Nel Canton Ticino, Mino Caggiula Architects ha firmato il progetto della dimora di Alice Trepp, scultrice. Un’architettura organica e gestuale, ricca di curve che definiscono forme sinuose e un cenote che inquadra poeticamente il cielo.
Situato nei pressi di Origlio, cittadina svizzera affacciata sull’omonimo lago, l’Atelier Alice Trepp è un’architettura originale che dà vita a uno spazio funzionale e al tempo stesso è fonte d’ispirazione per l’artista e il suo processo creativo. Alice Trepp, che vi abita e lavora, è una talentuosa scultrice svizzero-ecuadoregna nota per le sue opere a grandezza naturale modellate e dipinte a mano. I suoi soggetti favoriti sono figure umane che sorprendono per la loro espressività e la capacità di comunicare, oltre la forma, emozioni e desideri, immortalando per sempre istanti di vita.
Per lei Mino Caggiula Architects ha realizzato un progetto che invita a un’introspettiva esplorazione sensoriale, che nasce dal luogo e in esso si riflette. Il sito su cui sorge, caratterizzato da un pendio naturale con vista aperta verso il Monte Tamaro, ricorda la tipica conformazione morfologica e territoriale nel quale venivano inseriti i teatri greci. “Per il concept della villa ci siamo quindi ispirati a queste antiche costruzioni, le cui gradinate si adattano al terreno e si aprono verso scenografie naturali spettacolari. Nel nostro caso la montagna”, racconta l’architetto Mino Caggiula.
Le azioni progettuali prendono le mosse dalla lettura delle curve di livello del terreno e, lontane da una logica compositiva tradizionale, fanno del gesto la loro ragione d’essere: le protagoniste sono curve in movimenti sinuosi come ‘foglie’ che si sollevano dal suolo che sembrano contenere i volumi all’interno, così da fare apparire l’architettura come affondata nella terra stessa. Si crea così una simbiosi con il contesto, accentuata dalla continua e fondamentale presenza della natura. Il tratto iconico che contraddistingue il progetto è quello di essere concepito intorno a un vuoto: uno spazio ricco di possibilità e carico di energie, elemento di unione tra cielo e terra.
Tutto si sviluppa attorno a un vero e proprio cenote, la cui estetica ricalca la fisionomia delle grotte naturali sudamericane, un omaggio alle origini della scultrice. L’architettura inquadra il cielo e lo ingloba nel suo disegno. Un ricordo del grande occhio che ha caratterizzato molte architetture antiche e contemporanee, dal Pantheon di Roma, al Museo d’arte di Teshima. Uno spazio meditativo, di riflessioni e rifrazioni. Luce, vibrazioni e suoni, offrono un’esperienza suggestiva in cui tutti i sensi possono essere coinvolti. “Alice utilizza questo spazio prima, durante e dopo l’ideazione e l’esecuzione delle opere. Si sdraia all’interno dello specchio d’acqua, alto quindici cm e adagia il corpo sul fondo di ghiaia fluviale composto da pietre arrotondate di colore nero.
Le dolci forme del paesaggio collinare entrano ed escono dagli ambienti, creando un legame su scala diversa e un armonioso connubio tra natura e artificio. Si fa cingere il viso dall’acqua e rimane così immersa in una dimensione ‘altra’, in cui i suoni sono più ovattati e tutti e cinque i sensi sono stimolati. All’interno di questo nuovo spazio meditativo entrano il profumo del gelsomino che si tuffa nel cenote, il cinguettio degli uccelli, il movimento delle nuvole che transitano e i loro giochi di luce ed ombra”.
Grazie alle mutevoli declinazioni solari questa struttura scandisce variazioni e ritmi precisi. Se per le creazioni di Alice il tempo è un attimo da immortalare, per l’architettura il tempo è la quarta dimensione del progetto, espressa dall’interazione tra lo specchio d’acqua, la luce dei giorni e delle stagioni che entra all’interno del cavo, e un verde quasi spontaneo, pensato per conquistare e riappropriarsi pian piano del suo spazio.
La costruzione ha grandi vetrate che lasciano sempre aperto lo sguardo verso la natura circostante. Il tema degli interni è sempre organico: forme morbide attraversano l’indoor e l’outdoor in una commistione tra micro e macro, tra la scala del paesaggio e quella dell’architettura, mescolandosi e creando un’armonia dell’opera totale. “Nel nostro lavoro c’è un legame con il soggetto per cui progettiamo, come per l’artista c’è un legame con il soggetto della sua opera.
A differenza di questi ultimi però veniamo chiamati a far vivere le persone, in questo caso l’artista, all’interno della nostra opera. È un diverso rapporto antropometrico che ha comunque un forte valore di relazione, tra soggetti e discipline. L’interpretazione dell’arte, della filosofia e del pensiero di Alice nell’architettura è quello che più mi ha affascinato in questo progetto. Abbiamo ricercato, come fa lei, il sublime nell’ordinario”, conclude l’architetto Caggiula. minocaggiula.com
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