Una testa d’ispirazione classica provocatoriamente dipinta di giallo che ritrae un giovane uomo dai tratti delicati e l’espressione pensosa. È l’autoritratto di Andreas Senoner, artista e scultore bolzanino, classe 1982 che, fra luglio e agosto è stato protagonista della personale Transitory Bodies curata da Sabino Maria Frassà allo Studio Museo Francesco Messina di Milano. Esperto di intaglio del legno, materiale con il quale lavora dal 2006, l’artista rappresenta una matericità dolente attraverso la frammentazione del corpo. “Lavorare sui frammenti è lavorare intimamente al Tutto” spiega l’artista. Il lavoro di disgregazione di Andreas Senoner non indebolisce la tecnica, curatissima, né penalizza l’introspezione e lo scavo sulle forme ritratte, ed è fondato su tecniche tradizionali che l’artista ha dapprima appreso e poi superato. La ricerca dell’artista incarna un’idea scultura che va oltre la tradizione classica per farsi sofisticata e meditativa, pienamente immersa nella contemporaneità e sa farsi apprezzare grazie a uno stile elegante e una poetica a tratti ermetica.
Andreas Senoner, alla ricerca del tempo perduto
Testo critico di Sabino Maria Frassà per la mostra Transitory Bodies
Eugenio Montale scriveva che “ciò che manca, | e che ci torce il cuore e qui m’attarda | tra gli alberi ad attenderti, è un perduto senso”. Andreas Senoner sembra proseguire il pensiero del poeta attraverso le sue opere sospese, immobili, al di là del tempo ed enigmaticamente avvolte in un alone di mistero. Arturo Martini, altro grande maestro molto amato dall’artista altoatesino, rifuggiva dall’immobilismo con torsioni e sguardi al cielo, Andreas Senoner invece fa dell’immobilismo arcaico e severo il cardine della sua ricerca artistica. Del resto, le sue opere si concentrano sull’analisi dell’essere umano inteso non come corpo ma come espressione di interiorità.
I corpi di Andreas Senoner sono così considerati dall’artista quali meri involucri transitori di un’anima laicamente intesa ed impegnata in un processo di crescita o meglio di metamorfosi continua verso una imprecisata e inafferrabile forma finale: come fossero bozzoli tali corpi sono spesso ricoperti di piume e licheni a simboleggiare una transizione in atto non completata. L’attesa del cambiamento è resa anche dallo sguardo dei personaggi di Andreas Senoner che hanno gli occhi chiusi o aperti e fissi nel vuoto. Le opere di Andreas Senoner non appaiono mai bucoliche, quanto piuttosto sono un’evidente metafora e raffigurazione della solitudine dell’essere umano, ingabbiato in un corpo il cui continuo divenire è sempre più disallineato con l’evoluzione psichica interiore. Se lo sguardo canoviano risultava estasiato ed etereo, la classicità richiamata da Senoner è una classicità sospesa tra romanticismo e nichilismo: i suoi personaggi sono eroi senza speranza che attendono di diventare farfalle ma che vengono trafitti prima che tale trasformazione si compia. Lontana dalla plasticità bucolica di Apollo e Dafne di Bernini la natura nelle opere più recenti di Senoner appare sempre meno rifugio e assurge al ruolo di irta corazza. Del resto dal 2019 le opere dell’artista appaiono sempre più inquiete: la natura in cui Dafne si rifugiò – scomparendo in essa e che sembra aver ispirato le prime opere – si trasforma oggi in disadorni rami e infinite spine che trafiggono e si fondono con la pelle.
Anche nella natura è perciò impossibile trovare un ultimo rifugio e rinascere; troppe le ferite interiori causate da un mondo esterno sempre più aggressivo e oppositivo. Lo stesso artista spiega come le spine siano il simbolo della necessità dell’uomo di difendersi fino all’estrema conseguenza di tenere lontano da sé ogni cosa: “in natura le spine servono a proteggere, a isolare il corpo della pianta da attacchi esterni. Rappresentano perciò un involucro, una protezione estrema dal mondo esterno”. Abbandonati i corpi-involucri di piume e licheni, la leggerezza e la speranza del volo sembra oggi del tutto persa. Non è quindi un caso che l’opera scelta per rappresentare il completamento di tale percorso sia “Fear”, un’opera in cui con un ambiguo gesto di una mano trafitta da spine l’artista trasmette dubbi, incertezze e paura. Dopo decenni anni di vita e formazione trascorsi tra Firenze, gli Stati Uniti e la Spagna, Andreas Senoner tende sempre più a un forte ermetismo e una conseguente letterale scarnificazione progressiva dei personaggi ritratti. Le opere più recenti – forse le più e compiute ed emancipate dalla tradizione della Val Gardena – mostrano un inesorabile abbandono della rappresentazione della figura intera per concentrarsi su singole parti di corpo.
Ormai lontano dai maestri del legno – Aron Demetz e Willy Verginer – prende corpo un’inedita quanto originale e opportuna analisi del frammento quale metafora stessa dell’esistenza. È lo stesso Senoner a spiegare che “la storia umana è fatta di frammenti, nell’archeologia per esempio si studiano le culture antiche attraverso le tracce e i frammenti rinvenuti. Nel frammento si ritrovano storie, azioni passate e simboli che hanno un impatto molto forte anche a livello di immaginario collettivo. Lavorare sui frammenti è lavorare intimamente al Tutto”. L’artista non può che focalizzare la propria attenzione sulla ricerca di quel senso più profondo e “vero”, per cui è sente l’urgenza di abbandonare ogni orpello: addio, perciò, alle belle ciocche di capelli di augustea memoria, all’alterità canoviana e alla liricità di Martini, così marcata nelle opere dei primi anni. Il nuovo Andreas Senoner modella la propria inquietudine attraverso una ritrovata poetica ermetica, che ben si adatta al complesso momento storico che viviamo.
Per l’artista diventa importante rappresentare le viscere dell’interiorità, ritratte attraverso la bellezza del legno mangiato dai tarli o attraverso un’inedita e acuta stratificazione materica. L’arte non è perciò più l’impossibile mimesi della natura e della figura umana quanto, come diceva Salvatore Quasimodo, lo strumento per “rifare l’uomo” operando da “dentro”. “Troppo | straziato è il bosco umano, troppo sorda | quella voce perenne, troppo ansioso | lo squarcio che si sbiocca sui nevati | gioghi di Lunigiana. La tua forma | passò di qui, si riposò sul riano | tra le nasse atterrate, poi si sciolse | come un sospiro” (Personae separatae, Eugenio Montale, 1943)