Il Leone d’Oro per la miglior partecipazione alla 17 Biennale di Architettura di Venezia “How will we live together” è andato al collettivo berlinese raumlaborberlin per “Instances of Urban Practice”, che indaga l’architettura urbana come azione e pratica sociale condivisa e dialogica. “Per un approccio progettuale collaborativo di grande ispirazione, che chiama alla partecipazione e alla responsabilità collettiva proponendo due interventi che sono modelli per una rigenerazione civica visionaria“. Con queste motivazioni, la giuria internazionale, presieduta dall’architetta giapponese Kazuyo Sejima, ha attribuito al gruppo tedesco il premio al miglior partecipante nel corso della cerimonia che si è tenuta a Ca’ Giustinian, alla presenza del curatore della 17 edizione, l’architetto libano-statunitense Hashim Sarkis.
Alle Corderie dell’Arsenale il collettivo raumlaborberlin, composto da Andrea Hofmann, Axel Timm, Benjamin Foerster-Baldenius, Christof Mayes, Florian Stirnemann, Francesco Aruzzo, Frauke Gerstenberg, Jan Liesegang e Markus Bader, aveva presentato due interventi ancora attivi con “caratteristiche e aspetti fisici molto diversi, ma entrambi costruiti sulla stessa filosofia”, come si legge sul sito del gruppo berlinese.
Si tratta della Floating University, situata vicino all’ex aeroporto di Tempelhof, e la Haus der Statistik vicino alla celebre Alexanderplatz. Gli spazi “condividono la loro origine in una rivendicazione e iniziativa artistica, crescendo in forme complesse di auto-organizzazione e cooperazione pubblico-civica o scientifico-artistica-civica” si legge ancora sul sito del collettivo, coinvolto nei progetti in qualità di “iniziatore, negoziatore, creatore di spazi, mediatore e custode” insieme ad un nutrito gruppo di altre realtà locali.
Quello di raumlaborberlin è un approccio sperimentale nel quale gli spazi della città sono ambienti capaci di ‘generarsi’ integrando sensibilità diverse, talvolta anche divergenti, per giungere a una sintesi convergente. Una modalità progettuale che ha convinto la giuria, almeno quanto il Padiglione ‘Wetland’ proposto dagli Emirati Arabi Uniti cui è andato il Leone d’Oro per la miglior partecipazione nazionale. Il Padiglione ‘Wetland’ è stato giudicato “”un esperimento che ci incoraggia a pensare alla delicata relazione tra spreco e produzione (…) proponendo un modello costruttivo capace di legare artigianalità e tecnologie avanzate”.
Il padiglione emiratino ha proposto un’alternativa ecosostenibile al cemento realizzata con il sale, materia prima di cui gli Emirati Arabi hanno ampia disponibilità.
I visitatori dell’Arsenale hanno potuto osservare da vicino la costruzione lunga sette metri e alta cinque, realizzata utilizzando scarti della desalinizzazione industriale. Questo particolare “cemento salino”, detto MgO, è stato colato a mano in forme organiche che richiamano quelle delle case costruite con corallo e frammenti di conchiglie nel paese del golfo, coniugando attenzione alla sostenibilità e all’architettura tradizionale. Curato dagli architetti Wael Al Awar e Kenichi Teramoto dello studio waiwai, il progetto emiratino condivide il podio con due menzioni speciali, andate rispettivamente al padiglione russo “Open”, curato dall’italiano Ippolito Pestellini Laparelli, allestito ai Giardini, e a “Structures of Mutual Support” delle Filippine, a cura del gruppo “Framework Collaborative”, visitabile all’Arsenale.
La giuria ha voluto inoltre attribuire una menzione speciale a Cave_Bureau “per una esplorazione visionaria e creativa di uno degli ambienti più antichi abitati dall’uomo”. Diretto da Kabage Karanja e Stella Mutegi, Cave_Bureau è il primo studio d’architettura kenyano a entrare nel programma della Biennale di Architettura di Venezia. Il suo “The Anthropocene Museum: Exibit 3.0 Obsidian Rain (2017)” è ispirato alle grotte del Monte Suswa, ai limiti della Great Rift Valley, la fossa tettonica che separa le placche araba e africana, inesauribile sorgente di scoperte sull’alba dell’umanità.
Su proposta di Hashim Sarkis è stato assegnato un Leone d’Oro speciale ‘ad memoriam’ a Lina Bo Bardi, per la sua capacità di “prestare attenzione alle diversità in architettura, trasformando spazi e luoghi che accompagnano i percorsi di vita delle persone”. Architetta e designer italiana naturalizzata brasiliana scomparsa nel 1992 dopo una brillante carriera internazionale, Lina Bo Bardi è stata di recente protagonista della video-installazione “A Marvellous Entanglement” curata dall’artista e filmaker inglese Isaac Julien al MAXXI di Roma.
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Emirati Arabi: Wetland