Carlo Carra’ fu uno dei più influenti pittori italiani della prima metà del XX secolo. Fin da subito dimostrò una certa intuizione verso le ricerche artistiche più all’avanguardia e moderne del primo Novecento, rielaborate secondo un’espressione artistica del tutto personale e originale. Durante la sua carriera artistica sperimentò il futurismo e il cubismo fino a realizzare nature morte nello stile della pittura metafisica.
La vita di Carlo Carrà
Carlo Carra’ nacque a Quargnento, in provincia di Alessandria, l’11 febbraio 1881. Trascorse la sua infanzia in un ambiente umile e paesano. La passione per l’arte ebbe inizio quando da bambino venne colpito da una malattia che lo costrinse a stare a letto per circa un mese e decise di ingannare il tempo disegnando. Nel 1895, alla tenera età di quattordici anni, il pittore piemontese si traferì a Milano, dove lavorò come decoratore di palazzi. Ma questo periodo milanese non fu semplice. Tuttavia, la città offrì al pittore emergente la possibilità di ammirare i grandi musei, dalla Pinacoteca di Brera alla Galleria d’arte Moderna del Castello Sforzesco. Nel 1889 si recò per la prima volta a Parigi. Qui ebbe modo di vedere i quadri di Delacroix, Gericault e degli impressionisti.
Carlo Carra’ fu in gran parte autodidatta, ma nel 1909 frequentò l’Accademia di Brera. Sviluppò un’esperienza figurativa di tipo divisionista con il maestro Cesare Tallone. In questi anni di formazione strinse amicizia con alcuni artisti, come Umberto Boccioni. L’anno successivo incontrò Luigi Russolo e l’ideatore del Futurismo Filippo Tommaso Marinetti.
Le figure di Boccioni, Russolo e Marinetti furono centrali per Carlo Carrà Insieme, nel febbraio del 1910, elaborarono a Milano il manifesto dei pittori futuristi per rinnovare il linguaggio artistico italiano. In aprile pubblicarono un secondo manifesto intitolato “manifesto tecnico”, dove elencarono i criteri su cui si dovrebbe fondare una pittura futurista: soggetto e movimento. Aderirono al progetto anche Giacomo Balla e Gino Severini, dando vita a una delle avanguardie più importanti che segnarono il corso della storia dell’arte del Novecento: il Futurismo, che tra il 1911 e il 1912 assunse una fisionomia più completa.
Durante i mesi trascorsi a Parigi, Carra’ conobbe artisti e intellettuali illustri come gli artisti Pablo Picasso, Amedeo Modigliani, Medardo Rosso e il poeta Guillaume Apollinaire. Tornò nella capitale francese nel 1914 e vi trascorse un lungo periodo. In quegli anni consolidò i rapporti con i cubisti francesi e iniziò ad abbandonare il Futurismo.
Tra il 1912 e il 1914 Carlo Carra’ collaborò attraverso scritti e disegni alla nuova rivista Lacerba, diretta dagli scrittori Giovanni Papini e Ardengo Soffici. Al 1914 risalirono i suoi primi quadri “metafisici”. Ma ben presto la guerra coinvolse anche lui. A causa di cattive condizioni di salute, Carra’ venne ricoverato all’Ospedale militare di Ferrara. Proprio in questa tragica situazione, conobbe gli artisti Giorgio De Chirico, Filippo De Pisis e Alberto Savinio.
Carrà al fronte
Il contesto bellico ebbe delle conseguenze anche sull’estetica e le posizioni artistiche subirono una variazione. Emergeva in quegli anni il problema di quanto fosse autonoma l’arte dalle cose che accadono intorno. Nelle tavole di Carra’, più che racconto diretto della guerra, vigeva la fantasia. Nel 1916, il pittore piemontese e Gino Servini passarono dall’entusiasmo futurista nei confronti dell’evento bellico alla critica di questa visione idealistica.
Carra’ si trovò a riflettere sul rapporto con l’arte del passato. Rientrato nel suo studio in Via Pace a Milano, disegnò e proseguì gli studi sui maestri del Quattrocento toscano. Conobbe e sposò Ines Minoja. Al matrimonio seguì un periodo di crisi interiore, ma di grande meditazione. A questo periodo, che i critici chiamarono “fase purista”, risalgono pochi dipinti, ma tantissimi schizzi e disegni. Dal 1921 il suo linguaggio artistico si fece più scarno ed essenziale. La nuova poetica del pittore si riscontrò anche negli scritti pubblicati nella rivista Valori Plastici diretta da Mario Broglio. Egli recuperò una tradizione pittorica tipica del linguaggio tre-quattrocentesco giottesco, della prospettiva e della città ideale.
Negli anni Venti Carlo Carra’ si aprì al paesaggio marino che lo stimolò alla realizzazione di nuovi dipinti con un rinnovato linguaggio artistico. Nelle estati a Forte dei Marmi, nella zona di Versilia, il pittore trovò paesaggi adatti a sperimentare il suo rinnovato linguaggio artistico, più ordinato e oggettivo. Dal 1922 al 1938 fu critico d’arte nella rivista L’Ambrosiano. Dal 1939 al 1951 insegnò all’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano.
L’estate del 1965 fu l’ultima a Forte dei Marmi. Qui eseguì un gran numero di disegni. A causa di una malattia, ad 85 anni, Carlo Carra’ morì a Milano il 13 aprile 1966.
Il futurismo di Carlo Carra’
La forza e l’importanza del Futurismo è qualcosa che travalica la fase storica in cui nasce e si sviluppa. Velocità, macchina, accelerazione del vivere, industrializzazione, cambiamento dei criteri di produzione. Sono questi i fattori che generavano un cambiamento percepito dal Futurismo. Il movimento ambiva ad accelerare rispetto alle condizioni in cui si trovava la cultura e la società italiana dei primi anni del ‘900. Nelle riviste del 1910 compaiono in Italia delle raffigurazioni delle cosiddette “grattanuvole” americane, ovvero i primi grattacieli.
Proprio perché esponevano nella capitale europea più attiva di quegli anni, Boccioni, Carra’ e Russolo si trovarono a dover aggiornare il linguaggio espressivo su quanto avveniva in Francia. Gino Severini, amico stretto di Umberto Boccioni, si trasferì a Parigi nel 1906 e li aveva avvertiti sul non poter fare una mostra senza sapere ciò che stava accadendo lì, dove il movimento cubista stava prendendo forma con Braque. Quindi, nel 1911 Carra’ e Boccioni effettuarono un viaggio a Parigi, a seguito del quale ritoccarono alcuni dei loro quadri e li impostarono in una visione più vicina al cubismo, mantenendo le caratteristiche di colori molto intensi e aggressivi, e di soggetti che generano l’animazione dell’ambiente. Nel febbraio 1912 i futuristi pittori erano pronti ad esporre per la prima volta a Parigi presso la Galleria Bernheim Jeune.
I funerali dell’anarchico Galli (1911, MOMA, Museum of Modern Art di New York)
Risale al 1911 il quadro di Carlo Carra’ I funerali dell’anarchico Galli. Recentemente il docente di storia dell’arte contemporanea presso l’Università di Udine, Alessandro Del Puppo, lo ha analizzato. Qui Carra’ non rappresentò un fatto di quegli anni, ma del 1906: a seguito di uno sciopero due anarchici, che erano andati a fare un picchetto davanti a una fabbrica, si scontrano con un guardiano che sparò e uccise uno di loro, l’anarchico Galli, il quale aveva tentato di aggredire il guardiano. Nei giorni successivi ci fu una sommossa nel momento dei funerali, che vennero celebrati con una specie di elogio funebre davanti all’ingresso del cimitero. Arrivò la polizia per disperdere i manifestanti e scaturì una scazzottata.
Carra’ fece diventare questa situazione una emblematica contrapposizione di lotta di piazza. Al centro c’è in rosso in diagonale la bara sollevata dalle persone, sulla sinistra un poliziotto sta menando con il manganello dei fendenti, in fondo c’è la macchia rossa che è il sole, immagine del sole dell’avvenire. Vi è, dunque, la visione un po’ anarco-sindacalista/socialista diluita nella contrapposizione che rivela l’idea del complementarismo di forme (definizione data dai futuristi per passare dal divisionismo di colore ad un intreccio di forme che in qualche modo interpreta quella aggressività in senso formale e visivo). La segmentizzazione geometrica della forma di tipo cubista è un modo per applicare queste idee.
Ritorno a un passato primitiveggiante
Intorno al 1916, Carlo Carra’ riprese delle radici un po’ primitive dal linguaggio di Giotto e di Paolo Uccello.
Bambina (1915-16, collezione privata)
Nel quadro Bambina (o Antigrazioso titolo successivo, preso da un riferimento boccioniano in quanto “antigrazioso” è una scultura cubofuturista di Boccioni ispirata al volto della madre) emerge un Carra’ agli antipodi della concezione futurista. Qui non vi è assolutamente movimento, né esaltazione della modernità. Vi è una sorta di ritorno a un passato primitiveggiante, che ricorda un po’ il disegno infantile, ossia la prima connotazione visiva di un’immagine realizzata da bambini. Carra’ si riconobbe in qualche modo nello sguardo da bambino.
In uno scritto di quell’anno “Le parentesi dell’io”, Carra’ affermò: “Da bambini gli oggetti e le cose ci sorprendono per la loro novità formale. L’organo visivo è nel bambino il primo fattore che eccita la nativa curiosità. Il bambino per natura è un plastico, cosciente e volontario, vi è più distanza di quella che intercorre dal grido caotico al canto. In noi che pure ci sentiamo ancora bambini di fronte al mistero plastico dell’universo, il fatto artistico della forma gelatinosa ed embrionale, si precisa nell’opera”.
Nel testo il termine “plastico” ricorre tre volte: è usato in un’accezione post-futurista dove rispetto alla segmentazione e frammentazione a causa del dinamismo e della velocità dell’immagine, si ha un ricomporsi della forma in una dimensione plastica, tridimensionale.
In Bambina emerge una corrispondenza tra il fattore visivo e la dimensione plastica. La casetta è posta in alto, i piedi della bambina e il suo volto sono resi alla maniera della pittura egizia. La tromba è l’unico elemento posto leggermente in prospettiva. Questo ricorso al linguaggio infantile va di pari passo con l’abbandono dei principi del futurismo da parte del pittore Carlo Carra’.
La metafisica e il Realismo Magico firmato Carlo Carra’
Nella villa di Ferrara nacque un confronto tra Carra’ e il modo di operare di Giorgio De Chirico.
La Musa Metafisica (1917, Collezione Mattioli, Milano)
La Musa Metafisica è un dipinto che recupera pienamente il modulo della metafisica come l’aveva creata De Chirico. L’elemento umanoide è sostituito dal suo automa, ossia un alter ego. Dalle caratteristiche del corpo sembra essere una figura femminile che tiene tra le mani una racchetta da tennis e una pallina. Viene trasformata in una statua, quasi una scultura arcaica, o una figura moderna trasformata in una scultura antica. In fondo una croce appare quasi come modulo formale geometrico. Indipendentemente dal crocifisso, la croce ha un proprio valore simbolico. Nella stanza vi sono anche un prisma colorato, un dipinto e una carta geografica. Quest’ultima rappresenta l’Istria, la penisola al centro delle contese della guerra. Come nel linguaggio di De Chirico, queste cose non devono necessariamente avere una relazione le une con le altre perché nella pittura metafisica gli oggetti hanno valore quanto le figure umane e sono sempre segni di qualcosa che non è necessariamente trasposizione diretta di un simbolo. Dunque, sono segni che rimangono allo stadio enigmatico. ENIGMA è la parola scelta da De Chirico per spiegare l’inspiegabilità della pittura metafisica, che è espressione di uno stato di sospensione tra memoria del passato e presenza fisica. Nella Musa Metafisica di Carra’ le ombre indicano in un certo senso il momento del giorno e tutte le cose sembrano essere parte di una meridiana. La cartina geografica in primo piano può essere intesa come allusione implicita alla guerra, come fosse un orologio ‘de chirichiano’ che dà una connotazione temporale precisa.
Inoltre, nella poetica di De Chirico anche i segni possono diventare figure di una trasformazione in atto. Qui la trasformazione in atto è dell’essere umano in statua, o viceversa, della statua che potrebbe prendere vita insieme ad altro.
Mentre la metafisica di De Chirico diventa uno stile pittorico, con Carra’ bisogna intendere “metafisico” nel senso linguistico e filosofico del termine perché i suoi quadri non suggestionano un’emozione psicologica, ma interrogano il significato dell’immagine e diventano metafisici perché vanno oltre l’attualità.
Le figlie di Loth (1919, MART Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto)
Le figlie di Loth è un quadro del ‘900 che guarda al ‘400 per numerosi elementi. Il soggetto è tratto dall’antico testamento: le figlie di Loth si trovano a fuggire alla tragedia di Sodoma e Gomorra e danno vita a una nuova generazione. La donna sulla sinistra, infatti, è incinta e i soggetti raffigurati rimandano all’annunciazione. Quindi, c’è un riferimento iconografico abbastanza chiaro ad uno dei soggetti della storia della pittura cristiana del medioevo. Sul fondo, al centro, dietro una collina accennata con uno strano albero in cima, figura un tempio che rimanda all’edificio di forma circolare della Città ideale di Urbino. Il quadro è ispirato a una pittura tre-quattrocentesca nei gesti e nei caratteri. Vediamo in primo piano il bastone a terra, che è un riferimento alle lance di Paolo Uccello. La simbologia nelle figure (come il cane, la donna in gravidanza che si trova sulla soglia di una porta dalla quale sta uscendo, un cippo su cui è posata un uovo-pigna, il paesaggio quattrocentesco) fa trasparire la volontà del pittore Carra’ di attribuire un significato metafisico, dove metafisico è l’andare oltre la visibilità, la fisicità e il racconto stesso. Per esempio il cane rimanda a una dimensione della fedeltà.
Qui non sentiamo più il rumore dei cannoni, ma ci troviamo in un contesto che reagisce alla guerra girando pagina. Le figlie di Loth è uno dei quadri più significativi a livello europeo che segna il cambiamento di clima nell’immediato dopoguerra, con il ritorno ai valori plastici.
Nelle opere di Carlo Carra’ di questi anni Massimo Bontempelli, giornalista critico d’arte e letterario, riconobbe una tendenza che identificò con il termine “Realismo Magico” proprio perché le sue opere si allontanano dalla rappresentazione fedele della realtà attraverso una oggettività.
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