L’architetto Vittorio Gregotti è stato uno dei protagonisti dell’architettura italiana e internazionale. Nella sua lunga e prolifica carriera, Gregotti ha dimostrato versatilità e sensibilità verso l’opera architettonica e l’ambiente in cui è inserita. Un architetto intellettuale, vicino all’arte e alla filosofia che considerava l’architettura come un valore collettivo.
Gli studi universitari
Vittorio Gregotti nacque a Novara nel 1927 e studiò architettura al Politecnico di Milano. Già prima della laurea collezionò una serie di esperienze internazionali significative. Svolse un’esperienza lavorativa a Parigi, presso lo studio dei fratelli Perret e nel 1951 prese parte al C.I.A.M – Congresso Internazionale di Architettura Moderna a Hoddesdon in Inghilterra. In quella occasione ebbe modo di avvicinarsi ad architetti di fama internazionale come Le Corbusier e Gropius, prendendo parte al dibattito sul futuro dell’architettura e dell’urbanistica. Si laureò nel 1952 e mosse i primi passi presso lo studio BBPR, continuando a collaborare con Ernesto Nathan Rogers, suo maestro e mentore, con cui realizzò nel 1951 una sala alla Triennale di Milano.
Gli esordi di Gregotti
Dal 1953 al 1968 collaborò con gli architetti Lodovico Meneghetti e Giotto Stoppino, riuniti in uno studio associato. Il gruppo di architetti, autore di numerose opere, fu espressione dei cambiamenti sociali che attraversarono l’Italia tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Appartengono a questo periodo i progetti di Casa Sforza a Stradella, le residenze per operai a Novara e le abitazioni per la cooperativa “Un tetto’’ a Milano. In quella fase l’attività di Gregotti abbracciò ambiti diversi, dall’urbanistica all’arredamento, una prova di versatilità di cui fu esempio il design della “poltrona Cavour’’. Forte, in quel primo periodo, l’influenza della corrente Neoliberty, preferita rispetto agli altri movimenti architettonici dominanti.
La vicinanza al movimento Neoliberty
Il Neoliberty identifica il movimento architettonico diffusosi in Italia negli anni Cinquanta, come reazione all’architettura razionalista e a quella organica. Un filone di pensiero molto vicino alle idee di Gregotti, impegnato in una ricerca storico culturale che non poteva prescindere dagli insegnamenti e dai valori del passato. Il movimento trovò l’appoggio del periodico di architettura e design Casabella Continuità, ai tempi diretto da Ernesto Nathan Rogers, di cui Gregotti fu caporedattore dal 1982 al 1996. Tra i sostenitori di questa architettura di revival anche Gae Aulenti, come risultò evidente nell’allestimento realizzato per il Museo d’Orsay a Parigi, la sua opera più celebre.
Lo studio Gregotti Associati
Conclusa l’esperienza precedente, nel 1974 fondò lo studio Gregotti Associati insieme a Pierluigi Cerri, Pierluigi Nicolin, Hiromichi Matsui e Bruno Viganò. Uno studio di respiro internazionale che firmò numerosi progetti di rilievo, sia in Italia che all’estero. In quel periodo Gregotti si occupò dell’ampliamento dello Stadio Olimpico di Barcellona, effettuato nel pieno rispetto della struttura originaria, mentre nel 1988, insieme all’architetto portoghese Manuel Salgado, progettò il Centro Culturale di Belém a Lisbona. Tra i lavori più recenti il Teatro degli Arcimboldi a Milano, inserito nell’ambito degli interventi che hanno riguardato la riconversione del quartiere Bicocca. Posizionato in modo strategico, il teatro contribuì a spostare il quartiere al centro della scena artistica.
Attività accademica e pubblicazioni
Determinante nella carriera dell’architetto anche l’impegno didattico. Gregotti è stato, infatti, professore di Composizione Architettonica presso l’università di Venezia, professore presso le facoltà di Architettura di Milano e Palermo, oltre che visiting professor in diverse università estere, tra cui l’università di Tokyo, San Paolo, Berkeley e Harvard. Alla didattica si accompagnava il ruolo di curatore della Biennale di Venezia dal 1974 al 1976 e l’attività teorica, da cui nacquero numerose pubblicazioni. La riprova di come Gregotti si interfacciasse all’architettura con uno sguardo d’insieme, unendo l’aspetto artistico con quello tecnico. Un impegno coronato da riconoscimenti importanti, primo tra tutti la medaglia d’oro conferita dalla Triennale e nel 2018 una mostra antologica al PAC di Milano.
Maria Teresa Morano
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