Galleria Nazionale delle Marche: chi era Barocci, il protagonista della grande mostra a Urbino. Dal 20 giugno al 6 ottobre Palazzo Ducale accoglierà l’esposizione monografica dedicata a uno dei figli più illustri della città. Arriveranno prestiti eccellenti da alcuni dei principali musei italiani e internazionali.
L’appuntamento è a fine primavera: si intitola “Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna” la mostra monografica che per oltre quattro mesi – dal 20 giugno fino al 6 ottobre 2024 – si potrà ammirare nei sontuosi spazi di Palazzo Ducale. Curata da Luigi Gallo (Direttore della Galleria delle Marche) e Anna Maria Ambrosini Massari (Docente di Storia dell’Arte moderna all’Università di Urbino), con Luca Baroni e Giovanni Russo, la mostra porta per la prima volta a Urbino le opere di uno dei suoi figli più illustri: Federico Barocci (1533-1612). Grazie a un insieme di prestiti provenienti da principali musei nazionali e internazionali che arricchiscono la collezione già molto importante della Galleria Nazionale delle Marche, la mostra monografica propone 76 tra dipinti e disegni di Barocci, illustrando tutte le fasi della sua lunga carriera.
Ma chi era Federico Barocci?
Nato a Urbino tra il 1533 e il 1535 da una famiglia di artisti, già in età adolescenziale mostrava notevoli capacità artistiche e a 20 anni circa ottenne la sua prima commissione, una Santa Margherita per l’oratorio della Compagnia del Corpus Domini, purtroppo oggi perduta. Anche la pala d’altare con Santa Cecilia, oggi nella Cattedrale di Urbino, la dipinse a 20 anni quando decise di trasferirsi a Roma, ospite di uno zio che lavorava per il Cardinale della Rovere che rimase colpito dalla bravura del giovane Barocci a tal punto da commissionargli diversi lavori. Tra il 1557 e il 1560 l’Artista tornò a Urbino, e poi di nuovo a Roma per per decorare il casino di Papa Pio IV nei Giardini Vaticani.
Di lì a poco Barocci fu colpito da una malattia che lo avrebbe tormentato per tutta la vita: qualcuno disse che era stato avvelenato da colleghi gelosi, ma ciò lo costrinse a tornare a Urbino e a non allontanarsi più dalla città se non per brevissimi periodi. Questa sorta di emarginazione, e la malattia che lo costringeva a lavorare per poche ore al giorno, tuttavia non fermarono la sua carriera, poiché nonostante una salute cagionevole, gli giungevano le commissioni per la realizzazione di tante opere oggi in larga parte conservate nelle sale della Galleria Nazionale delle Marche e in tanti altri musei italiani e internazionali.
Nel 1570 ricevette la prima commissione ducale (ovvero il Riposo della fuga in Egitto che oggi si trova nella Pinacoteca Vaticana di Roma) per il duca Guidobaldo. Trascorsero due anni e Barocci fu incaricato di ritrarre il giovane principe Francesco Maria per celebrarne il ritorno dalla battaglia di Lepanto: questo incontro diede origine a un rapporto sia professionale sia personale tra l’Artista e Francesco Maria, che proseguì per il resto della loro vita. Come attestato dallo stesso Duca d’Urbino, malgrado le sue incerte condizioni fisiche, le capacità di Barocci non vennero mai meno: era lento nel lavorare, ma ciò era dovuto anche al metodo di lavoro molto complicato, che comportava centinaia di disegni e studi preparatori oltre ad una complessa tecnica di verniciatura.
Le condizioni di salute di Barocci non si rifletterono mai sulle sue opere – dove sono evidenti i colori lieti, le immagini serene, devote, ottimistiche -, anche se malinconia e irascibilità venivano spesso rammentate nei rapporti epistolari con il duca Francesco Maria, il quale convinse Barocci ad andare a vivere a Palazzo Ducale, come scrisse il biografo Giovan Pietro Bellori sulle pagine de Le vite dei pittori, scultori e architetti moderni nel 1672. Ciò avvenne per un breve periodo poiché il suo carattere e la sua necessità di solitudine gli resero la permanenza insopportabile; perciò se ne tornò via.
Federico Barocci morì a Urbino il 30 settembre 1612. La sua attività artistica coincide col periodo del “Manierismo” – con figure piene di vigore – così come la rappresentazione del suo misticismo si stacca dall’ortodossa narrazione biblica per finire inserita in un contesto più personale; ciò nonostante Barocci guardò con attenzione all’Alto Rinascimento, alle teorie sul colore di Leonardo, alle concezioni pittoriche del Correggio; attraverso queste ispirazioni si costruì uno stile indipendente, contribuendo ad aprire la strada allo sviluppo del Barocco. Alle sue magnifiche pale d’altare conservate a Roma avrebbero guardato sia Rubens, quando si trovò a lavorare nella decorazione della Chiesa di Santa Maria in Vallicella, sia il giovane Bernini, che nelle figure emozionate di Enea e Anchise e nelle sue estatiche sante riprese alcuni caratteri peculiari di Barocci. gndm.it
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