Che sia come architetto, restauratore o teorico dell’architettura, Camillo Boito è stato una figura di spicco durante tutta la seconda metà del XIX secolo. Promotore dello Stile Nazionale post unità d’Italia è stato anche il primo ad esprimere i dettami del restauro filologico.

La formazione e l’insegnamento

Nato a Roma il 30 ottobre 1836 Camillo Boito fa parte di una famiglia di artisti, suo padre è infatti Silvestro Boito pittore e miniaturista mentre suo fratello Arrigo Boito diventerà un famoso musicista e librettista. Morirà poi a Milano il 28 Giugno 1914.

Studiò all’accademia di Venezia sotto Pietro Selvatico, architetto e storico dell’arte, diventando professore di architettura nel 1856. Insegnerà successivamente da 1860 al 1908 all’Accademia di Belle Arti di Brera, in contemporanea dal 1865 sarà docente all’Istituto Tecnico Superiore di Milano per più di 40 anni.

Di cosa si occupava Camillo Boito

Principalmente fu un architetto ed un restauratore. Noti sono i suoi interventi nell’area del Palazzo della Ragione di Padova, il restauro della Pusteria di Porta Ticinese a Milano e gli interventi sulla basilica di Sant’Antonio a Padova in cui restaurò anche l’altare di Donatello. Sempre a Padova risistemò il convento antoniano rendendolo sede del Museo Civico, ampliò il camposanto e progettò da zero Palazzo delle Debite.

Altare di Sant’Antonio da Padova secondo la ricostruzione Boito in una foto d’epoca

Scrittore

Camillo Boito è stato anche un letterato partecipando al movimento della Scapigliatura. Scrisse numerose storielle per diversi giornali. Quando se ne andò da Venezia a causa della dominazione austriaca si recò a Firenze iniziò a scrivere per la rivista lo Spettatore edita da Celestino Bianchi. Le sue opere erano molto amate perché lontane dalla prosa tipica della fine del XIX secolo scriveva della bellezza nella sua concezione più ampia passando dalla bellezza di una donna a quella musicale o artistica.

Stile Nazionale

Successivamente all’unità d’Italia si incentrò, insieme ai massimi esponenti dell’epoca, alla ricerca del cosiddetto stile nazionale che avrebbe dovuto caratterizzare le arti. Fu proprio Camillo Boito che iniziò il dibattito sullo stile nazionale identificandone le linee guida che verranno tenute presenti dagli artisti dell’epoca.

Lo stile Nazionale per Camillo Boito doveva non essere completamente nuovo ma rifarsi all’architettura del passato però in ottica moderna, usando nuovi materiali e tecniche. Doveva essere comune per tutte le parti d’Italia tenendo conto però delle diversità in fatto di clima ed abitudini della zona ma anche modificarsi in relazione ai materiali disponibili.

Nel 1880 fu proprio Boito a scegliere insieme ad altri della commissione il progetto per il nuovo Vittoriano. Scelse l’idea di Giuseppe Sacconi perché vicina proprio a quello che considerava lo Stile Nazionale entrando anche nel dibattito riguardo al luogo in cui doveva essere costruito. Camillo Boito fu un acceso sostenitore del luogo che era stato deciso originariamente, ossia il Campidoglio, andando contro alle critiche relative alla distruzione di parte dell’antico tessuto urbano. L’architetto era favorevole alle demolizioni essendo fermamente convinto che una volta finita l’opera sarebbe diventata il simbolo della Roma moderna.

Il Vittoriano, una volta terminato, diventerà il modello per la progettazione nei decenni a seguire.

Inaugurazione del Vittoriano a Roma (4 giugno 1911)

Restauro filologico

Durante i suoi lavori di restauro di edifici antichi, ha cercato di conciliare le opinioni contrastanti dei suoi contemporanei sul restauro architettonico, in particolare quelle di Eugène Viollet-le-Duc e John Ruskin. Questa riconciliazione di idee fu presentata al III Convegno degli Architetti e degli Ingegneri Civili di Roma nel 1883 in un documento poi conosciuto come Prima Carta del Restauro.

Rifiutava il cosiddetto restauro stilistico di Viollet-Le-Duc che per Camillo Boito falsificava il monumento mischiando parti originali con parti originarie senza poter essere distinte. Era, infatti, indispensabile che le parti nuove fossero distinguibili, per esempio, riducendone i volumi ed eliminando gli elementi decorativi, il tutto doveva essere ideato senza stonare con il resto dell’edificio. L’italiano credeva che fosse necessario lasciare i segni e la patina dovuti allo scorrere del tempo e che gli edifici fosse meglio consolidarli piuttosto che ripararli. Definì il suo modo di agire come Restauro Filologico.

Palazzo Cavalli-Franchetti restaurato ed esteso nel 1886 da Camillo Boito – ©Reading Tom (Flickr CC BY 2.0)

Maria Giulia Parrinelli

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