“To see is not to speak” è una serie di 18 opere attraverso le quali Conrad Jon Godly sviluppa la sua interessante ricerca sulla relazione tra la natura umana e il sublime, da intendersi nella sua accezione estetico-filosofica come un sentimento suscitato dalla percezione di un “oggetto la cui rappresentazione determina il sentimento a concepire l’irraggiungibilità dei limiti della natura”, secondo l’accezione kantiana.
L’indagine di Conrad Jon Godly verte sulla montagna, rappresentata e trasfigurata per comunicare un’idea di bellezza attraverso lo stupore e il terrore che la natura può indurre, evidenziando così l’inadeguatezza e la debolezza dell’esistenza umana di fronte alla potenza infinita delle sue manifestazioni. Le opere, pur rimandando da un punto di vista denotativo a soggetti ancora riconoscibili, quali vette, ghiacciai, pareti rocciose, non sono tuttavia figurative, in quanto mirano piuttosto, attraverso la spiccata matericità determinata da un impasto denso, pochi colori e una stesura grezza e gestuale, a rimandare a una dimensione eterea e spirituale, rievocando sensazioni, memorie ed emozioni connesse ai fenomeni naturali in grado di destare un godimento estetico legato al confronto tra la finitezza dell’Uomo e la forza infinita e la vitalità incontrollabile della natura. I soggetti vengono così reinterpretati attraverso un linguaggio che, senza abbandonare completamente il piano referenziale, tende tuttavia verso l’astrazione, liberando così la pittura dai limiti della realtà, per aprirsi a una dimensione più profonda che mira a cogliere l’essenza della montagna per creare nello spettatore un sentimento di nostalgia. In questa poetica appare fondamentale l’influenza della cultura orientale. Avendo trascorso gran parte della sua vita in Giappone, un luogo che Godly considera la sua seconda casa, il lavoro dell’artista reinterpreta le tradizioni della calligrafia giapponese, ‘shodō’, oltre a propendere per lo Shan shui, uno stile tradizionale cinese di pittura di paesaggio che utilizza solo inchiostro e pennello. Per questo motivo, il professore e storico dell’arte Yuji Yamashita si riferisce al lavoro di Godly come “la nascita della pittura a olio Shan shui”.