Nel ciclo di installazioni immersive “Isolation,” Fabian Knecht crea immagini nella natura in cui si può realmente entrare e camminare.
White cube è uno dei grandi dilemmi dell’arte contemporanea: odiato (da pochi) per la sua artificiosità, è amato dai più quale migliore modo per presentare e fruire un’arte, sempre più concettuale ed ermetica. Del resto, il white cube altro non è che un contenitore bianco asettico che preservava le opere al suo interno rendendole immuni da qualsiasi influenza interpretativa esterna. In contrasto con tale visione, da decenni molti artisti cercano di portare l’arte nella realtà. Tale intento è il motore originario del ciclo di installazioni immersive di land art “Isolation” di Fabian Knecht. L’artista crea immagini nella natura in cui si può realmente entrare e camminare, innescando così un ipnotico loop spazio-temporale: costruisce dei white-cube temporanei nella/intorno alla natura (durano al massimo sei mesi per non danneggiare l’ecosistema), porta le persone a vivere questi spazi artificiali, ma le opere infine esposte sono soltanto le immagini della sola natura racchiusa nel white cube. L’elemento ludico dei visitatori sorpresi dall’azione, il loro rumore, scompaiono.
La documentazione di questo aspetto performativo serve unicamente all’artista per dimostrare che le immagini non sono rendering virtuali bensì frutto di un’azione reale. Fabian Knecht quindi non si limita a portare l’arte fuori dal museo, ma si spinge oltre, interrogandosi su cosa sia l’arte: a prima vista potremmo rispondere che l’arte risiede nella bellezza della natura, ma troppo complessa e artificiale appare la costruzione – concettuale e materiale – di queste installazioni, che non possono perciò essere classificate banalmente come fotografia paesaggistica.
In Isolation di Fabian Knecht la natura è a ben vedere il punto di partenza per indagare il senso della nostra stessa esistenza sospesa tra realtà e immagine, tra solitudine e socialità. Il tema dell’alienazione dalla realtà in un’epoca dell’immagine digitale pervade tutti le immagini realizzate dall’artista. Knecht ricerca per contrasto l’autenticità e l’essenza della realtà. Parte dal complesso effimero artificio da lui costruito per rivelare ciò che è realmente e che sempre più a fatica si riesce a vedere. Le sue installazioni sono grandiose, costose e complesse, ricordano per certi versi i progetti di Christo e Jeanne-Claude, ma manca il loro senso di contenimento e protezione.
Fabian Knecht dà origine a un rapporto ambivalente, quasi violento, tra la natura e l’essere umano. Le sue immagini, nella loro algida perfezione, non sono mai bucoliche; hanno un qualcosa di sinistro e ospedaliero. L’elemento umano e la sua azione (la costruzione del white cube) sono il vero elemento alieno: il bianco, le luci fredde, le immagini desaturate e i neon riportano alla mente “2001: A Space Odyssey”. Nell’impossibile mondo ritratto da Knecht, così come nella conclusione del capolavoro di Stanley Kubrick, possiamo trovare mille e nessuna risposta e forse è questo l’irresistibile fascino di queste opere. Chi siamo? Cos’è reale? Cos’è artificiale?
Fabian Knecht
Nato nel 1980 a Magdeburgo (Germania), Fabian Knecht ha studiato all’Universität der Künste di Berlino e al California Institute of the Arts.
Le sue opere sono state esposte in sedi istituzionali e mostre nazionali e internazionali, tra cui il MSU Museum for Contemporary Art (Zagabria), la Biennale Internazionale di Mosca per la Giovane Arte, la Neue Nationalgalerie (Berlino), Hamburger Bahnhof (Berlino), l’Imperial War Museum (Londra), e la Staatliche Kunsthalle Baden-Baden. fabianknecht.de
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