Werner Bischof e la Devin Tri-Color Camera: il lungo viaggio di un patrimonio ritrovato; appunti da una conversazione tra Marco Bischof, Ursula Heidelberger e Rolf Veraguth. Dell’opera di Werner Bischof molto è stato pubblicato e molto è noto al vasto pubblico. Tanto più grande è stata perciò la sorpresa quando Marco Bischof, figlio del fotografo che ne gestisce l’archivio da anni, ha ritrovato, nel 2016, diverse scatole risalenti agli anni ’40 con centinaia di negativi su lastre di vetro, formato 6.5 x 9 cm.
Per ogni fotografia c’erano tre negativi, apparentemente identici. Perché? Nasce così un lungo e faticoso percorso, un’enorme sfida tecnica, che ha portato, passo passo, alle immagini esposte ora nella mostra “Unseen Colour”. Per la valorizzazione del fondo ritrovato, Marco Bischof ha deciso infatti di affidarsi al Museo Masi di Lugano, che nella sua storia espositiva ha sempre dedicato una profonda attenzione agli artisti fotografi e alla fotografia, sia storica che contemporanea. Nasce così la collaborazione tra l’Archivio Werner Bischof e il Museo Masi, che accompagna il progetto dal 2019.
Avvicinarsi, interpretare, andare per tentativi tra difficoltà e – anche – fallimenti. È quanto ha fatto il team, che, coordinato da Marco Bischof, ha lavorato sul patrimonio ritrovato: Rolf Veraguth, fotografo ed esperto di tecnica fotografica, si è occupato della ricostruzione e scansione negativi, mentre Ursula Heidelberger del Laboratorium di Zurigo ha curato, insieme al suo team, l’interpretazione delle immagini e la stampa delle fotografie per l’esposizione. In un percorso durato mesi, sono stati sciolti i nodi che il tempo ha inevitabilmente frapposto tra il sapere tecnico, le conoscenze sulla storia della fotografia e soprattutto il nostro modo di guardare.
Non tutto è come sembra a prima vista. I tre negativi delle lastre ritrovate da Marco Bischof sono, infatti, solo apparentemente identici. In realtà hanno diverse intensità, come strati di un’unica immagine, dalla cui sovrapposizione risulta la fotografia a colori. Werner Bischof ha realizzato questi scatti tra il 1939 e il 1949 utilizzando la Devin Tri-Color Camera, apparecchio costosissimo per l’epoca, che l’editore della rivista “Du” Conzett & Huber aveva acquistato appositamente per lui. La macchina necessitava di lastre di vetro, considerate più stabili rispetto alle pellicole di celluloide, che, tra l’altro, erano difficili da reperire durante il periodo bellico. Ma soprattutto, il vetro garantiva fotografie di altissima risoluzione e perfezione ottica.
La Devin Tri-Color di Werner Bischof utilizza il sistema della tricromia “one shot”: grazie a una sofisticata ottica, l’immagine viene trasmessa simultaneamente a tre lastre di vetro, ognuna delle quali registra, tramite un filtro, un singolo colore (rosso, verde, blu). Per ottenere una stampa a colori è poi necessario unire le informazioni registrate dai tre negativi.
Per ogni immagine che vediamo in mostra è stato quindi necessario ricostruire la giusta successione delle tre lastre, lavorando su materiale risalente ad 80, 90 anni fa, su cui il tempo aveva inevitabilmente lasciato i segni del suo passaggio. Una volta trovata la giusta combinazione, i negativi sono stati scansionati: ecco comparire le prime immagini a colori. Ma i colori emersi erano estremamente saturi, in alcuni casi al limite del kitsch. Era davvero questo il risultato che Werner Bischof cercava?
Non le ore e ore di lavoro per ricostruire e restaurare una singola fotografia; non le 10, a volte anche 20 stampe di prova necessarie per ogni immagine, ma la ricerca, quel lento avvicinarsi allo sguardo dell’artista, agli occhi di Werner Bischof: questa è stata la sfida più difficile dell’intero progetto. “Dovevamo ritrovare il linguaggio visivo, il linguaggio di quelle immagini” racconta il team del progetto. E ritrovare il carattere, la cifra che le avvicinasse il più possibile all’originale. Per ritrovarlo, occorreva studiare e guardare il materiale dell’epoca. Fare uno sforzo di interpretazione. In particolare sono state fatte ricerche sulle copertine a colori della rivista “Du”, con cui il fotografo svizzero collaborava. “Era importante creare una certa armonia nell’impressione delle immagini e delle serie di immagini.” Per raggiungere il miglior risultato possibile è stata utilizzata una carta bianca naturale, opaca, 100% cotone, su cui sono state stampate le immagini con la tecnica a getto d’inchiostro, utilizzando pigmenti di alta qualità. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, con fotografie dalla nitidezza impressionante e di grande purezza cromatica.
Osservando le fotografie, sui bordi esterni si notano infatti delle strisce di colore diverso. Somigliano alle classiche sbavature, ma in realtà sono frutto di una scelta consapevole. Si è infatti deciso che il processo di sovrapposizione dei tre negativi della Devin Tri-Color doveva rimanere leggibile per il pubblico. In esso è racchiusa la storia di un lungo procedimento, e anche un pezzo di storia della fotografia.
“Sono estasiato da questa scoperta. Le immagini a colori realizzate con la Devin hanno un carattere che le distingue nettamente dalle altre. Trasportano in un’altra dimensione emotiva e toccano nel profondo” ha commentato Marco Bischof. Grazie alla sua scoperta, è stato ritrovato un Bischof “a colori” poco conosciuto e un nuovo e profondo sguardo è stato gettato sull’opera e l’idea di questo grande fotografo. wernerbischof.com