La civiltà Maya è stata una delle più prolifiche e misteriose civiltà precolombiane, nonché una delle pochissime ad aver lasciato dei resoconti scritti riguardanti la propria storia. Imperdibile, dunque, la tappa a Verona, che, con la mostra “Maya. Il linguaggio della bellezza”, offre la possibilità di immergersi nella magia di una civiltà antichissima, che riecheggia tra le sale del Palazzo della Gran Guardia. I ringraziamenti vanno, dunque, agli organizzatori ed ai promotori, ovvero, il Governo della Repubblica, il Ministero della Cultura e Instituto Nacional de Antropología y Historia messicani con Arthemisia Group e Kornice ed, infine, il comune di Verona e AMO.
Il termine ultimo è il 5 marzo 2017.
La mostra, curata da Karina Romero Blanco, copre un arco temporale ampissimo, di circa tre millenni e mezzo, dal 2000 a.C. al 1542 d.C., vale a dire, dal periodo Preclassico al Postclassico, passando per il Classico, appunto. I reperti in mostra spaziano all’interno di tutto ciò che è necessario per dare testimonianza di un’intera civiltà: steli monumentali con scrittura glifica, sculture, porzioni di architravi, elementi decorativi in stucco, figure in terracotta e in pietra, strumenti musicali, maschere funerarie in giada, gioielli, recipienti, portastendardi, incensieri dalle fattezze animali o fantasiose, ecc.
Il tutto è organizzato all’interno di quattro sezioni, che hanno come filo conduttore la tematica della bellezza: Il corpo come tela, Il corpo rivestito, La controparte animale, I corpi della divinità.
Nella prima sezione sono presenti tutti i reperti che rappresentano in maniera metaforica il corpo umano, per intero, oppure solo per quel che riguarda il viso. Il corpo come tela, appunto, prende di volta in volta diverse sembianze che, metaforicamente, rimandano a degli stati o a dei passaggi importanti: riti iniziatici, sacrifici, danze, la prigionia, la fertilità, il momento del trapasso, e così via.
Nella seconda sezione, invece, è riportato tutto ciò che serviva per rivestire ed addobbare i corpi dei Maya, soprattutto gioielli ed oggetti di uso personale.
La controparte animale, invece, mette in luce gli aspetti simbolici, presenti all’interno di questa antica civiltà, legati al mondo animale, appunto. I più presenti sono: la tartaruga, il coccodrillo, il pipistrello, la scimmia, l’uccello, l’armadillo, la farfalla e, soprattutto, il giaguaro: animale sacro per eccellenza, che simboleggia l’alter ego del sovrano. Esemplare il caso del “Grande Artiglio Ardente” di Tikal.
Infine, l’ultima sezione è quella dedicata a I corpi della divinità, in cui ad essere messe in scena sono le rappresentazioni del sacro secondo il popolo Maya. Appare evidente come i Maya vivessero il sacro in maniera diretta e viva dalle varie raffigurazioni zoomorfe degli dèi. Uccelli e pipistrelli sono i più citati: i primi a rappresentare la natura celeste, i secondi il contatto con l’inframondo.
Si tratta, dunque, di un’esposizione completa, magnifica per la ricchezza di elementi e simboli, assolutamente da non perdere per gli appassionati d’arte e di storia.
Piero Di Cuollo
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Artribune