Questa non è una storia come quella delle due cinture identiche in Il Diavolo veste Prada: queste due cinture sono davvero “così diverse”, eppure sono state confuse per secoli.
A monte di ogni confusione sta proprio Linneo, che nel 1753, nel suo Species plantarum, descrisse una pianta come Amaryllis belladonna. In realtà Linneo incluse nel genere Amaryllis una certa quantità di specie, tra cui la Brunsviglia, la Sprekelia e la Sternbergia.
La sua descrizione di quella che oggi chiamiamo Amaryllis belladonna però non era univoca, tale che fu successivamente confusa con l’Hippeastrum.
Un interessantissimo estratto dei Royal Botanic Gardens di Kew ricompone in modo molto comprensibile la vicenda, elencando le voci e le chiavi di identificazione che hanno prodotto confusione, e delle ragioni per cui è avvenuta. L’estratto si può consultare su Jstor cliccando qui.
La notorietà delle due piante
Un fatto che bisogna considerare come punto fisso è che l’Amaryllis era nota in Italia già nel 1633. Nel suo Flora, Giovan Battista Ferrari descrive due ibridi naturali di Amaryllis (oggi nominati x Amarygia) quali “Narcissus Indicus Liliaceus”, a indicare che appartenevano alla famiglia dei narcisi – le Amaryllidaceae appunto – ma che i fiori avevano una somiglianza con i gigli. Fortunatamente i fiori sono distinguibili in modo inequivocabile dalle sontuose stampe che caratterizzano quel libro.
Linneo conosceva questa pianta, originaria del Sudafrica, che in Italia era ampiamente diffusa e denominata “giglio belladonna”. Mentre è probabile che non conoscesse l’Hippeastrum, che invece è originario del Centro e del Sud America, e che all’epoca era poco noto e ancor meno coltivato a scopo ornamentale.
Una seconda edizione voleva mettere ordine tra Hippeastrum e Amaryllis
Seppur nella seconda edizione di Species plantarum, Linneo abbia aggiunto una nota sulla conformazione dei petali e la disposizione dei fiori sullo scapo per “meglio distinguerlo dall’Amaryllis reginae” (che è un Hippeastrum). Forse la sua descrizione non fu sufficiente a dirimere i dubbi dei successori, e su di essa si insediò in modo improprio la denominazione Hippeastrum equestre, posta in essere da William Herbert nel 1819.
Fino all’anno 1987, i due generi si fusero in una ghirlanda brillante, ma quell’anno si tenne una sorta di “concilio di Trento” della botanica, che li separò definitivamente. Non è tantissimo indietro nel tempo, se si pensa che in Italia usciva Si può dare di più, e in America comparivano i I Simpson.
Hippeastrum e Amaryllis, tanto diverse quanto affini
Sebbene le due piante siano molto diverse all’occhio, mantengono dei caratteri genetici e morfologici affini, tanto che l’Amaryllis si ibrida con altre piante che Linneo aveva incluso nel genere: i risultati migliori si ottengono con la Brunsvigia. Difatti tutti gli ibridi di Amaryllis belladonna sono ibridi intergenerici, ottenuti proprio con la Brunsvigia. Il nome dell’ibrido è la x Amarygia (con la x davanti, per indicare la “fusione” tra due generi) descritta da Ferrari nel 1633. In Italia, fra l’altro, abbiamo uno dei più grandi coltivatori e ibridatori non professionisti, a livello internazionale, Angelo Porcelli. I suoi ibridi sono divenuti leggendari e la cui preziosa e amichevole collaborazione è stata messa a disposizione per questo articolo.
I loro bulbi, con differenze di grandezza e colore
Se dell’Amaryllis esiste una sola specie, la belladonna, dell’Hippeastrum ne esistono alcune centinaia, e il numero è destinato a salire perché ne vengono scoperte di continuo.
Le differenze sono tantissime. Partendo dai bulbi. Quelli di Amaryllis sono bruttini, color sabbia, allungati e con delle tuniche che si sfilacciano liberando una sorta di peluria. Di solito hanno la grandezza di una patata media, ma possono diventare davvero grandi. Quelli di Hippeastrum sono tondi, allargati e grossi.
La pezzatura che si trova più frequentemente in commercio varia dalle dimensioni di una pallina da tennis a quella di un grosso melograno, ma possono essere anche più grandi. Sono scuri e lucidi, e in genere hanno la foglia già pronta a partire, una puntina verde a forma di lingua in cima.
Il profumo, i semi e la direzione dei fiori dell’Hippeastrum e dell’Amaryllis
L’Amaryllis fiorisce a fine estate (è una pianta fantastica nei climi caldi), dopo aver vegetato. Viene infatti chiamata anche “naked lady”, un calco anglofono del più nobiliare belladonna, che invece per la sua orecchiabilità è stato oggetto di dispute tra i rivenditori. Ha fiori rosa, dalla tessitura lucida, cerosa e luminosa, come se sottile polvere di ali di farfalla vi si fosse depositata. I fiori guardano tutti da uno stesso lato, mentre quelli di Hippeastrum sono disposti a corona. Profuma, mentre l’Hippeastrum no. I semi di Amaryllis sono grandi, bianco rosato e quasi vitrei (sembrano sassolini di spiaggia), mentre quelli di Hippeastrum sono simili al pancrazio di mare, neri, cartacei e sottili.
Hippeastrum e Amaryllis, hanno differenze anche nei colori
I colori dell’Hippeastrum sono tantissimi, dal giallo al rosa, all’arancio, al bianco. Solo i malva e i blu non sono contemplati. Mentre quelli dell’Amaryllis possono essere di un solo colore: rosa. Ci sono gradazioni più o meno scure, sfumature o forme con la gola bianca (ad esempio la “Ex Calabria”, così nominata proprio da Angelo Porcelli), ma sempre rosa. Inoltre l’Hippeastrum fiorisce a primavera e viene spesso regalato a Natale. Prima veniva forzato per fiorire in inverno, ma oggi è più semplice coltivarlo con il ciclo invertito nell’emisfero Sud, e inviarlo tramite aereo. Non si potrebbe dire che sono bulbi forzati, ma già preparati a fiorire. È un fiore dall’indole pop, con colori vibranti, accesi, che vediamo spesso in opere d’arte contemporanea, nel design, su tessuti e all’interno di decorazioni dal sapore tropicale.
Possiamo dire che una pianta sia “vecchia” e l’altra “nuova”. Di sicuro l’Hippeastrum non ha goduto del favore dei botanici rispetto all’Amaryllis, ma si riscatta con la sua maggiore diffusione nei giardini. Almeno in quelli dove il clima gli è più confortevole e non sono pochi.
Lida Zitara
©Villegiardini. Riproduzione riservata
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