La lettera 22, macchina da scrivere meccanica e portatile dell’Olivetti è sicuramente una delle icone del design italiano degli anni ’50.
Venne disegnata dall’architetto Marcello Nizzoli, coordinatore dei progettisti Olivetti. L’azienda di Ivrea è stata, da allora, un gruppo di assoluta avanguardia, capace di ispirare la comunità tecnica internazionale fino ai primi anni ’80, quando riusciva a vendere personal computer negli Stati Uniti.
La lettera 22 ricevette premi importanti un po’ ovunque. In Italia, grazie alle sue doti funzionali di portabilità e all’estetica compatta, calamitò l’assegnazione del “Compasso d’Oro ” edizione 1954; parliamo del primo premio mondiale di design, nato dall’intuizione culturale di Gio Ponti.
La macchina invase il mercato molti anni prima che keyboard, touch e swip digitali diventassero protesi onnipresenti della nostra quotidianità (… solo i termini mostrano il salto generazionale). Quella era un’epoca di contatto e suoni, fruscio di carta e macinare di rulli e la lettera 22 interpretava quella fascinazione tattile e uditiva con uno stile inconfondibile.
Robusta, leggera e morbida alla pressione delle dita, è entrata nell’immaginario visivo del tempo e nella rappresentazione della memoria, per l’immagine che la ritrae in grembo a Indro Montanelli e perché usata da Alberto Moravia ed Enzo Biagi.
Lo scrittore tedesco Günter Grass parla della sua lettera 22 – declinata in un modello azzurro – nel libro “Sulla finitezza“, creando un poetico paradosso tra oggetto con cui e di cui scrive.
Il suono dei martelletti di stampa è oramai solo memoria, ma la macchina, viva in tante location museali sul design, è ancora oggetto d’arredo per collezionisti e appassionati.
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