Per la mostra “Etruschi. Artisti e artigiani”, al Centro Trevi-Trevilab di Bolzano dal 24 ottobre al 2 febbraio, viene annunciata la presenza di un reperto di grande fascino: il cosiddetto “Fegato di Piacenza”. “Etruschi. Artisti e artigiani” è promossa dalla Provincia autonoma di Bolzano, Cultura italiana, grazie alla collaborazione del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia in Roma, diretto da Luana Toniolo, ed è curata da Valentina Belfiore e Maria Paola Guidobaldi del team curatoriale del museo.

Antefissa a testa di satiro
V sec. a.C.
Proveniente dal santuario del Portonaccio a Veio.
©Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.
Archivio fotografico. Mauro Benedetti”

Il “Fegato di Piacenza” rappresenta una testimonianza eccezionale delle pratiche legate al culto per le quali gli Etruschi erano famosi, tanto che i servizi degli aruspici etruschi erano richiesti anche dai superstiziosi Romani. L’organo usato per la “epatoscopia” era di animale, solitamente di pecora, e veniva analizzato dopo il sacrificio della vittima nella convinzione che vi fosse una stretta connessione fra l’organo consultato e l’ordine cosmico. Un altro esempio di fegato animale proveniente dall’Etruria è quello in terracotta ritrovato fra le rovine del Tempio di Falerii Veteres, a Civita Castellana, in provincia di Viterbo, oggi custodito fra i tesori del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma, dal quale provengono le opere della mostra di Bolzano. Questo fegato poteva rappresentare un ex voto, peraltro insolito, dedicato nel tempio.

Copia in resina del cd “Fegato di Piacenza”. L’originale, trovato casualmente in una località del comune di Piacenza e risalente II-I sec. a.C., era forse utilizzato per istruire gli aruspici nella pratica divinatoria.
©Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.
Archivio fotografico. Mauro Benedetti”

Ma più prezioso ancora è il fegato in bronzo di Piacenza, che un contadino trovò nel suo campo in località Ciavernasco, nel comune di Gossolengo in provincia di Piacenza. È possibile che questo fegato avesse un’identica funzione votiva, ma non è da escludere che fosse usato come uno strumento “scientifico” o, se vogliamo, “didattico” per la consultazione delle viscere. La faccia superiore mostra infatti delle sporgenze più o meno pronunciate a imitazione del fegato animale, insieme a linee e nomi incisi. Ciascuno dei settori così delineati viene indicato con il nome di una divinità, sul modello del “tempio celeste”, funzionale per l’interpretazione dei segni o dei prodigi.

Specchio di bronzo con Turan (Afrodite), Elina (Elena), Ermania (Ermione) ed Elachsantre (Paride Alessandro)
475-450 a.C.
Da Palestrina, necropoli della Colombella.
©Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.
Archivio fotografico. Mauro Benedetti”

Al Trevi, nella sezione dedicata a “la sfera del sacro: dediche, luoghi e offerte di culto, pratiche divinatorie” la scelta delle curatrici della mostra è stata quella di dare spazio proprio a questo secondo fegato, il cui originale è conservato ed esposto nella sezione archeologica dei Musei Civici di Palazzo Farnese di Piacenza, ma di cui il Museo di Villa Giulia possiede una copia fedele in resina. Il Centro Trevi/Trevilab: è uno spazio guidato dal direttore di ripartizione Antonio Lampis nel quale si sono sviluppati, per decenni, iniziative rivolte alla comprensione dell’arte e che oggi mira a mantenere sempre vivo l’interesse verso la cultura e il ricco patrimonio artistico conservato nei grandi musei italiani,” come sottolineato da Marco Galateo, vicepresidente della Provincia e assessore alla Cultura italiana. provincia.bz.it

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