Architetto, storico e critico dell’architettura, Bruno Zevi è stato un personaggio poliedrico e un abile comunicatore. Politico impegnato e figura al centro del dibattito culturale, Zevi ha portato nell’Italia del secondo dopoguerra una visione nuova dell’architettura. Un’attività fervente la sua, scandita dalla ricerca di un linguaggio architettonico attuale e dall’invito ad “abbandonare il tavolo da disegno e la penna, per fare la rivoluzione’’.
La fuga negli Stati Uniti e l’impegno antifascista
Gli anni giovanili di Bruno Zevi furono determinanti nella costruzione di quegli ideali che avrebbe portato avanti per tutta la vita, in vari campi. Nato a Roma nel 1918, in seguito alle leggi razziali lasciò l’Italia, vivendo per diversi anni tra Londra e gli Stati Uniti. Si laureò all’Università di Harvard, dove entrò in contatto con Walter Gropius e l’architettura di Frank Lloyd Wright. Agli studi affiancò l’impegno politico e la lotta al fascismo, in tal senso, fu direttore di alcuni numeri dei Quaderni Italiani del movimento Giustizia e Libertà.
Tornato in Europa nel 1943, trascorse un periodo come rifugiato a Londra, scandito dalle ricerche per il suo primo libro.
Bruno Zevi e l’architettura organica
Rientrato a Roma nel 1944, Zevi portò con sé una visione internazionale dell’architettura e un forte desiderio di democrazia in Italia, a cui contribuì attivamente. L’anno successivo fondò l’Associazione per l’Architettura Organica A.P.A.O, insieme a Luigi Piccinato, Mario Ridolfi, Pier Luigi Nervi, tra gli altri. Nello stesso anno nacque Metron, rivista di architettura urbanistica, e pubblicò il suo primo libro Verso un’architettura organica. In un momento storico cruciale, l’associazione perseguì l’obiettivo di destare la scena italiana, presentando l’architettura organica come la più adatta a “creare l’ambiente per una nuova civiltà democratica’’. Sulla scia della mescolanza tra attività sociale e artistica, l’associazione diede origine ad una Scuola di Architettura Organica strutturata in corsi di Urbanistica, Architettura, Costruzione e Materie Professionali.
L’attività al centro del dibattito culturale
Gli anni successivi furono caratterizzati da numerose pubblicazioni e dall’inizio dell’attività didattica, prima allo IUAV di Venezia e poi a Roma. Nel 1955 fondò la rivista L’architettura – cronache e storia, con l’intenzione di riflettere la molteplicità di interessi connessi alla professione, dalla politica alla storia. Un periodo di intensa attività che lo vide impegnato su diversi fronti, compreso quello progettuale, in collaborazione con lo Studio A/Z che curò il progetto della biblioteca Luigi Einaudi a Dogliani. Nel 1964, in occasione del IV centenario dalla morte di Michelangelo, contribuì all’organizzazione di una mostra dedicata al Palazzo delle Esposizioni a Roma. Una mostra sorprendente che fornì una nuova lettura delle opere michelangiolesche.
Le sette invarianti e l’idea di città
Negli anni Settanta scrisse Il linguaggio moderno dell’architettura, tra i libri più significativi, in cui espose le sette invarianti che compongono il linguaggio di un’architettura democratica. Attraverso un’attenta analisi, Zevi identificò una serie di regole alternative a quelle del classicismo che presentò come codici dell’architettura moderna. L’asimmetria e la tridimensionalità anti-prospettica erano alcune invarianti teorizzate e approfondite nello scritto. Nell’ambito dell’impegno teorico, nel 1977, redasse La Carta del Machu Picchu che definì come una revisione antilluministica della Carta di Atene. In risposta allo scritto elaborato da Le Corbusier nel 1933, Zevi presentò in undici enunciati la sua idea di città post-funzionalista. Contrariamente alla precedente idea di zonizzazione, introdusse il concetto di living city, una città vivente, flessibile e dinamica.
La conclusione del programma di lavoro
Il decennio successivo vide Zevi al centro della scena politica del paese, fu Deputato tra il 1988 e il 1992. Continuò a portare avanti con decisione i suoi ideali, sia sul campo politico che su quello dell’architettura, affermando l’importanza di una rilettura della storia con sguardo contemporaneo. Negli anni Novanta si dedicò alla stesura di Storia e controstoria dell’architettura in Italia, pubblicato prima nel 1997, poi in una versione ampliata l’anno successivo. Uno scritto a cui dedicò diversi anni e che si può considerare come il capitolo finale del discorso di Zevi. L’ultimo atto di una carriera di grandi traguardi in tutti gli ambiti di interesse, in cui Bruno Zevi non fece mai distinzione tra impegno sociale, politico e architettura.
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