A Trieste, per la prima volta in Friuli Venezia Giulia, la mostra di Antonio Ligabue. Un’antologica con oltre 60 opere che, dall’8 novembre, racconta uno degli artisti più straordinari e commoventi del Novecento. Il capoluogo del Friuli Venezia Giulia, grazie alla collaborazione tra Comune e Arthemisia, si conferma punto di riferimento per le grandi mostre in Italia.
Oltre 60 opere tra oli, disegni e sculture saranno protagoniste, al Museo Revoltella di Trieste dall’8 novembre fino al 18 febbraio del 2024, della prima mostra antologica dedicata ad Antonio Ligabue in Friuli Venezia Giulia, il racconto della vita e dell’opera di un uomo che ha fatto della sua arte il riscatto della sua stessa esistenza. Antonio Ligabue, uno degli artisti italiani più umani e commoventi del Novecento, con la sua vita così travagliata, escluso dal resto della sua gente, legato visceralmente al mondo naturale e animale e lontano dal giudizio altrui, riuscì a imprimere sulla tela il suo genio creativo; un uomo, talmente folle e unico, che con la sua asprezza espressionista riesce ancora oggi a penetrare nelle anime di chi ammira le sue opere.
Con le sue pennellate così corpose, sfuggenti e cariche di sentimenti ardenti, Antonio Ligabue – con i paesaggi, i galli, le fiere e gli intensi e numerosi autoritratti – ha dipinto l’esperienza originaria dell’uomo; la sua arte porta in sé la visione di una forza interiore, la dimensione della memoria. Artista visionario, autodidatta e sfortunato, entrò nell’animo del grande pubblico perché capace di parlare con immediatezza e genuinità a tutti, a chi ha gli strumenti per capirne il valore storico- artistico, così come a chi semplicemente gode della bellezza assoluta delle sue opere.
“Ligabue non può non sorprendere, non sgomentare, e non convincere con lo spettacolo sbalorditivo di questa sua tenebrosa violenza e magica perizia di pittore che sa darci in un unico impasto l’ordine e il disordine dell’uomo nel creato”. È così che il critico Giancarlo Vigorelli descrive Ligabue in occasione della mostra alla Galleria Barcaccia di Roma nel 1961. Segnato da una vita tormentata, visse un’inquietudine inesorabile, un disadattamento personale che riesce a superare solo dipingendo, una fuga dall’inferno di una realtà che non lo accoglie mai mai e lui stesso non comprende, si sente escluso da una società creata dagli uomini, vive una solitudine senza appigli che scongiura solo attraverso la pittura. L’arte entra nella vita di Ligabue a partire dall’infanzia, come lenitivo per uno stato di disagio e di dolore profondo, un balsamo per alleviare la drammaticità della sua condizione umana.
Per Ligabue l’unico rifugio diventa il colore: più l’anima è straziata, più i colori diventano brillanti il suo animo soffocato dal dolore si libera dagli incubi che ha dentro creando dei capolavori. Non stupisce dunque che il pittore sente la necessità di riprodurre la propria immagine più volte, come a voler dare prova della loro esistenza, un tentativo estremo di allontanare la condizione di esasperata emarginazione, una muta preghiera di essere guardato. I soggetti sono spesso ripetuti più e più volte ma, come scrive Marzio Dall’Acqua, rappresentano i fermo immagine di un unico racconto: “molte opere sembrano uguali, si pensi ai pollai o alle lotte di galli apparentemente tutti uguali, che costituiscono invece un’interminabile sequenza di uno scontro che non ha fine e proprio per questo diviene più angoscioso, più alienante anche per chi guarda le opere”.
Una storia umana e artistica straordinaria e unica, che negli anni ha appassionato migliaia di persone, tanto da essere diventato addirittura protagonista di film e sceneggiati televisivi, sin dagli anni ’70. Memorabile lo sceneggiato RAI di Salvatore Nocita del 1977 con Flavio Bucci, così come il recente film “Volevo nascondermi” del 2020 di Giorgio Diritti con la magistrale interpretazione di Elio Germano. Tutto questo è raccontato perfettamente in un percorso cronologico, curato da Francesco Negri e Francesca Villanti. Seguendo una ripartizione cronologica, sono narrate le diverse tappe dell’opera dell’artista a partire dal primo periodo (1927-1939), quando i colori sono ancora molto tenui e diluiti, i temi sono legati alla vita agreste e le scene con animali feroci in atteggiamenti non eccessivamente aggressivi; pochissimi gli autoritratti. Il secondo periodo (1939-1952) è segnato dalla scoperta della materia grassa e corposa e da una rifinitura analitica di tutta la rappresentazione.
Il terzo periodo (1952-1962) è la fase più prolifica in cui il segno diventa vigoroso e continuo, al punto da stagliare nettamente l’immagine rispetto al resto della scena. È densa in quest’ultimo periodo la produzione di autoritratti, diversificati a seconda degli stati d’animo. Tra i capolavori esposti vi sono Carrozzella con cavalli e paesaggio svizzero (1956-1957), Autoritratto con sciarpa rossa (1952- 1962) e Ritratto di Marino (1939- 1952), accanto a una sezione dedicata alla produzione grafica con disegni e incisioni quali Iena (1952-1962) e Cavallo con asino (1952-1962) e una sezione sulla sua incredibile vicenda umana. La mostra, promossa e organizzata dal Comune di Trieste – Assessorato alle politiche della cultura e del turismo, con il supporto di Trieste Convention and Visitors Bureau e PromoTurismo FVG, è prodotta da Arthemisia in collaborazione con Comune di Gualtieri e Fondazione Museo Antonio Ligabue. La mostra, che ha come special partner Ricola, rientra nel progetto “L’Arte della solidarietà” realizzato da Arthemisia con Komen Italia, charity partner della mostra.
Unire l’arte con la salute, la bellezza con la prevenzione: è questa l’essenza di un progetto che vede il colore rosa della Komen Italia fondersi con i capolavori esposti nelle mostre. Nel concreto, una parte degli incassi provenienti dalla vendita dei biglietti di ingresso della mostra verrà devoluta da Arthemisia per la realizzazione di specifici progetti di tutela della salute delle donne. Con questa partnership Komen Italia si prepara al grande evento nazionale per festeggiare il suo 25esimo anno della “Race for the cure” il prossimo maggio 2024.
LA MOSTRA
Nel 1975 in occasione della prima grande antologica, Sergio Negri, uno dei maggiori esperti di Ligabue, adotta in maniera definitiva la ripartizione in tre periodi dell’opera di Antonio Ligabue.
Primo periodo: 1927-1939
Le opere di questi anni sono ancora sgrammaticate, risentono di qualche incertezza tecnica e coloristica che però Ligabue riesce mirabilmente a superare grazie all’istintiva capacità narrativa. Come in Nudo di donna (1929-1930), l’impianto formale è semplice e l’impaginazione è equilibrata: spesso si concentra su un’unica immagine centrale, con pochi elementi sullo sfondo. Il colore è steso in maniera così leggera da sembrare soffuso. È evidente l’eccessivo uso di acquaragia per far scorrere il pennello più facilmente sulla tela. I contorni delle figure non sono ancora definiti dal segno nero, come farà nelle opere a partire dalla metà degli anni ’30; l’insieme è reso con poche pennellate essenziali.
La tavolozza è povera, i colori utilizzati sono prevalentemente il verde, il marrone, il giallo, il blu cobalto e si accosta alle terre naturali. Inizia a raffigurare i temi prediletti: gli aspetti della vita agreste, le scene con animali feroci (come in Leone con leonessa del 1932-1933) in atteggiamenti non eccessivamente aggressivi; pochissimi gli autoritratti. Molte opere di questo periodo non sono firmate; la firma, quando compare, è in corsivo gotico. Sul finire di questi anni, dopo la conoscenza di Mazzacurati, la mano di Ligabue diventa più sicura, il dipinto assume una maggiore corposità e intensità tonale, un sempre miglior equilibrio compositivo.
Secondo periodo: 1939-1952
Nel secondo periodo, che va dal 1939 al 1952, la pittura di Ligabue si impadronisce dei segreti del colore e della linea. Egli inizia a strutturare forme sempre più complesse arrivando a riprodurre il movimento e l’azione, rendendo la narrazione più reale. I toni cromatici diventano più caldi e la materia pittorica acquisisce spessore. Il colore diventa lo strumento linguistico determinato anche dall’abitudine di Ligabue di non iniziare la composizione da un disegno preparatorio, preferendo dipingere senza esitazioni e senza seguire una traccia.
Andrea Mozzali ricorda: “Ligabue quando doveva dipingere un quadro se lo figurava già tutto finito nella testa. Non faceva nessun disegno ma il quadro dipinto a olio lo cominciava da un particolare”. Riesce così ad ottenere delle figure caratterizzate da una scabra potenza grafica in contrapposizione alla ricchezza lirica del colore, come i grandi illustratori primitivi. Egli comprende, attraverso un’attenta osservazione dei campi di grano, le splendide e numerose tonalità del giallo, di cui fa un uso ripetuto assieme alla terra di Kassel, il blu di Prussia e il rosso carminio. In questo secondo periodo Ligabue firma sempre in corsivo gotico preferibilmente con il colore rosso e ponendo a volte solo la a minuscola, iniziale del nome. In altre occasioni, principalmente nei quadri di piccole dimensioni, al posto della firma pone solo le due iniziali. Opere del periodo sono Ritratto di Elba (1933), Circo (1941-1942) e Volpe in fuga con gallo in bocca (1943-1944).
Terzo periodo: 1952-1962
Nel terzo periodo anche le fiere, già stilisticamente avanzate, acquisiscono una cura per il dettaglio che si potrebbe paragonare a quella dei dipinti fiamminghi. Di questi anni sono Leopardo nella foresta (1956-1957), Lotta di galli (1958-1959) e Il serpentario (primavera 1962) nei quali la minuzia con cui si sofferma sui dettagli per catturare l’essenza del soggetto è confermata dagli splendidi manti delle tigri, dei leopardi, dal piumaggio dei volatili, che prendono vita nelle tele.
Le angosce che percorrono la sua mente esplodono nell’aggressività degli animali e la loro impietosa lotta per la sopravvivenza. Punte quasi ossessive sono evidenti nella rielaborazione continua dello stesso esasperato tema iconografico. È il periodo più prolifico. L’artista, che ha ormai assimilato ogni segreto riguardo al “mestiere”, è portato a volte, sia per eccesso di sicurezza, sia per le richieste dei committenti, a una notevole discontinuità di livello. Il segno nero intorno alle figure si fa vigoroso e continuo. Nella firma, quasi sempre rossa, la A iniziale del nome è ora maiuscola a bastoncino, il cognome sempre in corsivo gotico; ma spesso vi sono solo le iniziali. I colori maggiormente usati sono il giallo limone, il blu di Prussia, le terre di Siena, il giallo cadmio, il bruno Van Dyck e abbonda il bianco di zinco. È densa, in quest’ultimo periodo la produzione di autoritratti, diversificati a seconda degli stati d’animo vissuti al momento dell’esecuzione ma tuttavia sempre pervasi da una incontenibile tristezza.
LA VITA DI ANTONIO LIGABUE
Non si può parlare dell’arte di Ligabue senza conoscerne la vita, né si possono capire le sue opere se non si entra nel mondo di quel piccolo uomo sfortunato e folle, pieno di talento e poesia. Nato a Zurigo nel 1889 da madre di origine bellunese e da padre ignoto, viene dato subito in adozione ad una famiglia svizzera. Già dall’adolescenza manifesta alcuni problemi psichiatrici che lo portano, nel 1913, a un primo internamento presso un collegio per ragazzi affetti da disabilità. Nel 1917 viene ricoverato in una clinica psichiatrica, dopo un’aggressione nei confronti della madre affidataria Elise Hanselmann che, dopo varie vicissitudini, deciderà di denunciarlo ottenendo l’espulsione di Antonio dalla Svizzera il 15 maggio del 1919 e il suo invio a Gualtieri, il comune d’origine del patrigno (il marito della madre naturale, che odierà sempre).
Ligabue non parla l’italiano, è incline alla collera e incompreso dai suoi contemporanei, viene soprannominato “el Matt” dagli abitanti di Gualtieri che ne rifiutano i dipinti e il valore artistico, costringendolo a prediligere la via dell’alienazione e della solitudine. Dopo tormentati e inquieti anni di vagabondaggio in cui vive solamente dei pochi sussidi pubblici e si rifugia nell’arte per esprimere il suo disagio esistenziale, a cavallo tra il 1928 e il 1929 incontra Renato Marino Mazzacurati (importante artista della Scuola Romana) che ne comprende il talento artistico e gli insegna ad utilizzare i colori.
Con singolare slancio espressionista e con una purezza di visione tipica dello stupore di chi va scoprendo – come nell’infanzia – i segreti del mondo, Ligabue si dedica alla rappresentazione della lotta per la sopravvivenza degli animali della foresta; si autoritrae in centinaia di opere cogliendo il tormento e l’amarezza che lo hanno segnato, anche per l’ostilità e l’incomprensione che lo circondavano; solo talvolta pare trovare un po’ di serenità nella rappresentazione del lavoro nei campi e degli animali che tanto amava e sentiva fratelli. Nel 1937 viene nuovamente ricoverato presso l’ospedale psichiatrico di San Lazzaro a Reggio Emilia per autolesionismo e per “psicosi maniaco-depressiva” nel marzo del 1940. È il 1948 quando comincia a esporre le sue opere in piccole mostre e ottenendo, sotto la guida di Mazzacurati, qualche riconoscimento e a guadagnare i primi soldi. Ma il successo è breve: dopo essersi permesso solo qualche lusso, nel 1962 viene sopraggiunto da una paresi e ricoverato all’ospedale di Guastalla dove continua a dipingere e dove termina la sua vita il 27 maggio del 1965. wikipedia.org
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