Arturo Martini è stato uno scultore inventivo e curioso ma anche incisore, pittore e professore. Le sue opere sono caratterizzate da una forte ma semplice plasticità e non ha trovato limiti per quanto riguarda il materiale da utilizzare in quanto era padrone delle tecniche con pietra, bronzo, terracotta o ceramica.

Il nuovo Museo Bailo di Treviso

Mancano ormai solo due mesi all’avvio, al nuovo Museo Bailo di Treviso, di quello che si presenta come uno dei più rilevanti eventi espositivi della stagione: la grande mostra su Arturo Martini promossa dal Comune di Treviso con i Musei Civici, con la curatela del loro direttore Fabrizio Malachin e di Nico Stringa.

“Arturo Martini. I Capolavori” sarà infatti la più ampia, completa e ricca esposizione che mai stata dedicata allo scultore trevigiano: solo quella curata da Giuseppe Mazzotti nel lontano 1967 fu, quanto a numeri, così ampia.

Le opere esposte

Ad essere proposte al pubblico saranno ben 280 opere dello scultore: 150 sono patrimonio del Bailo, che resteranno allestite al primo piano nella sezione permanente, alle quali si aggiungono i 130 capolavori che arriveranno a Treviso proprio grazie alla mostra. Questi ultimi saranno allestiti in tutti gli spazi al piano terra del Bailo. A concederli sono collezioni pubbliche e private, da Piemonte alla Liguria, da Roma a Lugano. Tra esse i più importanti Musei di arte moderna, per citarne alcuni Ca’ Pesaro, Galleria Nazionale di Roma e di Bologna, Galleria del Novecento di Firenze, fino al Museo Martini di Vado Ligure e Savona. Accanto a numerose collezioni private che hanno concesso alla mostra trevigiana opere di assoluto valore e, in alcuni casi mai prima esposte.

Molte le opere di grandi dimensioni: bronzi importati come Il Figliol ProdigoI leoni di Monterossoil Sonnoil Tobiolo, tra i molti; marmi come quelli del Legionario feritoDonna che nuota sott’acquaTorso di lottatore, tra gli altri; gessi come quello della Sposa Felice o il maestoso Sacro Cuore, un’opera colossale (3 metri e mezzo di altezza), mai uscita prima dalla Casa Museo Martini di Vado Ligure; terrecotte come La VegliaIl Bevitore o la Venere dei porti tra le diverse. Del Bevitore, oltre alla versione seduta, sarà in mostra anche la versione distesa in pietra.

Il percorso

“Entrando al Bailo, il pubblico sarà accolto da un vero colpo di teatro. Nell’androne vedrà i sontuosi Leoni in bronzo e sullo sfondo il Sacro Cuore, quasi a rimarcare la sacralità e la poesia della visita, con i Leoni a citare quelli all’ingresso di una cattedrale medioevale e il Sacro Cuore una “Maestà” nell’abside. E poi radunate assieme per la prima volta tutte le più importanti commissioni di Arturo Ottolenghi, nelle sale laterali, i bronzi del Figliol Prodigo e del Tobiolo e, nel chiostro, l’Adamo ed Eva del nostro Museo. Al noto Tobiolo seduto mentre stringe tra le mani un pesce, sarà affiancato il bozzetto che lo ispirò, opera di Hertha Wedwkind Ottolenghi, e dal più tardo Tobiolo “Giaquinto” che testimonia le nuove ricerche spaziali della seconda metà degli anni ‘30”.

“Ma tutto il percorso di visita sarà ricco di emozioni e di confronti imperdibili: si potrà ammirare il Bevitore disteso accanto alla terracotta del Bevitore in piedi (opere mai accostate prima), La Pisana Il sonno – due notturni – assieme alla Donna al sole Donna sulla sabbia – un corpo squartato dalla luce -, il bozzetto del Tito Livio accanto al grande gesso dell’opera.  Il bozzetto della Donna che nuota sott’acqua sarà al centro di una sala immersiva con le immagini   del film che lo ispirò: Ombre bianche (White Shadows in the South Seas), diretto nel 1928 da W. S. Van Dyke. E ancora, una sala ci riporterà alla Personale della Biennale del 1942 con la Donna che nuota sott’acqua, il Ritratto di Carlo Scarpa, il Torso di lottatore, e la Morte di Saffo, che pure Scarpa escluse da quell’allestimento”.

Oltre il Martini monumentale 

Non solo il Martini monumentale in mostra, ma una panoramica completa sulla sua attività: cheramografie, piccole terracotte, ceramiche, gessi: tutte opere di capitale importanza nel catalogo dell’artista, come il Ciclo di Blevio.

“Un filo rosso   si svilupperà in tutte le sale, una mostra nella mostra, la pittura: oltre 40 dipinti di Martini mai esposti in maniera unitaria prima di oggi”, anticipano i curatori.

La mostra ha la sua naturale prosecuzione al primo piano dove si potrà scoprire il Martini della giovinezza, con focus riservato al suo maestro, Antonio Carlini, e ai suoi amici, e tra loro Gino Rossi e Bepi Fabiano, il cugino Alberto Martini, i contemporanei Selvatico, Springolo, Barbisan, Bottegal, Cancian eccetera.

Una sala sarà riservata anche a Treviso, per ripercorrere la storia della valorizzazione di Martini in città, attraverso le mostre e la musealizzazione delle sue opere. Tra i fulcri di questa sala, le immagini della storica mostra del ’67 curata da Bepi Mazzotti e allestita da Carlo Scarpa.

Una sala video propone gli inediti documentari dell’imperiese Paolo Saglietto: si tratta di filmati del 1962 e del 1968, scoperti in questa occasione negli archivi di Cinecittà, a Roma, e della Cineteca di Bologna. Il secondo dei due filmati venne girato a Treviso e ci mostra le immagini delle vie, delle piazze della città e le testimonianze, riprese all’interno della mostra del ’67, allestita da Carlo Scarpa, di Comisso, Mazzola e del curatore Mazzotti.

Una mostra quanto mai ricca di opere, quindi, quella che attende il pubblico al Bailo. Nuova per concezione, coinvolgente per il pubblico.

Una esperienza imperdibile. Dal 31 marzo al Museo Luigi Bailo, naturalmente a Treviso.

La formazione

Arturo Martini è nato a Treviso l’11 agosto 1889, prima di diventare scultore studiò prima come apprendista orefice. Successivamente imparò la modellazione grazie alla frequentazione della scuola di ceramica collaborando anche con la Fornace Guerra Gregorj.

Solo dopo questa esperienza Arturo Martini si avvicinò alla scultura frequentare lo studio dello scultore Antonio Carlini nella sua città natale ed in contemporanea frequentò l’Accademia di belle arti a Venezia.

Cheramografia

Ideò quella che chiamò cheramografia, una tecnica di stampa artistica in cui la matrice è una sfoglia di argilla incisa. La matrice risulta molto fragile permettendo una sola tiratura o la tiratura di pochi esemplari.

Arturo Martini usava matrici in terracotta o in creta lasciata ad essiccare. Poi la incideva con strumenti di fortuna e, una vostra inchiostrata, veniva applicata una pressione sul foglio che spesso induriva con della cera per non farla rompere.

Le prime opere

Risalgono agli anni di formazione le prime opere come scultore di Arturo Martini come per esempio il Ritratto di Fanny Nado Martini e il Busto del pittore Pinelli.

Le sculture ma anche le sue invenzioni gli faranno acquisire sempre più fama a livello internazionale.

La sua prima partecipazione ad una mostra, più precisamente alla prima edizione delle mostre di Ca’ Pesaro, risale al 1908 nel quale presenterà una piccola scultura dal titolo Palloncino.

Influenze europee

Nel corso degli anni Arturo Martini si avvicinò molto ai movimenti artistici europei tanto che nel 1909 si trasferì a Monaco per diventare allievo di Adolf von Hildebrand, noto scultore e pittore tedesco. Nel 1912 esporrà a Parigi al Salon d’Automne, nella capitale francese entrerà in contatto con il cubismo e con le avanguardie europee.

Portò in Italia le influenze che ebbe in Europa partecipando nel 1914 all’Esposizione Libera Futurista Internazionale di Roma portando il Ritratto di Omero Soppelsa. Prima dello scoppio della prima guerra mondiale collaborò anche il periodico L’Eroica, un mensile sull’arte e sulla letteratura molto vicino al movimento futurista.

Finita la guerra Arturo Martini si avvicinò alla grafica astratta non perdendo di vista il suo lavoro come scultore realizzando L’Amante morta, Fecondità e Il Dormiente.

Valori Plastici

Arturo Martini entrò a far parte del gruppo dei Valori Plastici collaborando con il fondatore Mario Broglio. Era una movimento artistico ma anche una rivista di critica d’arte nata per far conoscere le avanguardie europee e diffondere le idee della pittura metafisica. Grazie ai Valori Plastici riuscì a superare il naturalismo ottocentesco trovando uno stile tutto suo come si può vedere nelle opere La Maternità del 1925 e Il Bevitore risalente al 1926 e conservato alla Pinacoteca di Brera.

Da lì in poi espose nelle mostre più importanti come alla III Biennale Romana nel 1925 e l’anno dopo alla Biennale di Venezia. Esporrà anche alla prima ed alla seconda mostra del movimento Novecento portando nel 1929 la scultura Il Figliol prodigo.

La Pisana (1929) Museo Novecento, Firenze – ©Sailko (via wikimedia commons CC BY 3.0)

Arturo Martini scultore maturo

I contatti con i Valori Plastici e tutti i movimenti artistici del momento resero Arturo Martini uno scultore maturo. Le sue opere erano diventate un punto di incontro tra passato e modernità come nelle sculture La Pisana e nella monumentale Tomba di Ippolito Nievo.

Nel 1930 riesce ad allestire uno studio dove può modellare e cuocere le terracotte senza doverle spostare riuscendo così a creare delle opere di grandi dimensioni come Il Pastore e Il Ragazzo seduto, Il Sogno, Chiaro di Luna e Sport Invernali. Le grandi opere sono tutte datate tra il 1930 e il 1932 ed in quell’anno ottenne una sala personale alla Biennale veneziana che ebbe un vasto successo. L’anno successivo terrà una personale alla Galleria d’Arte Moderna di Milano città in cui si stabilì definitivamente.

La sete (1934) quest’opera prende spunto dai calchi di Pompei – © Paolo Monti, disponibile nella biblioteca digitale BEIC (CC BY-SA 4.0)

Gli anni delle grandi esposizioni

A Milano continuerà a sperimentare, questa usando nuove tecniche espressive e nuovi materiali come il legno, la pietra, la creta ma anche il bronzo. Continuò a partecipare alle esposizione nazionali come alla Biennale di Venezia, alla Quadriennale di Roma e alla Triennale di Milano. Per quest’ultima lo scultore Arturo Martini realizzò una grande opera in gesso alta sei metri dal titolo Mosè salvato dalle acque.

I morti di Bligny trasalirebbero

Lo scultore Arturo Martini completò quest’opera tra il 1935 e il 1936 e oggi può essere ammirata nel Museo del Novecento di Milano.

La statura ritrae un uomo che spinge con mani e piedi la lastra tombale emergendo così dalla propria tomba. Sulla la lastra poi l’autore scrisse il titolo dell’opera e la data, dopo la fine della guerra l’opera venne vandalizzata rimuovendo alcune scritte.

Quest’opera prendeva spunto dal discorso di Mussolini del 2 ottobre 1935 in cui parla della sanzioni contro l’Italia in seguito all’attacco contro l’Etiopia. Nel discorso Mussolini si meraviglia che i francesi, che erano stati aiutati dall’Italia nella prima guerra mondiale, aderissero alle sanzioni citando i morti di Bligny del II Corpo d’armata italiano caduti durante la Seconda battaglia della Marna del 1918 aiutando, per l’appunto, la Francia.

I morti di Bligny trasalirebbero (1936) – ©Paolobon140 (via wikimedia commons CC BY-SA 4.0)

Gli ultimi anni

Durante la seconda guerra mondiale Arturo Martini fu insegnante di scultura all’Accademia di belle arti di Venezia. Insegnò fino al 1945 quando fu sospeso per aderito al fascismo, aspetto che ha negato asserendo che aveva aderito soltanto per poter lavorare.

Negli ultimi anni si concentrò sulla ricerca formale ed un’opera simbolo di quel periodo può essere considerata la Vacca datata 1945. Successivamente lasciò la scultura per dedicarsi alla pittura diventando un ottimo disegnatore.

Arturo Martini morirà a Milano il 22 marzo 1947.

Maria Giulia Parrinelli

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