Alla scoperta di un sorprendente giardino che affiora dal Lago di Garda affacciandosi e specchiandosi nelle sue acque turchine. Luogo di quiete e di armonia, Isola del Garda è il luogo perfetto in cui lasciarsi avvolgere dall’abbraccio della Natura, lasciando che il mondo esterno si allontani.
Giardini rigogliosi sottratti a uno scoglio che affiora dalle acque turchesi del più grande dei laghi subalpini, una meravigliosa villa ora in stile neogotico veneziano e una storia millenaria che racconta di santi, frati, poeti, artisti, avventurieri e aristocratici. Ci sono tutti gli elementi per scrivere un romanzo o la trama di un film, oppure per raccontare un luogo incantato che si chiama Isola del Garda. Qui la natura avvolge nel suo abbraccio chi si trova a camminare all’ombra delle grandi chiome degli alberi, ammira lo spettacolo del lago o si lascia trasportare dall’inebriante profumo di zagare, glicini e rose.
Improvvisamente il tempo si ferma, il mondo si allontana lentamente e una connessione emotiva si stabilisce tra l’uomo e l’isola. Fu forse questa atmosfera di pace a indurre San Francesco d’Assisi a costruirvi un eremo? San Bonaventura, suo importante biografo, non lo scrisse ma documentò nel Duecento l’esistenza sull’isola di una piccola comunità contemplativa dell’ordine francescano, con le celle, tuttora conservate, ricavate all’interno di grotte nella parte settentrionale dell’isola.
Durante gli oltre cinque secoli di permanenza dei francescani iniziarono a svilupparsi i giardini, all’inizio orti e frutteti in cui si coltivavano piante da frutto tipiche del luogo e, grazie al clima mite del lago, anche olivi e agrumi, e solo dopo il 1429, quando San Bernardino da Siena fece costruire un monastero, giardini più strutturati, verosimilmente suddivisi nelle classiche quattro tipologie di spazi: orti, frutteti, giardini con fiori e orto dei semplici, alla guisa di una raffigurazione del paradiso descritto nel Cantico dei Cantici, con la parte rimanente dei circa sei ettari lasciata a bosco autoctono. Di essi, purtroppo, non è rimasta traccia se non in qualche dipinto o testimonianza di alcuni pittori e scrittori coevi. Furono quelli i tempi in cui l’isola, nota come Isola dei Frati, conobbe il suo periodo di maggiore sviluppo e notorietà nel mondo religioso, non solo per il centro di studi teologici dove anche padre Francesco Lechi, noto come Lichetus, insegnò, ma anche come luogo di quiete e armonia, ideale per la meditazione.
Lo sviluppo dell’isola e dei suoi giardini ebbe una sosta con la soppressione del monastero imposta da Napoleone Bonaparte nel 1795 e riprese dopo qualche anno di abbandono, quando il conte Luigi Lechi acquistò la proprietà dal demanio, ristrutturò ciò che rimaneva dell’architettura esistente per trasformarla in una villa più ampia corredata di giardini e accogliendo un salotto culturale frequentato dai personaggi noti dell’epoca, quali Gaetano Donizetti, Ippolito Pindemonte, Giuditta Pasta e Adelaide Malanotte, solo per citarne alcuni, riprendendo, con fini e modalità completamente diverse, una tradizione già in voga durante il periodo dei frati, che ospitarono, tra gli altri, Dante Alighieri e Sant’Antonio da Padova.
L’ampliamento dei giardini continuò con Teodoro Lechi, il quale riprese con rinnovato vigore l’opera intrapresa dal fratello e fece costruire una serie di terrazze che digradavano dolcemente verso il lago per ottenere aree pianeggianti in cui coltivare agrumi e olivi, oltre ovviamente alle piante tipiche delle ville lacustri, proteggendole dai venti tramite grandi mura con merlatura ghibellina nella parte orientale dell’isola, restaurando le precedenti costruite dai francescani nel 600.
L’attuale assetto dell’isola si deve, tuttavia, ai successivi proprietari, dal 1870, il duca Gaetano De Ferrari di Genova e sua moglie, l’arciduchessa russa Maria Annenkoff. Donna colta e di buon gusto, la figlioccia dello zar Alessandro II aveva compiuto il Grand Tour e visitato l’Europa e i suoi giardini e desiderava per la sua famiglia una villa che ricordasse l’amata Venezia e un parco in grado di rivaleggiare con quelli ammirati durante i suoi viaggi.
Non fu un compito semplice, poiché l’isola, lunga oltre un chilometro e larga in media sessanta metri, ha una conformazione irregolare: pianeggiante nella parte occidentale lunga e articolata che si protende a punta verso il promontorio di Capo San Fermo, nel comune di San Felice del Benaco, sulla sponda bresciana del lago, e caratterizzata, invece, da ripidi pendii che si dipartono da un’alta scogliera nella parte nord orientale, più larga e ricca di rocce calcaree, fino alla sponda sul lato opposto, dove si trovavano la villa Lechi e i suoi giardini.
Muri di contenimento e continui apporti di terra fertile consentirono la formazione di terrazze disposte su più livelli per raggiungere le quote pianeggianti, collegate da scale e scalette, e per ospitare i giardini.
L’architetto Rovelli fu incaricato di costruire una dimora in sostituzione di quella dei Lechi, in parte inglobata nei primi due piani, l’ultimo dei quali è sormontato da una terrazza pensile al cui termine si protende verso il cielo una villa in stile neogotico veneziano, tipico dei palazzi della Serenissima, con un’inversione tra pieni e vuoti, chiusa a ovest da caratteristica torre dalla cui loggia si può ammirare il panorama del lago e scorgere Sirmione e la Rocca di Manerba. La proprietà dai De Ferrari si tramandò per via femminile agli attuali Cavazza che sono la quinta generazione della famiglia, che ha annoverato anche il principe Scipione Borghese, marito dell’unica figlia dei De Ferrari.
Nel suo complesso l’isola ospita una serie di giardini che si risolvono in uno stile eclettico e che sono una diretta conseguenza della conformazione del luogo, delle sue architetture e del gusto del periodo nel quale furono sviluppati. Più formali nei pressi della villa per diventare poi paesaggistici nella parte che si dirige verso la punta. Nella prima terrazza a lago, in più aiuole geometriche cinte da basse siepi, trovano posto alberi da frutta che si distinguono anche per le fioriture appariscenti e scalari e le tessiture fogliari e un giardino in stile cottage, voluto da Charlotte Chetwynd Talbot Cavazza in ricordo delle sue origini inglesi, con rose arbustive, Hydrangea macrophylla ed erbacee perenni miste ad annuali per anticipare, accompagnare e prolungare la fioritura di ortensie e rose.
Il rigore formale delle aiuole è stemperato dalla disposizione delle piante e dal loro portamento aperto e arioso, da agrumi a ridosso del primo piano della villa, da glicini che salgono sulle pareti, da macchie di oleandri, da rose rampicanti che ricoprono muri e vecchie costruzioni (spettacolare la fioritura di Rosa banksiae ‘Lutea’ i cui sarmenti ricoperti da migliaia di fiorellini giallo oro rivestono a inizio primavera una casetta diroccata sulla riva) e da giovani palme, che richiamano le due alte Washingtonia filifera che raggiungono il primo piano della torre.
Una conservatory inglese custodisce i Pelargonium di Lady Charlotte, che da qualche anno ha ceduto una parte della serra alla figlia Alberta Cavazza, che si occupa della villa, per coltivare una nuova collezione di orchidee. Una terrazza intermedia tra le mura e la terrazza principale ospita varie Phoenix canariensis che illustrano uno dei temi portanti dei giardini: un equilibrato mix di piante autoctone ed esotiche che trasportano in mondi lontani. In un’aiuola circolare i bossi ricamano lo stemma dei De Ferrari.
La parte più scenografica è la terrazza pensile antistante quello che tecnicamente è il terzo piano della villa, dove eleganti parterre de broderie in bosso, di forme differenti, due dei quali con gli stemmi della famiglia Borghese, si alternano ad aiuole inerbite, ospitano quattro grandi Agave americana ‘Variegata’, sono punteggiati da due cipressi, che richiamano quelli sulle altre terrazze, posteriori e laterali, e che ritmano lo spazio dei giardini formali con uno slancio verticale, e gli altri piantati lungo l’isola fino alla sua punta.
Dalla terrazza vistose Bougainvillea e rose sarmentose si arrampicano per ornare elegantemente alcune finestre. Scendendo verso la parte pianeggiante le terrazze perdono via via il rigore geometrico e si stemperano poi nel parco romantico, dove gli alberi autoctoni si alternano a quelli alloctoni, in un’alternanza di sempreverdi e caducifoglia che modula i colori del parco nel corso delle stagioni. Lungo i viali si attraversano radure luminose, si osservano le differenti consistenze e forme delle foglie, si assiste allo spettacolo della natura che si risveglia, fiorisce, brilla e poi si quieta.
Isola del Garda è stata aperta al pubblico nel 2002 e fa parte del Network Grandi Giardini Italiani.
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