C’è un posto sui colli fiorentini in cui, nella seconda metà del Trecento, si andava a pesca di gamberi. Oggi sembra piuttosto bizzarra come affermazione, ma effettivamente la storia ci ha consegnato una serie di testimonianze, per cui pare che, nei pressi dell’attuale Settignano, scorresse un corso d’acqua dolce ricco di gamberi. Da qui il nome Gamberaia, proprio lì dove oggi sorge l’omonima villa.
Villa Gamberaia è, rispetto ai suoi parenti stretti, una villa relativamente piccola, parliamo all’incirca di un ettaro e custodisce al suo interno tre secoli di storia architettonica italiana, dal Seicento al Novecento. Si affaccia, con la sua vista, che prende slancio dagli antichi terrazzamenti di Settignano, sulla gloriosa città di Firenze e sulla valle del fiume Arno.
Gli inizi dei lavori, intorno al 1610, si devono ad un ricco e colto mercante di Firenze, così come ve ne erano molti all’alba dell’epoca moderna, un tale Zanobi Lapi. A lui ed ai suoi nipoti si deve la costruzione delle principali zone del giardino e delle condotte d’acqua per le fontane. Un secolo più tardi la proprietà diventa nobiliare, passando nelle mani dei marchesi Capponi, che oltre ai consueti restauri, decisero di arricchire la già lussuosa villa con statue e diversi ornamenti.
Tuttavia, il processo che porta il giardino di Villa Gamberaia a Settignano a divenire quello che è oggi inizia precisamente nel 1896, quando la villa viene acquistata da una principessa dalle origini incerte, forse romena, forse albanese: Catherine Jeanne Ghyka. Il suo intervento è rivolto interamente al parterre, che ormai deteriorato e dal gusto troppo settecentesco, viene trasformato in un incantevole parterre d’acqua, con piantagioni colorate di rose, iris e oleandri lungo le vasche. Sempre ad una donna si deve il prosieguo di questo processo di trasformazione. Dal 1925 al 1952, infatti, la villa è appartenuta a Maud Cass Ledyard, baronessa von Ketteler, che fa del parterre un elegantissimo giardino architettonico sempreverde, così come lo vediamo oggi, decorato da sopraffini creazioni topiarie in bosso, cipresso, tasso e filirea.
I due assi, longitudinale e trasversale, misurano, rispettivamente, 225 metri e 105 metri. Lungo il primo asse corre un ampio viale a prato, terminante a nord in un ninfeo decorato a bassorilievo, mentre a sud si apre sulla valle. Il punto più interessante lungo il secondo asse, invece, è proprio quello che segna l’incrocio con l’asse principale, dove si trova il cosiddetto Cabinet de rocaille, inserito tra due suggestivi e fiabeschi boschi segreti. La decorazione è affidata a statue, giochi d’acqua e a quattro notevoli scalinate simmetriche, che costituiscono l’ingresso al bosco di lecci secolari (a sud) ed al terrazzo dei limoni (a nord ovest), con confini segnati alternativamente da peonie arboree e spalliere di rose Albértine.
La preziosità di questo giardino ha ispirato, nel Novecento, le opere di due grandi paesaggisti: Geoffrey Jellicoe, che su questo modello ha restaurato il giardino di Sutton Place, in Inghilterra e Pietro Porcinai, figlio del capo giardiniere di Villa Gamberaia, all’epoca della principessa Ghyka.
Piero Di Cuollo
Via GrandiGiardini