Nel 2022 ha riaperto la dimora-atelier di Mariano Fortuny a Palazzo Pesaro degli Orfei, con un nuovo allestimento che consente di “immergersi” nel magico universo creativo di un artista eclettico e di grande originalità.
L’apertura al pubblico di Palazzo Pesaro degli Orfei dopo un periodo di chiusura forzata a causa dei danni arrecati dall’Acqua Granda nel novembre 2019, rappresenta un’opportunità ideale per scoprire, o riscoprire, il genio creativo di Mariano Fortuny y Madrazo, che lo abitò con la moglie Henriette Nigrin dal 1898 al 1949, trasformando le sale del palazzo gotico veneziano in un atelier creativo dove sperimentare nella massima libertà i suoi molteplici interessi artistici: pittura, teatro, illuminotecnica, scenografia, moda, fotografia, incisione, design. Grazie alla personalità di eclettico innovatore delle arti e ai gusti originali e raffinati del proprietario, questo luogo divenne nella prima metà del 900 un punto di riferimento dell’élite intellettuale veneziana e internazionale oltre che primo centro sperimentale di produzione tessile di Fortuny, dal 1907 al 1919, secondo un procedimento segreto ancora oggi utilizzato per la realizzazione delle stoffe del brand nell’esclusiva manifattura veneziana della Giudecca.
Tra le figure iconiche della città lagunare, Mariano Fortuny y Madrazo nacque tuttavia in Spagna, a Granada, ai piedi dell’Alhambra, nel 1871, secondogenito di Mariano Fortuny y Marsal, acclamato pittore spagnolo, e di Cecilia de Madrazo y Garreta, figlia del direttore del Museo del Prado. Alla morte del padre, la famiglia si trasferì prima Parigi, poi, nel 1889, a Venezia. Le frequentazioni culturalmente elevate della famiglia con musicisti, artisti, scienziati e letterati tra i quali Marcel Proust, gli offrirono la possibilità di una formazione d’eccellenza, che lo portò ad avvicinarsi con gusto e uno sguardo del tutto originale alle arti, in particolar modo al teatro e alla pittura. Una personalità creativa eclettica, influenzata profondamente anche dalle immagini e dalle suggestioni che solo Venezia sa offrire. Come recita l’epitaffio che accoglie i visitatori a Palazzo Pesaro degli Orfei, nella città lagunare “il suo spirito si nutrì delle bizzarrie gotiche, della misura rinascimentale, del colore e della luce d’oriente, fonti perenni di ispirazione accanto all’amore per l’antico e alla passione per il collezionismo, ereditata dal padre, anch’egli pittore e dalla famiglia madrilena della madre Cecilia”.
Un patrimonio unico che oggi rinasce grazie a un intervento di recupero e riallestimento complessivo dei piani nobili che lo ha trasformato da spazio espositivo temporaneo a casa-museo in cui l’universo creativo e le sperimentazioni di Mariano Fortuny tornano a diventare grandi protagonisti. Tutto questo grazie al progetto firmato da Pier Luigi Pizzi, architetto, regista, scenografo e costumista italiano, in collaborazione con Gabriella Belli che ha come filo conduttore il tema della luce. “Ho scoperto e studiato Mariano Fortuny negli anni di frequenza della facoltà di architettura al Politecnico di Milano” spiega Pizzi. “Le sue esperienze di scenografo, costumista e illuminotecnico rivoluzionario del teatro wagneriano a Beireuth e alla Scala mi avevano affascinato. Quando feci il mio debutto alla Fenice mi trovai a utilizzare la sua celebre cupola. Più tardi la lettura della Recherche di Proust mi ha rivelato un’altra faccia dell’arte poliedrica di Fortuny, inventore di tessuti ispirati alla pittura veneziana di Carpaccio e di una moda che ha fatto epoca”.
Prima dell’intervento, gli spazi della dimora veneziana apparivano cupi anche se non privi di suggestione. Per questo era possibile scorgere solo una minima parte di quel che restava della cospicua eredità Fortuny. “È stato per anni il regno delle tenebre, facciamo entrare la luce” disse l’architetto durante il primo sopralluogo, alzando un lembo del pesante tendaggio della polifora che celava l’immagine della facciata di San Beneto. Secondo questa idea di base il progetto ha seguito il percorso naturale della luce per valorizzare l’ampiezza degli spazi architettonici. Un’intuizione che si è rivelata corretta anche dal punto di vista filologico, in quanto le successive ricerche sui documenti hanno dimostrato che “la famiglia Fortuny viveva nella luce, Mariano creava nella luce”. Un’altra decisione fondamentale è stata quella di aggiungere al percorso della casa museo anche il secondo piano, fino a quel momento chiuso al pubblico.
Il materiale precedentemente esposto risultava tuttavia insufficiente. La meticolosa ricerca di Chiara Squarcina e Cristina Da Roit in ogni anfratto del palazzo, nelle riserve, negli armadi, nei bauli ha fatto emergere una grande quantità di materiale inedito, che ha via via trovato la giusta collocazione negli spazi espositivi. Il risultato è un percorso coinvolgente, che coniuga l’emozione di immergersi negli ambienti vissuti da Mariano ed Henriette, a sale tematiche più museali, come quella al secondo piano che espone gli strumenti di lavoro dell’artista. Al primo piano è tornato a essere visibile ai visitatori il ciclo parietale di 140 metri quadrati con cui Fortuny, aveva dato vita a un giardino incantato, con figure allegoriche, satiri e animali esotici. Allo stesso modo è possibile ammirare, contestualizzato tra due pareti di suoi bozzetti di scena e alcune copie da Tiepolo, il modello del Teatro delle Feste per l’Esplanade des Invalides progettato in collaborazione con Gabriele d’Annunzio e Lucien Hesse, architetto francese. Lungo l’immenso Portego, illuminato da meravigliose polifore, tra un susseguirsi di tessuti fiabeschi, lampade ispirate ai pianeti, quadri, mobili e oggetti affiancati a un ciclo di piccoli dipinti di paesaggio realizzati dal padre, oltre alle molte opere ispirate da Henriette. In un’altra sala, colpiscono nel loro scenografico accostamento cromatico i preziosi velluti con motivi di ispirazione rinascimentale, il modello originale del corredo funerario per il duca di Lerma, una dalmatica in velluto nero stampata in oro e argento e i costumi di scena dell’Otello di Giuseppe Verdi, messo in scena nel cortile di Palazzo Ducale nel 1933. Nell’infilata delle salette laterali emergono alcuni temi specifici del mondo e della vita dell’artista spagnolo, come la riproduzione del suo studio di pittore, nel quale spiccano le prove di nudo, diversi modelli, esempi anatomici, i 46 colori e i quattro preparatori da lui stesso brevettati.
Un allestimento didatticamente razionale ed esteticamente raffinato, che ha saputo restituire così alla dimora la sua atmosfera più autentica, riportando a nuova vita luogo magico, nel quale il susseguirsi e il sovrapporsi di luci, colori, stoffe, quadri, affreschi, arredi, oggi offre un’immagine nitida e decisamente suggestiva della personalità di un artista, uomo di cultura e imprenditore che ha saputo fondere la sua cultura cosmopolita con originali intuizioni creative che affondano la loro origine nel profondo dello spirito e dell’identità di Venezia.
Nelle sale di Palazzo Pesaro degli Orfei, frequentate dall’élite artistica e culturale europea, Fortuny fondò con la moglie Henriette Nigrin il suo primo atelier per la produzione di tessuti.
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