Gianfranco Baruchello: il sapore della vittoria
Questa è una storia di coraggio e di liberazione, un racconto esemplare di come l’amore smisurato per l’arte possa diventare il vessillo di un sogno caparbio: questa è la storia di Gianfranco Baruchello, ora raccontata in una mostra al Mart di Rovereto per festeggiarne i primi, splendidi, 96 anni.
Una storia esemplare
Nato a Livorno nel 1924, Baruchello si laurea in legge e si avvia a una brillante carriera aziendale. Ma c’è qualcosa che stona, e che presto lo convince a fuggire a Parigi, e poi da lì a New York. Se in Francia conosce l’architetto cileno Sebastian Matta e il poeta Alain Jouffroy, a Manhattan incontra Marcel Duchamp e John Cage.
È una folgorazione pura, che una volta rientrato in Europa – dove trova un clima situazionista – lo convince a dedicarsi all’arte passando per gli studi di Wittgenstein e della filosofia del linguaggio. Imposta un viaggio, quasi spietato, in direzione critica e radicale verso le strutture codificate della realtà, comprese quelle politiche e culturali. E ci riesce attraverso una pittura di accostamenti materici e soluzioni espressive atipiche in dialogo con una dimensione onirica.
Alla ricerca del grado zero
Costruisce così, o per meglio dire decostruisce, un sistema artistico fondato sulla dissezione, sull’azzeramento e sulla riduzione del linguaggio, per cercare di superare il confine del possibile e tentare di immaginare un oltre diverso.
Il percorso verso questo grado zero del linguaggio dell’arte parte da un tenue profumo di fiori: è l’installazione Piante Velenose. Pericolo! che annuncia al visitatore un clima rivoluzionario. Tra le trecento opere proposte, sovversivo è ad esempio Lo zero di Gödel, un grande dipinto bianco che poi così bianco non è: più da vicino, infatti, è possibile scorgere un affastellamento di scritte e disegni. Come a dire: la superficie va scalfita per scovare l’indicibile.
Una sfida all’autenticità: l’io fragile
È un percorso complesso e minuzioso, che sfida all’osservazione a alla riflessione, senza avere paura: d’altronde, è lo stesso Baruchello a mettersi in mostra nell’ultima opera. È Le moi fragile, un’installazione che mira all’annientamento dell’identità per mettere in discussione le convenzioni culturali: al centro di una stanza svettano un letto e una sedia vuota. E a ognuno è lasciata la possibilità di riempire il vuoto dei propri fantasmi privati.
C’è tempo fino al 16 Settembre per mettersi alla prova.