Come tappe d’avvicinamento all’inaugurazione della mostra, per presentare la figura del Pesarese al grande pubblico sono stati individuati cinque temi, oggetto di altrettanti comunicati. Questo secondo è dedicato alla devoluzione del Ducato, ai Barberini e alla storia di una patria perduta. Dopo il grande successo ottenuto nel 2024 con la mostra dedicata a Federico Barocci, la Galleria Nazionale delle Marche prosegue nella celebrazione degli artisti marchigiani.

Dal 22 maggio al 12 ottobre 2025 gli spazi di Palazzo Ducale di Urbino ospiteranno la mostra monografica Simone Cantarini (1612-1648). Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma. Curata da Luigi Gallo (Direttore della Galleria Nazionale delle Marche), Anna Maria Ambrosini Massari (Docente di Storia dell’arte moderna all’Università di Urbino) e Yuri Primarosa (Storico dell’arte), e organizzata in collaborazione con le Gallerie Nazionali Barberini Corsini di Roma, l’esposizione testimonierà l’estro pienamente moderno del giovane pittore attraverso una selezione di 54 dipinti.

Prima del suo genere a Urbino, città che il giovane Cantarini frequentò, la mostra è anche l’occasione per celebrare l’ingresso, nelle collezioni di Palazzo Ducale, delle opere del Pesarese che, dopo il deposito della collezione della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro e  delle due grandi pale arrivate dalla Pinacoteca di Brera con il progetto 100 opere tornano a casa, presto si arricchirà di un ulteriore nucleo di opere in deposito comprendente anche cinque dipinti di Cantarini.

Simone Cantarini, Ritratto di Antonio Barberini Junior, olio su carta incollato su tela, Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini.

Cantarini e la fine del Ducato di Urbino

L’artista più talentuoso e, allo stesso tempo, meno ortodosso transitato nell’affollata bottega di Guido Reni (1575-1642) fu senza dubbio Simone Cantarini (1612-1648): un giovane pesarese di belle speranze e qualche fortuna, giunto a Bologna poco più che ventenne, verso il 1631-1632. Il carattere fiero del pittore e le alte ambizioni da lui nutrite all’indomani della devoluzione del Ducato di Urbino resero tuttavia intermittente la sua presenza in quell’operosa “industria”.

Infatti, nell’aprile del 1631 la morte senza eredi del duca Francesco Maria II della Rovere aveva determinato la fine di quel glorioso Stato a cavallo dell’Appennino umbro-marchigiano tra Gubbio, il Montefeltro e Pesaro. Al suo posto, durante il pontificato di Urbano VIII Barberini (1623-1644), veniva istituita una legazione dipendente in tutto dalla Santa Sede: il prospero Ducato fondato all’inizio del Rinascimento scompariva così dall’orizzonte della storia per diventare una provincia dello Stato della Chiesa. In quel frangente, Cantarini faceva la spola tra Pesaro, Venezia e Roma, cercando nuovi stimoli nella più vivace Bologna, dove si sarebbe presto distinto come il più promettente (e indisciplinato) allievo di Guido.

Gli anni della formazione

Come tale exploit potesse essersi verificato, sulla base di un contesto di partenza così defilato, resta in parte ancora un mistero. Non molto, a ben vedere, dovevano aver inciso il contatto con il mediocre figurista e paesista pesarese Francesco Mingucci o il magistero presso il conterraneo Gian Giacomo Pandolfi, del quale, secondo Malvasia, Cantarini sarebbe stato inizialmente allievo. Come pure non dovette essere determinante l’apprendistato dell’artista a Pesaro presso il veronese Claudio Ridolfi, culminato verso il 1628 con un fondamentale viaggio a Venezia.

Pesaro e il Montefeltro, nel terzo decennio del secolo, non offrivano molto di più. Al tramonto del Ducato, il giovane Simone meditava sul magistero di Federico Barocci, sulle prime opere romagnole di Guido Cagnacci e sulle incursioni marchigiane di Orazio Gentileschi e Giuseppe Puglia. E, soprattutto, sui quadri di Giovan Francesco Guerrieri e sulle pale inviate da Reni alla chiesa fanese di San Pietro in Valle: l’Annunciazione oggi nella Pinacoteca Civica (1622) e la Consegna delle chiavi del Louvre (1626). Altrettanto fondamentale fu la pala Olivieri di Pesaro oggi in Vaticano (1630), che non mancò di influenzare diverse sue opere pubbliche e molti suoi quadri da stanza.

Simone Cantarini, Apparizione di Gesù Bambino a Sant’Antonio da Padova (part.), olio su tela, Galleria Nazionale delle Marche (in deposito dalla Pinacoteca di Brera).

Cantarini e Roma

Pur nella totale assenza di appigli documentari, si può ipotizzare anche una precoce sosta romana di Simone: un’eventualità suggerita dalla repentina fioritura del suo stile in senso naturalistico, che pare vicina alle coeve sperimentazioni grafiche e pittoriche di Gian Lorenzo Bernini, Andrea Sacchi e Giovanni Lanfranco nella resa libera e vibrata delle forme, secondo un approccio ‘barocco’ all’immagine emiliano tanto quanto romano. Lo dimostreranno le numerose opere riunite in mostra, provenienti da collezioni pubbliche e private di tutta Europa, con un nucleo importante generosamente concesso dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma, che conservano una speciale selezione di opere del Pesarese: prima fra tutte il Ritratto di Antonio Barberini junior di recente acquisizione (2021), un tempo attribuito al pennello di Bernini.

Il Cardinale e il giovane pittore

Il giovane pittore e il giovane cardinale dovettero incontrarsi per la prima volta attorno al 1631, tra Pesaro e Urbino, quando Simone ne fermò le sembianze su carta e su tela: un omaggio destinato a un mecenate importante o forse una commissione diretta del legato apostolico, come lascerebbe supporre l’esistenza di più versioni della stessa effigie, che saranno riunite in mostra a Palazzo Ducale per la prima volta. Il volto magnetico del prelato si staglia sulla preparazione scura del fondo con i baffetti alla moschettiera, i capelli scarmigliati e lo sguardo penetrante rivolto verso chi guarda.

Il colletto e la veste sono appena accennati, con pennellate veloci e vibranti che definiscono sommariamente i volumi dell’abito e i rialzi di luce, come se il pittore avesse concentrato la sua attenzione nel fissare la fisionomia e l’espressione del suo illustre modello in una prova di bravura, con la parte non finita abbozzata in pochi tocchi sintetici degni di un Cézanne. gndm.it