Andrea Leung, architetto, ha curato il raffinato progetto della sua dimora, in uno dei quartieri più alla moda di New York, coniugando ricordi e memorie di famiglia con i linguaggi dell’interior design contemporaneo.
Situato a Lower Manhattan, tra l’Hudson River, Canal Street, Broadway e Vesey Street, Tribeca è uno dei quartieri più alla moda di New York. Negli antichi magazzini riconvertiti in lussuosi loft, vivono infatti celebrità dello sport, della televisione della musica e del cinema, tra le quali Robert De Niro, Julia Roberts e David Letterman. Un’area originariamente adibita a distretto industriale che, a causa della dismissione della maggior parte delle attività produttive, venne gradualmente abbandonata, finché, negli anni 80, molti artisti d’avanguardia iniziarono a occupare gli edifici in disuso, rivitalizzando la zona, che oggi è una delle più ambite e costose della città. Un luogo nel quale si respira un’atmosfera al tempo stesso vintage e glamour, aperto alle tendenze culturali più avanzate, nel quale Andrea Leung, architetto e Senior Associate dello studio Steven Harris, ha acquistato un vecchio loft che, dopo un radicale intervento di ristrutturazione, curato in prima persona, è diventato la sua dimora.
Da quando si è trasferita a New York nel 2013, Andrea Leung aveva immaginato di trovare un rifugio appartato nel quale dare forma al progetto abitativo dei suoi sogni. Il desiderio si è avverato quando ha trovato il luogo ideale per realizzare il progetto: un loft soleggiato e luminoso con antichi soffitti in lamiera color verderame sorretti da tre colonne corinzie in ghisa, in un palazzo storico del 1864. “È stato sufficiente dare uno sguardo allo spazio per comprendere, immediatamente, che tipo di atmosfera volevo creare”, racconta Andrea Leung; “uno spazio che si svela lentamente, che inizialmente stupisce per il suo impatto scenografico e successivamente incuriosisce, grazie a soluzioni e dettagli inaspettati”. Andrea Leung ha iniziato il progetto con diversi cambiamenti radicali. In primo luogo ha rimosso l’angusto soppalco che sovrastava la cucina, per creare una volumetria pulita e rigorosamente geometrica.
Ha poi impostato il layout distributivo, secondo la stessa logica, suddividendo l’ampio living space dal resto degli ambienti mediante una parete continua, in parte in vetro, in parte a specchio, che si estende per tutta la lunghezza del loft. Le pareti specchianti a tutta altezza, oltre ad amplificare la luminosità e le dimensioni dell’open space antistante, celano la zona notte e la cucina, pensate come ‘oasi segrete’ di intimità con un forte richiamo a memorie di famiglia. “Le stanze segrete mi hanno sempre affascinata. La penthouse che mia nonna utilizzava a Vancouver come pied-à-terre ne aveva parecchie, nascoste dietro a specchi”. Ricordi, carichi dello stupore e della meraviglia tipiche dell’infanzia che hanno ispirato Andrea Leung nella progettazione della sua abitazione, caratterizzata da molte superfici riflettenti e spazi nascosti. La grande porta specchiante a tripla apertura si apre, dal living space, per svelare il bagno padronale con vasca ovale monoblocco e pareti in marmo Grigio Toscana. Un’altra serie di porte a specchio consente di accedere una cucina dove sono protagonisti le spettacolari venature del Calacatta Macchia Vecchia e le fresature in ottone patinato messe in dialogo il rovere a listoni del parquet.
Oltre a questi ambienti, l’architetto ha creato altri spazi appartati di dimensioni più ridotte: incastonato dietro la camera da letto, una dressing room rivestita in noce con luci calde e specchi a sfioro e un secondo bagno in marmo Invisible Grey venato con accenti di metalli luminosi. Alla riservatezza di questi ambienti fa da contraltare l’ampio e luminoso open space che accoglie, senza soluzione di continuità, il living e il dining space. Questo spazio è arredato con pochi e selezionati pezzi dalle forme morbide e organiche, scelti per stemperare il rigore geometrico dell’architettura. Tra questi, molti sono stati realizzati su disegno di Andrea Leung: una credenza in noce e ottone, il tavolo da pranzo e la consolle con piani, gambe e ante di forma irregolare che giocano sui concetti di equilibrio e sostegno. “Come architetto, vivo della soddisfazione che deriva dall’ottenere un design con soluzioni eleganti ed essenziali. Ma è soprattutto, la promessa di emozioni create dalla bellezza degli spazi che guida la mia progettualità. Sono sempre interessata al fenomeno per cui configurazioni apparentemente statiche di materiali come le architetture possano evocare tensioni poetiche in grado di attingere ai nostri pensieri e ai ricordi, arrivando ad aspetti del nostro subconscio e reazioni immediate che potremmo non essere necessariamente in grado di articolare pienamente”.
Testo di Marco Miglio / Foto di Sarah Elliot