga i capelli (1999), opera in bronzo di Venanzo Crocetti. Foto Courtesy Fondazione il Vittoriale degli Italiani

La dimensione simbolica è molto significativa nel Vittoriale ed esprime pensieri, filosofia, desideri e sogni di d’Annunzio. Per quanto riguarda il parco quali sono gli elementi simbolici più significativi e quale invece quelli più curiosi e meno noti?

La dimensione simbolica è molto presente anche nel parco. Per esempio nei due ruscelli dell’Acqua pazza e dell’Acqua savia che scorrono ai lati della nave Puglia e confluiscono nel Laghetto delle Danze, a forma di violino. Qui è tutto studiatissimo. Il rivo dell’Acqua savia scorre silenziosamente e il rivo dell’Acqua pazza produce il rumore dell’acqua che scorre tumultuosamente, così come voleva d’Annunzio. Un giorno, quando Maroni interruppe il flusso dell’acqua, il Comandante gli scrisse una lettera disperata, lamentandosi che aveva “ucciso l’acqua”.

Un altro aspetto simbolico, che io stesso ho scoperto dopo il mio arrivo al Vittoriale, riguarda l’Arengo, un piccolo giardino. Vi si svolgevano le riunioni con i compagni di guerra. Tutti i sedili erano rotti, le radici delle Magnolia grandiflora avevano spezzato tutto che era ricoperto di muschio a causa delle foglie secche. Chiesi di rimuoverle, ma i collaboratori mi dissero che le foglie rappresentavano i compagni caduti in guerra. Per questo significato simbolico adesso nessuno le tocca.

Una vista del Vittoriale dal suo colle più alto, denominato Mastio o Colle Santo, dove è situaro il Mausoleo, un luogo di grande suggestione, dove riposa il Poeta, traslato dal Tempietto delle Memorie nel 1963, insieme i suoi fedeli compagni e a Gian Carlo Maroni. Completato dopo il 1938, segue il modello dei sepolcri a tumulo romani, con tre gironi in pietra. Poco più in basso, la Regia Nave Puglia immersa tra olivi e cipressi, piante simbolo del luogo, e quindi la Valletta dell’Acqua savia e il Laghetto delle Danze. Immediatamanete a destra del Mausoleo, si scorge il ricovero del MAS 96 (motoscafo anti sommergibile), usato da d’Annunzio per la Beffa di Buccari. In centro, si notano la Prioria e i suoi giardini. Il colle, inoltre, gode di una vista panoramica sul lago. Foto [nadirco]/stock.adobe.com

D’Annunzio ha realizzato interventi grandiosi e visionari, basti pensare al trasporto e all’installazione della Nave Puglia. Quali interventi non è riuscito invece a realizzare?

L’anfiteatro, che era il desiderio sommo della sua vita; è riuscito a solo a definire il progetto ma non l’ha mai visto realizzato. Soddisfazione che non ebbe nemmeno Maroni, perché i lavori per la sua costruzione terminarono nel 1952. Le gradinate sono rimaste in cemento sino al 2019, mentre il progetto prevedeva una copertura in marmo rosso di Verona ed è rimasto incompiuto finché abbiamo trovato i fondi e siamo riusciti a ultimarlo. L’anfiteatro è una ulteriore dimostrazione della grandezza di d’Annunzio e Maroni. Ora che lo guardo nella sua versione finale capisco quanto sia vasta la bellezza di questo progetto.

Nel 2010 il parco del Vittoriale degli Italiani è stato arricchito con il Cavallo Blu di Mimmo Palladino a rendere ancora più scenografico il luogo. L’opera ha inaugurato una serie di opere d’arte contemporanea installate nel corso degli anni a seguire. Foto Courtesy Fondazione il Vittoriale degli Italiani

Il Vittoriale è un’immagine cristallizzata dello stile di vita e dell’estetica di d’Annunzio; la vostra logica di gestione è solo conservativa o aperta a nuove interpretazioni e contaminazioni con la contemporaneità? Quali criteri seguite in questo senso?

All’interno della Prioria non si tocca assolutamente niente, anche perché l’aveva scritto lo stesso d’Annunzio nel suo testamento e una legge dello stato lo ha formalizzato. Certo abbiamo dovuto apportare qualche miglioria funzionale, come per esempio l’installazione dei condizionatori. Poi faccio altri interventi per riportare la casa come era ai tempi di d’Annunzio. Lui passava la notte e il giorno con una boccetta di profumo e lo spargeva ovunque perché la casa doveva essere sempre profumata. Quindi ho fatto installare dei profumatori e li ho nascosti in modo che non siano visibili ma che rendano la casa profumata come doveva essere ai suoi tempi.

Altre variazioni non ci sono, se non di restauro. Per esempio, abbiamo lanciato una campagna “adotta una stoffa, adotta un cuscino” perché i tessuti non venivano restaurati dal tempo della sua morte, nel 1938. La stessa cosa è avvenuta con il parco, ho deciso di restaurare e ripulire le Vallette, dove scorrono i ruscelli, che erano in stato di abbandono ed erano immerse in una foresta: abbiamo riaperto i sentieri e adesso la visita al Vittoriale richiede un giorno intero. La mia iniziativa più contestata è stata di posizionare opere di arte contemporanea nel parco. All’inizio, quando ho fatto installare la scultura Cavallo Blu di Mimmo Paladino, c’è stata molta polemica, ma ho gioiosamente continuato a mettere opere, semplicemente perché penso rendano più interessante la visita. Sono poi provvisorie, quindi un giorno si potranno rimuovere. In definitiva, in ogni mio intervento non conforme alla piena autenticità del Vittoriale cerco sempre di pensare con la testa del suo creatore… Ovviamente non sono d’Annunzio, ma un po’ lo conosco…

Perché d’Annunzio era particolarmente attratto dalle rose? Quale la sua relazione artistica e personale con questo fiore?

La passione di d’Annunzio per le rose è nota, sono state un simbolo ricorrente nella sua opera letteraria attraverso allusioni enigmatiche e simbologie più o meno esplicite, e a questo fiore ha dedicato una quantità di pagine al punto da ergerle quasi a divinità, e non solo nella Trilogia della rosa (composta dai romanzi Il Piacere, L’Innocente e Il trionfo della morte). Le considerava un simbolo di bellezza e sensualità. Non amava i fiori recisi e regalava piuttosto profumi o gioielli Nel roseto riqualificato nel 2020, nell’ambito del progetto L-ODO-ROSA, abbiamo messo a dimora una collezione di rose che provengono da dodici luoghi legati al Poeta, in primis quelli in cui ha vissuto: Francia, Svizzera, Gran Bretagna, Egitto, Grecia. Noi che intendiamo proseguire e modernizzare tutto quello che faceva, abbiamo voluto una nuova rosa ‘Gabriele d’Annunzio’, ibridata da Beatrice Barni. Volevo ovviamente la rosa più bella del mondo e il risultato che abbiamo ottenuto mi piace perché il bocciolo è rosso scurissimo e si apre formando una grande corolla vellutata, di forma antica e intensamente profumata.

Una vista del Giardino delle Vittorie e dei Loggiati affacciati sulla Piazza dell’Esedra. Foto Courtesy Fondazione il Vittoriale degli Italiani

Quali sono i progetti per il futuro del Vittoriale e il suo parco?

Abbiamo in programma l’apertura della casa nella quale viveva Maroni, che è stata restaurata, poi il recupero della cascina Fraule che non è mai stata utilizzata se non dai contadini e che mi piacerebbe adibire ad agriturismo di lusso. Il prossimo inverno restaureremo i bagni per il pubblico, il guardaroba e poi rimarrà da restaurare solo il Mausoleo. Faremo il lavoro normale che c’è da fare in un museo, ma queste sono cose che può fare qualsiasi manager. Il mio vero lavoro, difficile, da storico è stato cambiare l’immagine di d’Annunzio e questo un manager non lo può fare. Anni fa si parlava poco di lui, adesso siamo su tutti i giornali grazie a questa operazione che lo ha liberato da una serie di falsità e ha aumentato notevolmente il numero dei visitatori, soprattuto tra le scolaresche.

Il Teatro all’aperto (o Parlaggio) finalmente compiuto, con il rivestimento in marmo rosso Verona. Sito in una posizione panoramica beneficia di una vista impareggiabile sull’isola di Garda, la Rocca di Manerba, il Monte Baldo e Sirmione.

Qual è la sua visione del Vittoriale come risorsa turistica?

Durante la mia presidenza, dal 2008  a oggi, i visitatori sono passati da 146.000 a 300.000. Oltre ai numeri, il Vittoriale funziona come motore di cultura. Un’iniziativa importante è GardaMusei, che ho creato nel 2015 partendo da cinque soci: una rete virtuosa che produce sconti per tutti i visitatori, scambi e iniziative, anche all’estero. Un motore di cultura che non dimentica il turismo. Io sto facendo il giro del mondo per valorizzare la figura di d’Annunzio, che era stato un po’ dimenticata, attraverso mostre, convegni, incontri dagli ambasciatori e tour operator che spesso ignorano le bellezze del Lago di Garda. 

Intervista a cura di Marco Miglio, direttore di Villegiardini

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