Il segno fluido di Zaha Hadid è entrato in tutte le realizzazioni dell’archistar irachena, evidenziando i tratti della sapiente modellazione che s’intuisce nelle grandi sculture.
Riferimenti biografici
Zaha Hadid è nata a Baghdad, nel 1950, in una famiglia agiata, che le ha permesso di sviluppare il suo talento in contesti internazionali. Si è laureata in matematica all’Università Americana di Beirut, proseguendo il suo iter formativo all’Architectural Association di Londra, con Elia Zenghelis e Remment (Rem) Koolhaas.
Il percorso professionale
A fine anni settanta, dopo il secondo titolo, è nata la sua collaborazione con Koolhaas, celebre architetto e saggista olandese, oltre che futuro insegnante all’Università americana di Harvard e membro dell’American Philosophical Society.
Il lavoro di Hadid con l’Office for Metropolitan Architecture di Rotterdam – in acronimo OMA, fondato da Rem, è cresciuta in parallelo a una prestigiosa carriera universitaria, che ha percorso tutta la sua esistenza. Negli anni, Hadid ha insegnato all’Architectural Association, a Yale, ad Harward, a Chicago, ad Amburgo, alla Columbia e a Vienna.
Nel 1979, a Londra, ha dato vita a un proprio studio, fondando Zaha Hadid Architecs. Nelle prime fasi, le sue visioni progettuali erano già molto apprezzate, ma, nonostante avesse vinto concorsi di rilievo, le sue opere, spesso, non venivano realizzate, perché considerate troppo avveniristiche.
Il primo cambiamento di rotta è venuto dall’ìncontro con Peter Rice, ingegnere strutturista irlandese di grande valore, capace di concepire scheletri robusti per progetti complessi.
Nei primi anni novanta, Hadid ha progettato edifici importanti e il suo studio ha assunto il ruolo di punto di riferimento a livello internazionale, tanto che, negli anni dieci del 2000, è arrivato a impiegare fino a 400 risorse umane.
Premi e riconoscimenti
Nel 2004, Zaha ha vinto il Pritzker Prize, un premio che qualcuno ha paragonato al Nobel per il comparto dell’architettura. Nel 2006, le è stata dedicata una mostra retrospettiva al Guggenheim di New York, viatico alla laurea honoris causa in architettura, ricevuta dall’Università Americana di Beirut, il suo primo ateneo.
Sempre nel 2006, l’architetto iracheno ha affiancato al suo studio di architettura, uno studio per l’interior design, lo ZHD (Zaha Hadid Design), che tuttora lavora su gioielli, fashion, accessori, arredi e installazioni espositive.
Zaha Hadid è deceduta nel 2016, nell’ospedale di Miami, in Florida, per un attacco cardiaco innestatosi su una bronchite.
Il segno fluido di Zaha Hadid – qualche opera
La stazione dei vigili del fuoco nel Vitra Campus
Nel 1981, un incendio colpì il Campus della Vitra. L’azienda, in fase di ricostruzione, commissionò a Zaha Hadid il progetto di una stazione interna per i vigili del fuoco.
Il risultato prese una forma scultorea, una profilo morbido, poco colorato, che sembra lanciarsi verso l’alto, come per una deflagrazione bloccata da un ‘fermo immagine’.
Il London Aquatics Center a Londra
Il centro che ha ospitato le discipline del nuoto e dei tuffi, durante le Olimpiadi di Londra del 2012, è stato concepito da Zaha Hadid, con un approccio minimal che non rinunciava ai profili sinuosi.
La Guangzhou Opera House
La Guangzhou Opera House cinese, progettata sempre dall’architetto iracheno, è una struttura complessa. Ha un corpo composto da due volumi principali, di diverse dimensioni, e ospita palcoscenici per opere, eventi e concerti, inglobando sale per le prove e macchinari tecnologici.
Costruita in granito grigio, con contrasti tra due scelte tonali, mostra grandi facciate, con vetrate a mosaico, da cui si può osservare il tessuto urbano circostante.
Il centro culturale di Baku
Nel 2007, la Hadid ha ricevuto l’incarico di progettare l’Heydar Aliyev Center, un centro culturale nella capitale dell’Azerbaigian. Nelle specifiche di progetto era chiaro che ci si doveva allontanare dallo stile modernista dell’ex Unione Sovietica.
Le speciali volute disegnate dalle superfici esterne dell’edificio, suggeriscono un movimento strutturale volto verso nuovi orizzonti.
La stazione di Napoli Afragola
Il progetto di Zaha Hadid per la nuova stazione per i treni ad alta velocità, che raggiungono il capoluogo campano, è stato ufficialmente presentato nel 2003.
Anche in questo caso l’edificio è estremamente innovativo e si plasma sul territorio, con l’aspetto di un ponte adagiato delicatamente sopra i binari, nel massimo rispetto dell’ambiente.
Il MAXXI di Roma
Il Museo nazionale delle arti del XXI secolo (MAXXI) di Roma è stato il primo intervento architettonico di Hadid nel nostro paese.
Il progetto le è valso il celebre Stirling Prize del Royal Institute of British Architects. L’edificio, localizzato nel quartiere Flaminio della capitale, riprende ancora una volta la fluidità del segno di Zaha Hadid, che informa un po’ tutta la struttura, i suoi collegamenti interni e gli scambi tra gli spazi principali.
Non solo architettura
Come già anticipato, nel citare lo ZHD dell’architetto iracheno, la Hadid e i suoi collaboratori non si sono occupati solo di architettura. Nel seguito ricordiamo 2 icone del suo interior design riportate anche in foto.
La chaise longue Gyre
La chaise longue Gyre, concepita nel 2006 e prodotta da Established & Sons a Londra, fa parte di un set di soli dodici esemplari, realizzati in resina di poliestere e lacca poliuretanica. Oggetto scultoreo e suggestivo, suggerisce un arredamento dinamico, ‘in movimento’.
Il tavolo Aqua
È un tavolo caratterizzato da superfici e sostegni irregolari, dalle gambe a ‘pinna‘. Ha un profilo fluido e ondulato, che riesce a produrre ombre multiple e suggestive.
Il segno fluido di Zaha Hadid – filosofia e concetti
I lavori di Zaha Hadid suggeriscono un rapporto di scambio continuo tra strutture e contesti. Quasi tutte le sue opere diventano oggetti di ‘percezione dinamica‘, perché non si colgono con un solo sguardo e regalano prospettive plurime a fruitori e visitatori.
Importanza dell’interior design
In ogni sua opera architettonica, Zaha ha sempre dedicato una particolare attenzione all’interior design; gli spazi interni non subiscono passivamente il segno dei confini, ma interagiscono con essi.
Anche l’interior è dinamico, perché non vediamo mai volumi appoggiati a una parete e da osservare frontalmente, ma geometrie che quasi chiedono d’essere periodicamente spostate.
La fluidità del segno esterno trasmigra quindi all’interno, in un processo di ottimizzazione continua, paragonabile a quello dell’evoluzione naturale.
Il decostruttivismo
Nel mood precipuo del decostruttivismo, di cui la Hadid è un esponente importante, l’elemento diversivo e destrutturante è sempre presente.
Nel MAXXI, ad esempio, le scale che collegano i piani si sviluppano con movimenti sinuosi e risultano persino un po’ distraenti. Nella grande sala che si proietta, a sbalzo, sull’esterno, è difficile non percepire un senso di vuoto, che induce un po’ di smarrimento quando ci si affaccia alla grande vetrata, appena inclinata.
Gli spazi non solo solo accoglienti, ma rispecchiano istanze caotiche, facendo sempre pensare; in qualche modo, Zaha Hadid viaggia al confine tra funzione e sensazione. L’utilità nella fruizione degli spazi non deve prescindere da uno stimolo continuo a cercare punti di vista diversi.
Contenitori e contenuti
Nello specifico dei musei, non siamo di fronte a contenitori di opere d’arte, ma a catalizzatori di un’attenzione che viaggia, avanti e indietro, tra opera esposta e segno architettonico. D’altronde le costruzioni decostruttiviste, come quelle di Zaha Hadid, hanno anche dignità di sculture, con un’estetica propria, un po’ provocatoria.
L’applicazione del digitale alla progettazione, da lei molto utilizzato anche in chiave di ricerca, ha sicuramente rafforzato la tendenza a una modellazione che plasma i materiali fino a trovare soluzioni anche impreviste, ma consolidate da un’ingegneria strutturale rigorosa.
©Villegiardini. Riproduzione riservata
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