Nella cultura gastronomica di tutte le regioni italiane, i fagioli hanno sempre avuto un posto centrale. Mia nonna li cucinava, secondo tradizione, con l’orzo, e la minestra pippiava a lungo, diventando molto densa e gustosa ed è proprio la ricetta di mia nonna quella che propongo oggi: la zuppa di orzo e fagioli, una vera leccornia.
Zuppa d’orzo e fagioli
per 4/6 persone
Ingredienti
300 g di fagioli di San Quirino secchi (si possono comunque usare i Borlotti)
200 g di orzo perlato
una costa di sedano
1 piccola cipolla
1 carota
3 patate medie
1 spicchio d’aglio
1 ciuffo di basilico
q.b. di brodo vegetale (circa 1,5/2 l.)
una noce di burro
un filo d’olio EVO
sale, pepe nero
poco parmigiano
Procedimento
La sera prima mettete a bagno i fagioli in acqua fredda. Copriteli e lasciateli a bagno tutta la notte, dopodiché scolateli, sciacquateli e tenete da parte.
Nel mixer tritate grossolanamente sedano, carota e cipolla, precedentemente mondati e lavati. Sbucciate e lavate le patate, tagliatele a tocchi medi.
In una capace casseruola fondete una noce di burro insieme a un poco di olio, unite il soffritto e lasciate insaporire, poi unite i fagioli ben scolati. Mescolate, fateli insaporire un paio di minuti poi versate il brodo vegetale caldo, aggiungete l’aglio e le patate a tocchi e regolate di sale.
Coprite la pentola, abbassate il fuoco e cuocete per circa un’ora. Sciacquate l’orzo in una colino, aggiungetelo nella pentola mescolate e continuate la cottura a pentola coperta. Ci vorrà poco meno di un’ora. Ogni tanto controllate e date una mescolata, eventualmente rabboccate con un po’ di brodo se dovesse restringersi troppo. É pronta quando sia i fagioli che l’orzo sono morbidi.
Schiacciate le patate con l’aiuto di un mestolo forato e riportate a bollore leggero, facendo sempre attenzione che non inizi ad attaccare. Servite ben calda, questa zuppa di orzo e fagioli, con un filo d’olio buono, una macinata di pepe e una generosa spolverata di parmigiano.
La scoperta dei fagioli
In Italia la coltivazione del fagiolo è praticata da tempo immemore. Questi legumi forniscono un’ottima quantità di proteine e sono una buona fonte di energia, tanto da poter sostituire alimenti di origine animale. Gustosi e versatili, i fagioli si possono consumare sia freschi sia secchi ma comunque cotti e i modi per preparali sono innumerevoli. Tanti modi quante sono le varietà presenti nelle diverse regioni del nostro Paese e, anche se borlotti e cannellini sono le tipologie più conosciute e consumate, si contano più di 500 specie fa cui i Lamon, i bianchi di Spagna, gli zolfini, i fagioli del Purgatorio, i fagioli dell’occhio, i Pinto, i fagioli rossi, quelli neri e potrei continuare ancora a lungo. Hernan Cortes li portò in Spagna e successivamente come dono dal Nuovo Mondo a Papa Clemente VII il quale ne affidò la coltura al canonico Piero Valeriano, appassionato botanico. Fu proprio costui a convincere Caterina de Medici a portarli in Francia, quando partì per convolare a nozze con il delfino Henri de Valois. Phaseolus vulgaris è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Fabaceae (comunemente definite Leguminose o Papilionacee) che ben si adatta a climi abbastanza temperati, seppure tema il gelo.
I fagioli nelle cultura gastronomica del Friuli
Le mie radici sono in Friuli e, nella mia regione d’origine, il fagiolo conosciuto come “il pane dei poveri”, ricopriva un posto principe nella tradizione perché era uno dei legumi che venivano prodotti negli orti domestici e pertanto erano molto usati in cucina. Minestre e zuppe infatti sono tuttora molto diffuse, cucinate con diverse varianti e parte integrante del regime alimentare. Notoriamente una cucina povera e molto diffusa, quella friulana, tanto che la zuppa di fagioli, insieme ad altre minestre, si racconta che divenne il rancio a cui i soldati napoleonici dovettero abituarsi, loro malgrado, durante la Campagna d’Italia nel periodo friulano, conclusa col Trattato di Campoformido. I francesi, che erano grandi estimatori del Cassoulet, un piatto a base di fagioli bianchi, ben più sontuoso e nutriente rispetto alla zuppa, preparato con oca, anatra o maiale, dovettero fare i conti con cibi molto più modesti e poveri di carni.
Le varietà di fagioli che si producono in Friuli sono molteplici, si va dai borlotti della Carnia a quelli di alto profilo gastronomico di Pesariis o a quelli più rari come il fagiolo Florina di Lusevera che si raccoglie e si sguscia tuttora a mano. Si annovera anche il fagiolo gigante di Platischis dalla forma rotonda e di colore uniforme verde-giallo chiaro che ricorda i piselli, quello dal Voglut (occhiolino) che viene dalle valli interne della Carnia, il fagiolo Laurons, un borlotto di piccolissime dimensioni e il Militons, uno fra i più prolifici del Friuli, e infine il fagiolo antico di San Quirino, ora Presidio Slow Food, prodotto principalmente nel piccolo borgo di San Quirino e dintorni, nel pordenonese, a pochi chilometri da dove sono nata.
Veniva coltivato fin dall’800, fagiolo minuscolo per dimensioni ma dal grande valore economico per quei tempi, infatti il suo prezzo superava quello del granturco. Poi, pian piano, è quasi scomparso. Fortunatamente, da qualche tempo, alcuni giovani sono riusciti a recuperare le sementi antiche ed hanno ripreso la produzione tradizionale, con lo scopo di valorizzare questo tipo di fagiolo dalla buccia sottile e dalla polpa piena e cremosa.
I ricordi e la tradizione
Io, però, ho fatto in tempo a veder coltivare questo tipo di fagiolo, vicino al mais, in filari bassi e lungo tutto il campo e, quando era l’ora della raccolta, a partire dalla metà di luglio, si estirpavano le piante, le si distendeva sull’aia sopra grandi teli lasciandole qualche giorno a seccare e poi giù di bastone! Questo permetteva ai fagioli di uscire dai baccelli, separandoli.
Nei miei ricordi e in quelli tramandati, erano donne e bambini a raccogliere i fagioli, facendo contemporaneamente una prima cernita, per poi trasferirli nei sacchi di juta. Alcuni contadini ne vendevano una parte, se il raccolto lo permetteva, ma a casa mia si conservavano per l’inverno. La battitura era una specie di rito a cui partecipava quasi tutta la famiglia. Non immaginate la polvere che si alzava durante quella operazione! Alla fine eravamo tutti ‘imbiancati’.
Le ricordo quelle estati calde e lente, scandite dal lavoro dei campi e nell’orto, fra le strade del paese deserte per la calura che si rianimavano solo intorno alle 17. Era l’ora in cui la latteria sociale apriva i battenti e i contadini, dopo la mungitura, portavano i loro bidoni di latte e in cui, chi, come me, andava col suo bravo pentolino di alluminio a comprarlo. Tornando, venivo accolta dal profumo che usciva dalla immancabile pentola di fagioli che bolliva sul fogolar.
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