Henri-Robert-Marcel Duchamp è il nome completo dell’artista e artista di fama internazionale noto a tutti come Duchamp, nato a Blanville-Crevon in Normandia il 28 luglio 1887.
Famoso per i suoi ready-made, fu anche campione olimpico di scacchi e fine intellettuale. Tra le opere più famose: Gioconda, La ruota di bicicletta, La fontana (orinatoio).
Chi era Duchamp?
Ready-made e Duchamp
Famiglia di artisti
Duchamp aveva nel DNA l’arte. Era figlio di Lucie Nicolle e Eugène Duchamp, pittore e incisore; anche il nonno Emile-Frédéric Nicolle era un pittore ed un incisore. Ebbe sei fratelli, di cui uno morì ancora bambino e degli altri cinque tre divennero artisti piuttosto famosi. Due fratelli divennero pittori cubisti di una certa fama: uno, Gaston, firmò le sue opere come Jacques Villon in omaggio al poeta Francois Villon e l’altro si fece chiamare Raymond Duchamp-Villon. Infine, pittrice, fu anche la sorella Suzanne che firmò le sue opere Suzanne Duchamp-Crotti. La sorella aveva sposato in seconde nozze Jean Crotti (1878-1958), pittore svizzero noto tra l’altro perché esponente del Cubismo orfista, conosciuto nel periodo in cui questi condivideva a New York lo studio con Duchamp.
Le prime opere di Duchamp
Nelle prime opere di Duchamp molte sono quindi le influenze artistiche. Ad esempio, infatti, se in “Paesaggio a Blainville”, un olio su tela di cm 61×50 del 1902”, vediamo tracce dell’esperienza dell’impressionismo, in “Nudo con calze”, un olio su tela del 1910, leggiamo ancora impressioni fauviste e espressioniste.
Il primo ready-made di Duchamp: “Ruota di Bicicletta”
L’ironia di Duchamp
La Gioconda di Duchamp
Ducham scappa dalla guerra
L’orinatoio, ovvero “La fontana” alla Society of Indipendent Artists
La Fontana è forse tra le opere più note di Duchamp. L’artista, emigrato negli USA, fondò nel 1916 con altri artisti e mecenati, tra cui John Covert e Man Ray, la Society of Independent Artists che inaugurò la sua prima mostra al Grand Central Palace di New York nell’aprile-maggio 1917.
Duchamp lasciò l’istituzione appena creata quando non fu accettata l’esposizione della sua “Fontana”, un orinatoio rovesciato che recava la scritta “R. Mutt”. Come sempre importante studiare i titoli delle opere dell’artista: la “R” probabilmente indicava la parola “Richard”, cioè un sacco contenente denaro; mentre “mutt” nello slang americano significa “babbeo”. Quest’opera divenne iconica nei decenni successivi e, anche se non fu il primo, è considerato il migliore ready-made. Della “Fontana” poi Duchamp più tardi realizzò e autenticò diverse copie da distribuire nei principali musei.
L’opera ha profondamente segnato l’arte contemporanea del dopoguerra. Ancora oggi La fontana di Duchamp continua a ispirare ed essere imitata: impossibile perciò non constatare la vicinanza e le similitudini con America, opera realizzata in oro da Maurizio Cattelan nel 2016.
I quadri di Duchamp
In effetti i quadri di Duchamp, ovvero le sue opere artistiche nel senso di “tele dipinte”, furono molto poche. Dal 1913 in poi, quando aveva appena venticinque anni, iniziò la ricerca di un modo nuovo di pittura che andasse oltre quella che lui definiva la pittura “solamente retinica o visiva” per “trovare un altro filone da esplorare”. L’artista era infatti solito dire che “La pittura non deve essere esclusivamente visiva o retinica, deve ‘interessare’ anche la ‘materia grigia ... La storia mentale sottintesa al dipinto è in chi lo guarda, o meglio in chi lo ‘legge’ cioè sono gli spettatori che fanno il dipinto.”
E come disse il poeta messicano Octavio Paz”, poi ci furono “i ready-mades, alcuni gesti e un lungo silenzio”.
Molti dipinti, anche giovanili. sono conservati al MoMA di New York.
Le fasi della pittura di Duchamp
In sintesi nella pittura di Duchamp, probabilmente, possiamo però leggere un prima e un dopo: un prima il “Grande Vetro” e un dopo il “Grande vetro”.
Nel prima, troviamo: del 1911 “Corrente d’aria sul melo del Giappone”, “Giovane e fanciulla in primavera” e “Macinino da caffè”.
Abbiamo poi “Il passaggio dalla vergine alla sposa”, “La sposa messa a nudo dagli scapoli” in cui secondo lo stesso artistico era la cronofotografia, cioè “la possibilità di registrare in un’unica immagine ed in un’unica lastra fotografica”, di Eadweard Muybridge. Del 1912 “Nudo che scende le scale (n.2)”, un dipinto a olio su tela, che fu accolto con molti distinguo perché “troppo futurista dai pittori cubisti” e in effetti secondo molti fu un tentativo di mettere del movimento all’interno di un discorso cubista, forse “L’intera idea di movimento, di velocità, era nell’aria” come disse in seguito Duchamp.
Ancora, e ci avviamo a Il Grande Vetro, nel 1913, abbiamo “3 Stoppages Étalon”, i “tre rammendi tipo” che sono già propedeutici al Grande vetro, di cui sono un campione, cioè una tela dipinta in blu di Prussia su cui l’artista fissò tre pezzi di filo bianco di un metro che fissa sulla tela che taglierà in tre parti e fisserà su lastre di vetro.
Dopo Il Grande Vetro tutto sarà diverso, perché quest’opera si può dire finirà con il sintetizzare – e svuotare – la pittura di Duchamp.
L’alterego Rrose Selavy
Duchamp era un mix di pensiero e provocazione. Dobbiamo così leggere la storia di Rrose Selavy, un personaggio creato dall’artista quale suo alter ego. Infatti Rrose Selavy non fu semplicemente uno pseudonimo per firmare suoi lavori, ma visse di vita propria. E’ sufficiente pensare che si fece riprendere, nel 1921, dall’amico di sempre, il fotografo Man Ray, negli abiti femminili di Rrose Selavy.
Già nel nome c’era un gioco: Selavy riporta al francese “c’est la vie” mentre Rose è l’anagramma di eros per cui il risultato può essere letto come “L’eros è la vita”.
E con questo nome presentò, nel 1919, Air de Paris consistente in una ampolla contenente l’aria di Parigi che poteva essere letto anche come “Aria di Paride” e quindi ricongiungersi con il nome dell’altra opera “Belle Helaine, eau de voilette”, con riferimento a Elena di Troia, amante di Paride; una boccetta di profumo il cui unico esemplare che è considerato un “ready-made assistito” in quanto sull’oggetto e soprattutto alla nuova etichetta elaborata dalla precedente etichetta Rigaud collaborò anche Man Ray. Questa bottiglia la donò poi alla prima moglie di Jean Crotti, Yvonne Chastel-Crotti.
Il grande vetro, Duchamp, 1923
Dal 1915 fino al 1923, comunque Duchamp lavorò a “La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche”, conosciuta anche come “Il grande vetro”, dal 1954 conservata al Philadelphia Museum of Art.
L’opera si compone di due lastre di vetro disposte una sull’altra sulle quali sono raffigurati diversi elementi e figure che narrano la storia impossibile fra una sposa e il suo corteggiatore. Il tema era già stato anticipato in altri lavori come Giovanotto e ragazza in primavera, dipinto nel 1911, a la Sposa, che risale all’estate del 1912. L’ispirazione gli venne da un’opera teatrale di Raymond Roussel e già troviamo appunti nel 1913, durante un viaggio con la sorella Suzanne a Herne Bay in Gran Bretagna, appunti che raccolse in un’opera pubblicata nel 1934, “La scatola verde”.
Il complesso rapporto tra l’artista e “Il grande vetro”
Il grande vetro rappresentò per l’artista una sorta si spartiacque personale.
Nel 1923, dichiarò l’opera “definitivamente incompiuta” e sarà esposta nel 1926 per la prima volta in una mostra di arte moderna a Brooklyn alla fine della quale mentre veniva trasportata a Dreier, dove Duchamp aveva comprato una casa, venne danneggiata, e successivamente riparata.
Tu m’, l’ultimo quadro di Duchamp
Katherine Sofie Dreier commissionò a Duchamp il quadro Tu m’. Tu m’ è considerato un suo capolavoro anche se a lui non piaceva perché già era approdato al ready-made. In effetti l’opera fu il suo ultimo quadro, ovvero l’ultimo olio su tela.
E di nuovo anche qui il titolo parla, più che altro accenna. Forse Tu m’ sta per Tu m’emmerdes o Tu m’ennuies (mi stai dando fastidio) o chissà. Comunque sia a Duchamp non piaceva ” perché è troppo decorativo: non è molto attraente riassumere tutto il proprio lavoro in una pittura”.
Duchamp, l’artista intellettuale
Duchamp e gli scacchi
La prima moglie Lydie Sarazin-Levassor
Scatola in una valigia
Tra il 1935 e il 1940, Duchamp creò 20 scatole-valigie a costituire una sorta di museo personale portatile, in cui è palese l’autoironia e la consapevolezza nei confronti del proprio genio. Nel farlo fo sorse spinto spinto dall’amica e mecenate Peggy Guggenheim che nel 1941 ne acquisì una copia oggi parte della Collezione Guggenheim di Venezia. L’artista intitolò queste opere “Scatola in una valigia” (Boîte-en-Valise). Si tratta di una valigia di pelle combinata con altri diversi materiali che formano 69 riproduzioni del suo proprio lavoro. Ogni “museo” era dotato di una custodia in pelle marrone realizzata adattando una valigia Louis Vuitton in pelle di camoscio.
Ogni scatola contiene una versione in piedi e incorniciata di “Nude Descending a Staircase” e alcune altre opere, una “galleria” di piccole stampe e diverse stampe sciolte montate su carta. Sei edizioni della scatola apparvero negli anni 1950 e 1960 con tessuti colorati diversi e con alterato anche il numero stesso di elementi presenti all’interno.
La mostra a Venezia nel 2023
Dal 14 ottobre 2023 al 25 marzo 2024, l’opera sarà il fulcro alla Collezione Guggenheim di Venezia della mostra “Marcel Duchamp e la seduzione della copia”, a cura di Paul B. Franklin.
Etant donnés, l’ultima opera
Duchamp tornò all’arte in modo complesso. Nell’ultima parte della sua vita uno spazio particolare ebbe infatti “Etant donnés”, un lavoro di cui anche la datazione è incerta. L’artista infatti è noto che vi lavorò per vent’anni, all’incirca dal 1946 al 1966, fino quasi alla sua morte, in segreto. Solo la moglie ne era a conoscenza in quanto occupava un’intera stanza dello studio.
Il secondo matrimonio di Duchamp
Duchamp sposò poi, nel 1954, Alexina Sattler Matisse. Teeny, come era stata chiamata dalla madre, era la figlia più giovane di un noto chirurgo. I due si erano già conosciuti nel 1923, ma poi lei si era stata sposata con il figlio più giovane di Henri Matisse, il gallerista Pierre Matisse. Da questa relazione erano nati tre figli. Appassionata anche lei di scacchi, rimasero insieme fino alla morte di lui e contribuì alla nascita della collezione permanente Duchamp presso il Museo dell’Arte di Filadelfia.
La morte
Dopo aver girato il mondo tornò alla sua natia Normandia, dove morì (a Neuilly-sur-Seine) il 2 ottobre 1968 e venne sepolto nel cimitero di Rouen. Sulla sua tomba venne inciso un epitaffio ironico scritto dallo stesso artista: “D’ailleurs c’est toujours les autres qui meurent» (“D’altronde sono sempre gli altri che muoiono”).
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