Alberto Giacometti è il Maestro dell’esistenzialismo. L’artista detiene ancora oggi il record per la scultura più cara battuta all’asta (141 milioni di dollari). Per tutti è lo scultore degli ominidi lunghi. Il suo lavoro compulsivo e perfezionista nel ritrarre un’umanità disperata l’ha reso universalmente celebre e conosciuto, anche se, come sempre accade, molto altro c’è da raccontare.
La famiglia d’origine
Alberto Giacometti nacque e morì in Svizzera (1901-1966). Era figlio di un pittore post-impressionista, Giovanni Giacometti, e di Annetta Stampa, discendente di protestanti italiani riparati in Svizzera per sfuggire all’inquisizione.Giacometti era il primo di quattro fratelli e fu sempre molto legato soprattutto a Diego (Giacometti) con cui condivideva il talento artistico e che gli fece in seguito da modello e collaboratore.
Il padre e il precoce talento di Alberto Giacometti
Fin da giovanissimo Alberto Giacometti rivelò la sua passione e il suo talento per l’arte. Fu perciò da subito appoggiato dalla famiglia e soprattutto dal padre. Quando si trasferirono tutti nella vecchia casa paterna a Stampa, un paese vicino sempre della Val Bregaglia, il padre predispose un atelier dove i figli potessero coltivare i propri talenti. Non solo assunse a seguire e veicolare il processo di crescita artistica il fraterno amico e pittorefauve Cuno Amiet (1868-1961).
“Adesso vi ho fatto vedere che anch’io so fare quadri colorati come mio padre. Però ora vado avanti con i miei colori – E ha dato i suoi vari grigi, neri, bianchi, marroni.” Da una lettera di Alberto Giacometti alla cugina Laura Semadeni.
Il cugino Zaccaria Giacometti
Tra i primi soggetti per i ritratti di Giacometti, che amò sempre molto fare, ci fu sicuramente il cugino Zaccaria Giacometti (1893-1970), divenuto poi un insigne professore di diritto pubblico all’Università di Zurigo che, rimasto orfano di entrambi i genitori appena dodicenne, visse a lungo insieme ai cugini, almeno fino a quando a 14 anni si recò a frequentare la Scuola Evangelica di Schiers.
L’amore per l’arte antica ed egizia di Alberto Giacometti
Già in questi primi anni Giacometti sviluppò l’abitudine di riprodurre le opere d’arte oltre che di studiarle. E studiò i classici ma fu affascinato anche dall’arte egizia, fascinazione che non lo abbandonerà mai. E per soddisfare questa sua passione per il mondo dell’arte fra il 1920 e il 1921 viaggiò in Italia, prima a Venezia dove a diciannove anni accompagnò il padre che si occupava dell’allestimento del Padiglione Svizzero alla Biennale Internazionale d’Arte e dove tra gli altri scoprì Tintoretto che per lui “fu una scoperta meravigliosa”. E poi fu la scoperta delle altre più importanti città d’arte a partire da Padova, Firenze, Assisi, Roma, Napoli.
Alberto Giacometti: pittura o scultura?
Dopo aver frequentato la Scuola di arti e di mestieri di Ginevra, nel 1919, si iscrisse a Parigi ai corsi di scultura di Émile-Antoine Bourdelle (1861-1969), all’Accademia della Grande Chaumière. Sono comunque gli anni in cui si delineò la sua maggiore propensione verso la scultura anche se non abbandonò mai del tutto la pittura.
Da queste sue prime esperienze, nascerà nel 1925 “Torso di donna” o “Donna cucchiaio” del 1926-1927 in cui si possiamo leggere l’influenza di Brancusi e il primitivismo dell’arte africana.
I primi anni parigini e il fratello Diego
Alberto Giacometti giunse a Parigi per raggiungere il fratello Diego. Con lui si immerse nel vivace clima artistico del tempo, avvicinandosi al cubismo ma anche al surrealismo specialmente fino al 1935. Con Diego condivise un piccolo studio e inizi molto difficili, ma il fratello fu sempre una costante: lo aiutava in varie incombenze, compresi il fare gli stampi e curare la fusione del bronzo per le sue sculture.
Diego coniugava in modo diverso le comuni passioni per l’arte e la scultura: amava molto gli animali e quindi scolpiva animali, così come nutriva perfino i topi che entravano in studio.
Nel libro su Diego si può leggere: ”Dopo la guerra, uno dei suoi amici è tornato da Auschwitz con una volpe. La teneva incatenata. “Come puoi fare questo: tu stesso sei stato un prigioniero,” disse Diego e la portò via con sé.
L’amore degli animali era un elemento che accomunava Diego al fratello Alberto, che realizzò persino la celebre scultura “Cat“, ovvero una sorta “gatto esistenzialista” nel 1954. L’opera è ora conservata al MoMA di New York.
Il periodo surrealista di Alberto Giacometti
Surrealismo per Giacometti significò per un certo periodo anche impegno politico che lo portò a collaborare alla rivista «II Surrealismo al servizio della rivoluzione». Sono gli anni di opere come “Table” del 1933 o di “Cube” del 1934.
In questi primi anni trenta, l’artista si distinse per opere con una chiara impronta surrealista come “Boule sospendue” del 1930-1931 in legno ferro e corda, esposta nell’aprile 1930 presso la Galerie Pierre di Parigi alla Mostra “Miro – Arp – Giacometti”. L’opera è ora conservata presso presso la Fondazione Alberto Giacometti di Zurigo.
Ancora, tra le altre opere di questi anni, vale la pena di ricordare “Le palais à quatre heures du matin“, del 1932 ora esposto al MoMA (Museo di Arte Moderna) di New York in cui Giacometti esprime “un periodo di sei mesi trascorso in presenza di una donna che, concentrando tutta la vita in se stessa, ha trasportato ogni mio momento in uno stato di incanto”.
L’amicizia con Andrè Breton
Parigi per Alberto Giacometti significò anche la grande amicizia con Andrè Breton. Non a caso quando, nel 1934, André Breton sposò Jacqueline Lamba, proprio Giacometti insiemea Eluard furono testimoni. Fu un matrimonio d’arte, tant’è che l’altro comune amico, Man Ray, fu il fotografo dell’evento.
Infine quando Breton compose la raccolta di poesie L’Air de l’eau, dedicata alla moglie, Alberto Giacometti lo illustrò con delle incisioni.
L’Objet invisible
E’ del 1934 “L’Objet invisible” , scultura nata da una maschera della prima guerra mondiale trovata, con Breton, al mercato delle pulci di Saint-Ouen. L’opera ritrae una figura femminile seduta, o che si rovescia, in bilico su un supporto rettangolare reticolato, che tiene in mano un oggetto invisibile. E infatti Giacometti la chiamerà anche “Mani che tengono il vuoto”.
La famiglia Giacometti a Ginevra
Alberto Giacometti rimase sempre molto legato alla sua famiglia di origine. Durante il decennio parigino restò sempre molto legato alla sua valle svizzera, la Val Bragaglia. L’artista ci tornava molto spesso per ritrovare i genitori. Nulla cambiò dopo la morte del padre nel 1933. Giacometti rimase sempre legatissimo alla madre, con la quale mantenne sempre un legame molto forte e che continuò a essere un riferimento per tutti i figli.
L’artista si trasferì così a Ginevra all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. La madre infatti aveva lasciato la Val Bragaglia nel 1937 quando l’unica figlia femmina, Ottilia di trentatre anni, morì dando alla luce il suo primo figlio. Il trasferimento fu reso necessario per badare al genero e al nipote. A Ginevra Alberto Giacometti conobbe Annette Arm che sposò nel 1949 dopo anni di convivenza a Parigi, in rue Hippolyte-Maindron. Annette divenne subito la sua modella di elezione.
Alberto Giacometti: l’esistenzialismo dopo il periodo surrealista
Abbandonato nel 1935 il gruppo surrealista, Alberto Giacometti iniziò una personalissima ricerca che lo portò dopo la fine del secondo conflitto mondiale nel ’45, alle prime figure esili e allungate, esposte per la prima volta nel 1948 in un’importante mostra alla Pierre Matisse Gallery, galleria del figlio di Henri Matisse. La mostra era accompagnata da un catalogo con una recensione di Jean Paul Sartre. Il filosofo francese intitolò il proprio testo “La ricerca dell’assoluto” lo consacrò come “l’espressione artistica più genuina dell’esistenzialismo“.
Sartre colse nell’opera di Giacometti i riferimenti all’inaccessibilità degli oggetti e delle distanze esistenti tra gli uomini.
L’esistenzialismo di Alberto Giacometti tra pittura e scultura
Alberto Giacometti è senz’altro il maestro dell’esistenzialismo. L’artista spiegò che “Ho sempre l’impressione o il sentimento della fragilità degli esseri viventi, come se ci volesse un’energia formidabile, perché possano stare in piedi istante dopo istante”
Lo strumento stilistico scelto da Alberto Giacometti per tradurre in immagini le apparenze della realtà visibile è, in pittura, un segno che si infittisce e si dirada per esprimere la trama di relazioni degli oggetti fra loro e con loro nello spazio circostante. In scultura invece l’artista dà forma a grumi di materia apparentemente informi, che si coagulano lungo fondamentali linee di forza.
Nello stare in piedi e camminare avanti, qualsiasi cosa accada, si nasconderebbe così secondo Giacometti il segreto dell’esistenza, quella fusione quasi impossibile di opposti, di fragilità, resistenza e incessante energia.
La scultura etrusca e Alberto Giacometti
Molti critici hanno sottolineato come la scultura di Giacometti sia stata fortemente influenzata da quella etrusca. Basta pensare a “Ombra della sera” al Museo Etrusco Guarnacci di Volterra. La mostra “Giacometti et les Etrusques” alla Pinacotheque de Paris nel 2011 approfondì tale stretta relazione, fino ad allora solo ipotizzata..
Le opere degli anni ’50
Nei primi anni ’50 Alberto Giacometti creò “Donna in piedi” e “Piazza”. Le opere sono note per la presenza di più figure allungate e strette: nella prima a grandezza naturale, nella seconda di piccole dimensioni con quattro uomini che camminano ognuno per conto suo verso un centro dove è posizionata una figura femminile, forse espressione di una moderna città in cui ognuno è solo e indifferente all’altro.
Quanto valgono le opere di Alberto Giacometti?
Le opere di Alberto Giacometti erano già costose mentre l’artista era in vita. Dopo la seconda Guerra Mondiale il valore delle sue sculture esistenzialiste, cominciò a crescere velocemente, complice il grande interesse dimostrato dai musei americani.
Dopo la morte, le sue opere vennero battute all’asta per cifre sempre maggiori, fino ad arrivare ai record degli ultimi dieci anni di L’uomo che cammina e L’uomo che indica.
Più recentemente, grazie a un attento lavoro della Fondazione, anche le opere di pittura e disegni preparatori hanno ottenuto un buon riscontro di mercato, comunque lontanissimo dal valore attribuito alle opere scultoree.
L’Homme qui marche. L’opera più famosa di Giacometti
L’opera più famosa di Alberto Giacometti è «L’uomo che cammina» (L’Homme qui marche). Si tratta di una grande fusione in bronzo (l’opera è alta 180 cm) in cui molti hanno visto persino un autoritratto dell’artista. La scultura fu realizzata nel 1960, quando l’artista aveva già 59 anni; è raffigurato un uomo solo a metà strada con le braccia lungo i fianchi, che procede in avanti con un passo ampio.
Questa scultura, come altre di Giacometti realizzate con la stessa stilizzazione lineare, sono state messe in relazione con la scultura etrusca “Ombra della sera” e con l’arte egizia, tanto amata dall’artista.
L’Homme qui marche fu venduto nel 2010 per 100 milioni di dollari e restò la scultura più cara mai venduta fino a quando un’altra opera dell’artista, Homme au doigt (L’uomo con il dito) del 1947, fu venduta alla cifra record di 126 milioni di dollari nel 2014 da Christie.
Dov’è possibile vedere L’Homme qui marche?
L’opera divenne da subito iconica, complice il premio del 1962 dato all’artista dalla Biennale di Venezia. Quattro vedute dell’opera sono raffigurate sulla versione del 1998 della banconota da 100 franchi svizzeri.
La scultura fu realizzata in più esemplari: il primo si trova al Carnegie Museum of Art di Pittsburgh in Pennsylvania, mentre altri si trovano alla Fondation Maeght a Saint-Paul del Kröller-Müller Museum nei Paesi Bassi, alla Albright-Knox Art Gallery a Buffalo di New York e al Louisiana Museum of Modern Art vicino a Copenhagen in Danimarca.
L’Homme au doigt. L’opera dei record di Alberto Giacometti
L’Homme au doigt (L’uomo con il dito) detto anche “L’uomo che indica” è una scultura in bronzo del 1947 di Alberto Giacometti.
E’ a oggi (2023) la scultura più costosa mai venduta in assoluto (quindi non solo di quelle di Giacometti), essendo stata battuta all’asta per 141,3 milioni di dollari l’11 maggio 2015 da Christie. La scultura è famosa perché si ritiene sia stata l’unica a essere “dipinta a mano dall’artista al fine di aumentarne l’impatto espressivo”.
Giacometti ne realizzò sei esemplari, oltre a una prova artistica. L’opera è così presente nelle collezioni del MoMA e in quella della Tate Gallery di Londra e del Des Moines Art Center. Altre copie si trovano in fondazioni o collezioni private.
Il successo e l’attaccamento alla terra natia
Giacometti è considerato tra i più importanti artisti svizzeri del XX secolo, sebbene la sua attività professionale si sia concentrata per lo più in Francia.
Alberto Giacometti, nonostante il successo, mantenne infatti sempre un forte legame con la terra natia. Aveva conservato l’atelier a Stampa (Val Bragaglia) dove tutto era cominciato. L’artista ritrasse gente del posto – come la cameriera del ristorante dov’era solito andare a chiacchierare – e naturalmente i suoi familiari.
Non a caso il grande scultore decise di trascorrere gli ultimi anni in Svizzera, morì a Coira e riposa oggi nel cimitero della chiesa di San Giorgio a Borgonovo, il suo paese natale, accanto ai genitori e familiari.
Alberto Giacometti, artista irrequieto
L’artista rimase però fino alla fine una persona inquieta e tormentata. Lo testimonia il complesso rapporto anche con commesse private importanti e il fatto che ri-elaborasse i modelli e bozze, spesso distruggendoli o mettendoli da parte, per essere restituiti agli anni successivi.
Ad esempio nel 1958 a Giacometti fu chiesto di creare una scultura monumentale per il nuovo edificio in costruzione della Chase Manhattan Bank di New York. L’artista per molti anni aveva nutrito l’ambizione di creare un lavoro per una piazza pubblica, ma non aveva mai messo piede a New York, e non sapeva nulla della vita in una metropoli. Il lavoro di Giacometti sul progetto ha portato alle quattro figure di donne in piedi, le sue più grandi sculture, intitolate Grande femme debout, I – IV (1960).
La commessa non fu mai completata, tuttavia, perché Giacometti era insoddisfatto del rapporto tra la scultura e il sito, e abbandonò il progetto.
Il successo globale degli ultimi anni
Gli ultimi anni videro Giacometti ricevere continui riconoscimenti internazionali. Nel 1962 Giacometti ricevette il Gran Premio per la scultura alla Biennale di Venezia, raggiungendo fama globale. Nel 1965 ricevette il Gran prix national des Arts dallo Stato francese e il dottorato honoris causa dell’Università di Berna.
La complicata vita privata di Alberto Giacometti
Alberto Giacometti non lasciò mai la moglie Annette, che spesso ritrasse l’artista che lavorava con la propria macchina fotografica. Molti furono anche i ritratti che Giacometti fece alla moglie. Non fu però un matrimonio felice: tanti i tradimenti di entrambi i coniugi.
In questo rapporto ci sarà anche Isaku Yanaihara, filosofo e critico d’arte giapponese, a Parigi con una borsa di studio che poserà per Giacometti in pose che dureranno mesi e saranno pose ricche di discussioni su cui Isaku scriverà poi una monografia “I miei giorni con Giacometti” che descrive lo spazio in cui Giacometti e la moglie vivono nello studio di Rue Hippolyte-Maindron. E pare che per trattenere ancora un po’ il suo “modello” a Parigi l’artista favorì persino una relazione intima con la moglie. Dirà Isaku della prima visita di Annette al suo albergo “In breve si tolse di dosso tutti i vestiti che aveva e venne sul mio letto”.
L’artista spiegò poi riguardo a questo tradimento “La gelosia è ciò che odio di più e in me non ce n’è neanche un briciolo. Amare Annette significa rispettare la sua libertà, non sei d’accordo? Annette è sempre stata una donna molto libera ed è per questo che la amo”.
Caroline e la morte di Alberto Giacometti
Alberto Giacometti concluse la sua esistenza amando Caroline. Fu la grande storia d’amore. Caroline era una prostituta che amò senza limiti per sette anni. Si conobbero nel 1958 quando lui aveva 57 anni e lei soltanto 20. Grazie a lei, che gli farà conoscere la Parigi notturna, quella senza regole, che ritrarrà in “Parigi senza fine”, un libro con 150 litografie. Anche Caroline a modo suo lo amò e insieme cercarono anche, inutilmente, di avere un figlio. Alla fine quando lui starà per morire, divorato da un cancro all’intestino, allontanò la moglie e volle vicino a sé, a tenergli la mano fino alla fine, soltanto Caroline. Giacometti morì dicendo “La morte sta per venire a prendermi… Come mi sono dato da fare per niente”.
La Fondazione Alberto et Annette Giacometti
La Fondazione Alberto et Annette Giacometti è nata nel 2003 con l’obiettivo di promuovere, diffondere, preservare e tutelare l’opera di Alberto Giacometti. Ha ricevuto un grande lascito della vedova di Alberto Giacometti. Oggi la Fondazione detiene una collezione di circa 5.000 opere, spesso esposte in tutto il mondo attraverso mostre e prestiti a lungo termine. Istituzione di interesse pubblico, la Fondazione nasce nel 2003
Un’altra fondazione celebre è la Alberto Giacometti Stiftung, fondata a Zurigo nel 1965, che possiede una più piccola collezione di opere acquistate dall‘industriale di Pittsburgh G. David Thompson.
Il museo Ciäsa Granda in Val Bragalia (Svizzera)
Nella sua tanto amata Val Bragaglia, a Stampa, si trova il museoCiäsa Granda. Qui si possono ammirare alcune delle sue opere, assieme a quelle dl padre Giovanni e dei fratelli Diego, Bruno e Augusto Giacometti.
Poco distante dal museo c’è lo storico “atelier di famiglia“.
Gli eredi di Alberto Giacometti: da Lucian Freud ad Antony Gormley
L’esistenzialismo di Giacometti influenzò da subito il mondo dell’arte. Lucian Freud di vent’anni più giovane lo fece suo nei dipinti realizzati a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. Ma l’erede forse più noto di Alberto Giacometti è senz’altro Antony Gormley, non a caso anch’esso uno tra gli scultori viventi più pagati al mondo.
Gormley ha dedicato molto tempo a studiare il maestro dell’esistenzialismo ed ha partecipato a numerose conferenze sul maestro. Entrambi interessati a scavare e rappresentare la fragilità umana nella figurazione scultorea, Gormley è arrivato a spiegare nel 2016 che “I think that what Giacometti did was, in a way, liberate sculpture back into the world” (Penso che quello che Giacometti fece fu, in un certo senso, liberare e portare la scultura di nuovo nel mondo).