Nel precedente articolo che si può leggere qui, si è parlato dell’impatto delle attività antropiche sul paesaggio in epoche lontane. Se nel corso dei secoli le attività dell’uomo, pur modellandolo, riuscivano a rispettarlo, la rapidità dei cambiamenti legati anche alla rivoluzione industriale, alla nascita di macchinari che hanno facilitato la realizzazione del lavoro e allo sfruttamento intensivo in agricoltura, ha visto un crescendo importante che nel corso dei decenni non è più stato un valore aggiunto per il paesaggio. Tutt’altro.
L’impatto delle attività antropiche sul paesaggio: l’agricoltura
Lo sviluppo dell’agricoltura per secoli ha avuto, infatti, un forte impatto paesaggistico positivo in tutta l’Italia, da sud a nord. Le colture di olivi, di agrumi e di frumento del sud, spesso cintati da muri a secco, sono stati vere e proprie opere di grande valore paesaggistico. Al di là della maestria con cui si iniziò a realizzarli, proprio le simmetrie, le linee ma in particolar modo i colori delle pietre a spacco, hanno sempre richiamano o contrastato armoniosamente quelli delle coltivazioni ed hanno aggiunto valore al paesaggio, modellandolo in un equilibrio armonico di linee e forme.
Per non parlare dei colori e della morbidezza delle distese di frumento maturo che connotano le colline toscane e marchigiane, punteggiate qui e là da olivi o querce secolari. Lo stesso vale per i colori di altre coltivazioni, come quella della colza, ad esempio, che tinteggiano di giallo limone, territori a perdita d’occhio.
L’importanza dell’acqua nell’impatto delle attività agricole sul paesaggio: la realtà della Pianura Padana
Al nord, nella Pianura Padana, da ovest a est, distese di campi di cereali, riso e mais, da secoli caratterizzano l’area. Il paesaggio padano è stato pure profondamente contrassegnato dall’ampia presenza di fiumi che già tra la fine del 700 e gli inizi dell’800, sono stati canalizzati per garantire l’irrigazione necessaria alle colture e per proteggere e prevenire inondazioni e alluvioni che avrebbero messo a rischio i raccolti. La rete di fossi e canali naturali, hanno inserito un elemento persino pittorico nel paesaggio.
Le risaie in Piemonte, in Veneto e in Lombardia e le marcite della bassa padana del lodigiano, hanno preso a tappezzare e rivestire il territorio, come farebbe una coperta in cui, però, si riflette il cielo.
Nondimeno la diffusione della bachicoltura ha segnato un altro passaggio fondamentale del disegno del paesaggio. I filari di gelsi, posti a delimitare i campi di coltivazione. Lo stesso vale per i filari di pioppi o i giovani pioppeti coltivati in perfette simmetrie squadrate, destinati alle cartiere. Tutti elementi che hanno impresso altro grande pregio. Nel tracciare linee sul terreno, non più solo recinzioni, ma anche elementi che danno verticalità e ritmo e, nel contempo, ancora giochi a contrasto di colore fra terra e cielo.
Altresì i terrazzamenti valtellinesi (oggi patrimonio UNESCO) o quelli liguri, hanno inciso profonde geometrie armoniche al paesaggio.
Le attività antropiche nel 900 e l’impatto sul paesaggio
Quello della Pianura Padana, una delle regioni agricole più produttive d’Europa, tuttavia, è anche un esempio negativo, significativo di come le attività antropiche hanno inciso sul paesaggio. Da est a ovest, soprattutto dal boom economico in poi, è stato profondamente trasformato dalla coltivazione intensiva. Quella rete di canali naturali e di fossi, la vegetazione spontanea che contenevano e che fungevano da protezione di colture e paesaggio, è pressochè sparita, pur di estendere i campi di coltivazione. Il dissesto idrogeologico, che già cinquanta-sessant’anni fa in Italia era un serio problema, allo stato attuale è una ferita aperta nel territorio. I danni all’esistenza umana e all’economia che provoca, lo denunciano anno dopo anno. Lo sfruttamento intensivo delle risorse sta distruggendo non solo il paesaggio ma anche le attività antropiche stesse.
L’industrializzazione
Con l’industrializzazione, il paesaggio italiano ha subito un ulteriore cambiamento. Non più armonico e non più in sintonia con il territorio. Le aree rurali hanno subito un brusco decadimento causato dall’urbanesimo, talvolta fino alla loro eliminazione, specie nelle zone limitrofe alle città. Sono sorti complessi industriali che si sono espansi e che nel ventesimo secolo hanno visto un’ulteriore progressione del consumo di suolo. La realizzazione di infrastrutture di collegamento, necessarie all’industria, ha brutalmente sventrato aree di notevole interesse paesaggistico. L’urbanizzazione incontrollata, ha favorito il degrado non solo paesaggistico, anche ambientale, mediante l’inquinamento massivo tipico dei paesi in via di sviluppo.
Come lo sviluppo non ha considerato gli esiti negativi dell’impatto delle attività antropiche sul paesaggio
Il paesaggio tradizionale, caratterizzato da piccoli borghi e campi coltivati, oggi tanto rivalutati e internazionalmente apprezzati, è stato cancellato in molte regioni italiane. Nelle campagne sono molti i casolari, le stalle, gli ovili e le cascine abbandonati, a testimonianza delle attività antropiche di un tempo e di come hanno modificato il paesaggio. Malgrado il degrado subito, oggi come ieri, questi edifici o ruderi che siano, conservano il tocco magistrale che avevano anche in passato, punteggiando le campagne, restituendone un’immagine di grande forza e di pace, specie quando la natura se li riprende colonizzandoli con le piante.
La fascia costiera è stata trasformata a causa della diffusa cementificazione. Serviva edificare strutture alberghiere e di accoglimento, per favorire il turismo. Basti pensare alla Costiera Amalfitana o a quelle di grande pregio paesaggistico come ad esempio quella sarda, nondimeno alle coste di tutta la penisola che hanno subito rimodellamenti non più rispettosi del paesaggio. Senza contare che in luoghi che andavano protetti a prescindere senza nemmeno pensarci un istante, sono dovuti intervenire i cittadini per impedire ulteriori scempi.
Il caso delle Cinque Terre: i cittadini a difesa del paesaggio
Un caso importante, quello delle Cinque Terre in Liguria, dove proprio le popolazioni locali hanno dovuto farsi carico di proteggere il meraviglioso paesaggio, per rendersi immediatamente coscienti di quanto questo sia stato insultato. Solo verso la fine del 900 si è pensato a una maggiore protezione di paesaggio e territorio, ma i danni erano già molti. C’è pure da augurarsi che non si smetta mai di continuare a volerlo proteggere.
Se da un lato si è ovviamente favorita la crescita e lo sviluppo del paese, dall’altro il prezzo maggiore è stato fatto pagare al paesaggio. Sono stati brutalizzati territori e paesaggio, distrutto ecosistemi e scarificato bellezze in lungo e in largo
Quello del paesaggio italiano, invece, è un patrimonio di inestimabile valore, frutto delle più diverse stratificazioni storico-politico-culturali. È il palinsesto di come le attività antropiche, fino a prima del sacrificio in nome di progresso e benessere, hanno abbracciato e fatto evolvere il paesaggio nel corso dei secoli restituendo bellezza e conservando la salute. Raccontano di come l’interazione fra uomo e ambiente possa essere ricca e importante per la crescita, non solo di un paese ma anche dell’Umanità che vi abita, ma solo se rispettosa del mondo che la ospita.
Ivana Fabris
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