A Gardone Riviera, il Giardino Botanico Heller è un luogo fuori dall’ordinario che stimola la curiosità attraverso il dialogo tra arte e natura voluto dal suo ideatore. Il Giardino Botanico – Fondazione André Heller spicca per la sua originalità, e se a un primo e veloce sguardo potrebbe sembrare una provocazione, voluta e ricercata, visitandolo ci si accorge che le inclusioni di opere d’arte contemporanea e di manufatti artigianali di paesi lontani, costruzioni, minerali, condurranno un poco per volta in un’autentica esperienza sensoriale e intellettuale.
Il giardino coinvolge, diverte e stimola la curiosità al punto che fin dalla seconda stanza, il boschetto di bambù dopo il Lago Malo, ci si è lasciati alle spalle ogni possibile perplessità scaturita dal timore verso un giardino che è proposto soprattutto come teatro e invenzione. Il giardino attuale nasce e prende forma su uno precedente creato da Arturo Hruska nei primi anni del secolo scorso quando Gardone di Riviera toccò il suo massimo splendore. Il poeta artista austriaco André Heller ne è stato dal 1989 il custode e creatore, affiancato da Graziella Belli, insieme alla quale da qualche anno affianca i nuovi proprietari, Jovanka e Hans Porsche, nella sua cura.
All’inizio del giardino un cartello su fondo verde, in tedesco, inglese e solo come terza lingua l’italiano recita “Cari visitatori! Ogni giardino è fondamentalmente un giardino botanico. La mia ambizione non è quella di fare un elenco scientifico del tipo di piante, ma la creazione di un giardino paradisiaco che con la sua bellezza e la sua atmosfera dia ristoro all’escursionista. …Godetevi questa permanenza e Vi auguro gioia e felicità. André Heller”. Anche nelle avvertenze, dunque, il visitatore è invitato a fare propria l’esperienza come un momento da assaporare e ricordare. Nel parco ci si può immergere nella natura, assaporandone colori, suoni e profumi, oltre a scoprire sorprendenti opere d’arte di importanti artisti.
Il compito di accogliere è lasciato a una delle immagini simbolo del giardino, The Wolf, opera dell’artista Keith Haring, che focalizza subito tutta l’attenzione. I visitatori che si aspettano un giardino classico, sul genere degli altri che si trovano sui grandi laghi italiani, un po’ scettici e un po’ sorpresi passano velocemente oltre e non hanno modo di notare gli altri particolari di questo scorcio, e così sarà per il resto della visita.
Subito dopo, questione di pochi passi, attraversando il ponticello che si affaccia su un laghetto con carpe koi e ninfee, il Lago Malo, si entra in un mondo d’ombra e suggestione. Si abbandona la luce piena e il cielo è lassù, nello spazio lasciato libero dalle palme e dai ciuffi dei grandi bambù. Una sorta di giungla dove una miriade di piante di piccole e medie dimensioni accompagnano il cammino: felci, begonie, bulbose da fiore, calle, alocasie, Bromeliaceae, coleus, orchidee. Ad aggiungere colore le bandiere delle preghiere tibetane, i fusti delle palme che ne riprendono i colori, i capanni a servizio dei visitatori.
Tutto diventa improvvisamente rarefatto e silenzioso; nel bambuseto, fra macchie di banani e uccelli di metallo, si incontrano irriverenti giochi d’acqua di due facce che a turno si spruzzano acqua, una zona di vapore che sembra nascondere un drago, un portale giapponese, effetti sonori e piccole statue di personaggi che cantano su totem colorati. Dall’ombra si riemerge alla luce e ci si affaccia su un lago, il Lago Koi, e sul teatro di verzura che le rive e la sponda di roccia offrono allo sguardo. La statua che si affaccia sulle acque da una lingua di terra richiama un’immagine classica: è il colore del bronzo anticato e il non avere conservato, come molti reperti dei tempi passati, gli arti superiori del busto, a rafforzare questa suggestione. Opera di Auguste Rodin si intitola La Musa. L’insieme è un’immagine di ricchezza e al contempo di silenzio quasi ci si trovasse di fronte a un luogo da tempo dimenticato. I camminamenti non giungono fino alla riva salvando un anello di vegetazione di ripa che racchiude lo specchio d’acqua alimentato da una piccola cascata.
Proseguendo verso la parte alta del giardino si incontra un’altra immagine simbolo del luogo: è la grande bocca del dio babilonese Oannes, opera dell’austriaco Rudolph Hirt, che sputa vapore, un’immagine fantastica che sembra essere una sorta di benevolo accesso agli inferi. Per raggiungerla si percorre una zona aperta contornata da una vegetazione alta che con le diverse forme e gli abbinamenti di colore caratterizza lo skyline mentre a terra cespugli da fiore al sole, Hosta e ortensie all’ombra, accompagnano il cammino del visitatore.
Scendendo lungo un percorso intarsiato da mosaici di maiolica colorata ci si addentra in una grande roccera, formata con graniti provenienti dalle Dolomiti, dal carattere insolito che mescola agavi americane, callistemon australiano, papiro africano e nostrano pino mugo. L’effetto è reso possibile piantando nella parte rilevata, su un terreno asciutto e ben drenato le specie xerofite, fra gli anfratti delle rocce i pini, fra una roccia e l’altra, dove scorre un rivolo d’acqua, le piante che amano l’acqua. Segno di come il giardinaggio possa davvero divenire invenzione. Quello che insegna il Giardino Heller, ma pochi sono in grado di coglierlo, e molti meno ancora di metterlo in pratica, è “Osare”. Il Giardino Botanico – Fondazione André Heller fa parte del Network Grandi Giardini Italiani. hellergarden.com
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