Dal 7 ottobre 2023 al 18 febbraio 2024 Fondazione Palazzo Te, Palazzo Ducale di Mantova e Galleria Borghese si uniscono in un ambizioso progetto che rende omaggio a Rubens, il pittore che cosı̀ profondamente trasse ispirazione dalla cultura classica, lasciando un segno profondo e indelebile nelle corti italiane ed europee. Rubens! La nascita di una pittura europea è infatti l’iniziativa che raccoglie i tre eventi espositivi organizzati dalle tre istituzioni per celebrare il maestro di origini fiamminghe che con la sua opera divenne protagonista e archetipo assoluto del barocco: tre mostre che si inseriscono in una più ampia operazione culturale dedicata ai rapporti tra la cultura italiana e l’Europa vista attraverso gli occhi di Rubens.

Dal 7 ottobre 2023 al 7 gennaio 2024, a Mantova Palazzo Te dedica all’artista Rubens a Palazzo Te. Pittura, trasformazione e libertà, una mostra di ricerca che si concentra in particolare sul rapporto tra il pittore fiammingo e la cultura mitologica che incontra in Italia. A cura di Raffaella Morselli, l’esposizione ha l’obiettivo di creare una rispondenza tra opere e motivi decorativi e iconografici del Palazzo: un percorso paradigmatico che dimostra quanto le suggestioni rinascimentali elaborate da Rubens negli anni mantovani e italiani siano continuate, evolvendosi, nella pittura della sua maturità, fino a trasmettersi nell’eredità intellettuale e artistica lasciata ai suoi allievi. Le opere della mostra sono state scelte, dunque, in funzione del dialogo che riallacciano con i miti e dell’interpretazione che ne fece Giulio Romano nelle varie sale, fattori che contribuirono a generare nel pittore di Anversa una sintonia mai interrotta con il Rinascimento e il Mito.

Nello stesso periodo (7 ottobre 2023 – 7 gennaio 2024) Palazzo Ducale di Mantova dedica a Rubens il focus espositivo Rubens. La Pala della Santissima Trinità, incentrato su una delle più imponenti imprese portate a compimento dall’artista: il ciclo delle tre enormi tele per la Chiesa della Santissima Trinità, una delle quali – dopo incredibili vicende – è ancora oggi esposta a Palazzo Ducale e costituisce una tappa fondamentale nel percorso conoscitivo di questo grande artista. Rubens consolida il suo legame con Mantova quando, nel 1600, giunge da giovane promettente pittore alla corte di una delle più importanti signorie italiane: i Gonzaga. Se ne andrà circa dieci anni dopo, trentenne, con la fama di indiscusso maestro. Il progetto espositivo presenta un nuovo allestimento museografico e illuminotecnico dell’intero Appartamento Ducale, voluto da Vincenzo I e realizzato da Antonio Maria Viani: qui sono esposte opere della collezione permanente dal tardo Cinquecento al Seicento inoltrato. Punto focale del percorso è la Sala degli Arcieri, dove è esposta la Pala la cui vicenda viene raccontata da un’innovativa ricostruzione tridimensionale della chiesa della Santissima Trinità, oggi non più accessibile al pubblico.

Jan Brueghel il Vecchio, Le nozze di Peleo e Teti, olio su rame, 35,5×46,5 cm, Copenaghen, National Gallery of Denmark, inv. KMSsp225 © SM K Photographer, SMK Photo/Jakob Skou-Hansen

Dal 14 novembre 2023 al 18 febbraio 2024 sarà la volta della mostra alla Galleria Borghese di Roma: Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma, a cura di Francesca Cappelletti e Lucia Simonato, indaga come le influenze del suo viaggio in Italia, compiuto nel primo decennio del XVII secolo, prendano un nuovo decisivo vigore negli anni successivi al suo ritorno in patria, anche grazie ai soggiorni italiani di  suoi  allievi fiamminghi. Il  progetto  sottolinea  il  contributo  straordinario dato dall’artista, alle soglie del Barocco, a una nuova concezione di antico, di naturale e di imitazione, mettendo a fuoco la novità dirompente del suo stile nel primo decennio a Roma e come lo studio dei modelli potesse essere inteso come ulteriore slancio verso un nuovo mondo di immagini. L’eccezionale sede della Galleria Borghese offre inoltre l’opportunità inedita di vedere i grandi gruppi berniniani, la statuaria antica, le altre sculture moderne, spesso opera di artisti stranieri, in relazione diretta con i quadri e i disegni di Rubens, cogliendo quell’energia con cui  l’artista  investì  i capolavori dell’antichità.

Rubens! La nascita di una pittura europea – straordinaria iniziativa culturale realizzata con il Patrocinio del Ministero della Cultura, in collaborazione con il Comune di Mantova e alcune delle più prestigiose istituzioni museali italiane e internazionali – è  un’occasione  unica  di collaborazione che, accanto ai progetti espositivi, prevede incontri di  approfondimento, conferenze, eventi e la realizzazione di pubblicazioni scientifiche dedicate al grande artista. Rubens è il genio che, grazie alla sua giovinezza italiana, riesce ad allargare i confini della creatività internazionale, diventando artista europeo nelle tecniche, nel gusto, nella capacità produttiva. Seguendo e ampliando il progetto di Giulio Romano, egli dunque diviene tramite di modernità. Il Comune di Mantova è orgoglioso di promuovere il ciclo espositivo che esplora la potenza di un artefice  senza  pari,  capace   di   lasciare   tracce   altissime   nella   città   dei   Gonzaga. Ed è questa l’occasione per riflettere sul concetto stesso di Europa, nel suo necessario slancio culturale e vitale.

Mattia Palazzi, Sindaco di Mantova

Rubens a Palazzo Te è una mostra bellissima, risultato di un percorso scientifico e istituzionale complesso e ambizioso. È il racconto del riverbero avuto nel tempo, fino al Seicento e oltre, dalla pittura di Giulio Romano e di Palazzo Te; è una storia che connette Giulio Romano a Rubens nella loro capacità di trasformare creativamente la tradizione; è l’evidenza di quanto la “pratica della libertà” propria della pittura sia una cifra preziosa della cultura europea anche contemporanea; è la conferma della collaborazione della Fondazione Palazzo Te con Palazzo Ducale, i Musei Civici, Galleria Borghese e oltre 17 musei in tutta Europa; è il risultato della collaborazione tra musei, fondazioni, università che ha raccolto il meglio per accompagnare la possibilità di trasformare un frammento di storia in una visione del futuro.

Pieter Paul Rubens, San Michele espelle Satana e gli angeli ribelli, olio su tela, 1622, 149 x 126 cm, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza, inv. 348 (1930.98) © Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Madrid

Stefano Baia Curioni, Direttore Fondazione Palazzo Te

Palazzo Ducale partecipa a questo importante progetto espositivo che coinvolge istituzioni – Palazzo Te di Mantova e la Galleria Borghese di Roma – di due delle città nelle quali Rubens maggiormente operò nel suo periodo italiano. La sua opera di maggior respiro fu il grande trittico realizzato per il presbiterio della chiesa della Santissima Trinità di Mantova, il cui elemento centrale è la tela conservata in Palazzo Ducale, intorno alla quale ruota il nostro progetto. Un modo per ricordare lo straordinario bagaglio di conoscenze dell’artista, di cui la tela con la Famiglia Gonzaga in adorazione della Trinità è un caso eccezionale.

Stefano L’Occaso, Direttore Palazzo Ducale di Mantova

La mostra alla Galleria Borghese è la prima di un nuovo progetto di ricerca che metterà la storia del museo al centro dei momenti in cui Roma è stata una città veramente internazionale. Calamita per gli artisti del Nord Europa fin dal Cinquecento, la Roma di Rubens, fra i pontificati Aldobrandini e Borghese, è il luogo dove studiare ancora l’antico, di cui si cominciano a conoscere i capolavori della pittura, con il ritrovamento nel 1601 delle Nozze Aldobrandini. È il momento della Galleria Farnese di Annibale Carracci e della cappella Contarelli di Caravaggio, di cui si stordisce una generazione. Attraverso gli occhi di un giovane pittore straniero come Pieter Paul Rubens guardiamo ancora una volta all’esperienza dell’altrove, cerchiamo di ricostruire il ruolo del collezionismo e della collezione Borghese in particolare come motore del nuovo linguaggio del naturalismo europeo, che unisce le ricerche di pittori e scultori nei primi decenni del secolo.

Francesca Cappelletti, Direttrice Galleria Borghese

NOTA BIOGRAFICA 

Nonostante sia ricordato come il pittore di Anversa, Pieter Paul Rubens (Siegen 1577 – Anversa 1640) nacque a Siegen, nell’attuale Germania, dall’esiliato avvocato Jan, accusato di calvinismo, e dalla figlia di un commerciante di arazzi, Maria Pypelinckx. Nel 1589 la famiglia Rubens fece ritorno ad Anversa, dove Pieter Paul e suo fratello frequentarono la scuola del letterato Romuldus Verdonk, apprendendo i classici latini e greci. Intorno al 1591 Pieter Paul cominciò a frequentare la bottega d’arte di un lontano parente della madre, Tobias Verhaecht. Successivamente, e per quasi un triennio, fu allievo del pittore di figura Adam van Noort, per finire l’apprendistato presso il romanista Otto van Veen. Nel 1598, Pieter Paul venne accolto come maestro di pittura nella gilda cittadina di San Luca. Il 9 maggio 1600 partì per l’Italia, dove, nell’estate dello stesso anno, il giovane pittore venne ingaggiato da Vincenzo I Gonzaga, duca di Mantova, che rimarrà suo mecenate per gli otto anni di soggiorno italiano. Il 5 settembre 1600 fu testimone di un importante evento storico: in qualità di pittore di corte assistette a Firenze al matrimonio per procura tra la cugina e cognata del duca Vincenzo, Maria de’ Medici, ed Enrico IV di Francia. Partito alla volta di Roma per studiare le antichità, con in mano una lettera di raccomandazione da parte del duca di Mantova indirizzata al cardinal Montalto, nel giugno del 1601 ricevette il primo incarico di prestigio destinato a un luogo pubblico: le tre pale d’altare per la cappella di Sant’Elena presso S. Croce in Gerusalemme, commissionate dall’Arciduca Alberto VII d’Asburgo, sovrano delle Fiandre Meridionali, che era stato, in gioventù, cardinale titolare della basilica. Lasciata Roma il 20 aprile del 1602, il 5 marzo dell’anno successivo Rubens ricevette il primo incarico diplomatico della propria carriera: Vincenzo Gonzaga gli affidò regali da portare alla corte spagnola e alcuni dipinti da donare al duca di Lerma, potentissimo favorito del Re.

Jacob Jordaens, La curiosità di Psiche, olio su tela, 1652, 133,5×235,5 cm, Anversa, Phoebus Foundation © The Phoebus Foundation, Antwerp

All’inizio del 1604 Rubens tornò a Mantova passando per Genova, dove riscosse il compenso per la missione appena compiuta dal banchiere del duca Vincenzo, Nicolò Pallavicino, del quale eseguì un ritratto a mezzo busto. Grazie all’amicizia con la famiglia Pallavicino, ricevette la committenza per la Circoncisione nella chiesa dei Gesuiti di Genova. Nella corte dei Gonzaga rimase fino a novembre dell’anno successivo, eseguendo le tele per la cappella maggiore della chiesa dei Gesuiti, tra cui la celebre pala d’altare che raffigura la famiglia dei duchi in adorazione della Trinità. Alla fine del 1605, Rubens si trasferì di nuovo a Roma dove, il 25 settembre del 1606, firmò la sua seconda committenza romana con i Padri Oratoriani di S. Filippo Neri: la decorazione dell’altare maggiore di Santa Maria della Vallicella. Il lungo soggiorno italiano di Rubens si concluse frettolosamente: il 28 ottobre del 1608 lasciò Roma per raggiungere la madre morente. Stabilitosi definitivamente ad Anversa, il 23 settembre 1609, già membro della gilda dei romanisti, venne nominato pittore della corte di Bruxelles. Il 3 ottobre sposò Isabella Brant, figlia del cancelliere della città. All’inizio del 1611 acquistò un terreno dove fece costruire la propria casa, abitata già dal 1615 ma terminata solo tre anni più tardi. Annessa alla casa, organizzò la propria bottega, frequentata da molti allievi e collaboratori per far fronte al numero sempre crescente di commissioni. All’attività di pittore, Rubens alternò anche un’intensa carriera diplomatica: il 13 ottobre 1624 venne delegato a negoziare la pace con Maurizio d’Orange, a capo dell’esercito della Repubblica delle Province Unite che aveva attaccato Anversa, incarico che gli fruttò il titolo del cavalierato. Nel 1628, il re di Spagna lo chiamò presso la propria corte come ambasciatore

e inviato della corona iberica in Inghilterra. Nel luglio 1631, infine, condusse a Bruxelles l’esiliata Maria de’ Medici, Regina Madre di Francia: nove anni prima la sovrana gli aveva commissionato un grandioso ciclo di tele sulla propria vita per decorare il palazzo del Lussemburgo a Parigi (oggi presso il Louvre). Rimasto vedovo, nel 1630 il cinquantatreenne Rubens sposò la sedicenne Hélène Fourment. Tra il 1636 e il 1638, il re Filippo IV di Spagna commissionò la decorazione della Torre de Parada, un padiglione di caccia costruito sulla collina del Pardo, vicino Madrid: l’infaticabile pittore eseguì cinquantanove bozzetti raffiguranti tematiche mitologiche ispirate alle Metamorfosi di Ovidio. Già dal gennaio del 1640 Rubens non era più in grado di dipingere; la gotta, per cui soffriva da anni, gli aveva immobilizzato la mano destra: la vita del celebre maestro fiammingo terminò il 30 maggio di quell’anno.

Come riesce Rubens a costruirsi un proprio glossario, un vocabolario di rinascimenti e manierismi italiani, partendo dalle Fiandre? Che lemmi inserisce nel proprio dizionario di immagini e di testi? E soprattutto chi e che cosa guarda per permettergli di elaborare una nuova lingua figurativa che non è né fiamminga, né italiana, ma potentemente fiammingaliana o italianinga?

L’immaginifica popolazione di divinità e di testi antichi inventati e citati da Giulio Romano a Palazzo Te furono la palestra ideale per il colto Rubens. L’intellettuale rinascimentale, che si era alimentato nelle Fiandre, durante gli anni della sua formazione culturale, di questo materiale latino e greco in testi e immagini trovava qui il luogo perfetto per immergersi nei sogni antichi. La mostra, articolata in dodici sezioni che seguono il percorso di visita di Palazzo Te, ha l’obiettivo di creare una rispondenza tra le opere mobili e i motivi decorativi e iconografici del Palazzo; si tratta di un percorso paradigmatico che dimostra quanto le suggestioni rinascimentali elaborate da Rubens durante gli anni mantovani e italiani siano proseguite ed evolute sulla sua pittura della maturità, fino all’eredità intellettuale e artistica lasciata agli allievi.

Pieter Paul Rubens, Ritratto di Francesco IV Gonzaga, 1605, Collezione Freddi in comodato d’uso a Palazzo Ducale di Mantova © Palazzo Ducale di Mantova, Ministero della Cultura

Le opere selezionate per questa mostra, dunque, sono state scelte in funzione del dialogo che riallacciano con i miti e con l’interpretazione che ne diede Giulio Romano nelle varie stanze, inducendo nel pittore di Anversa una sintonia mai interrotta con il Rinascimento e la favola mitologica. Sotto il tetto di Palazzo Te si consumò la conversione di Rubens da fiammingo ad italiano, e il suo mondo si tramutò in quello di un linguaggio universale con cui parlò a tutte le corti d’Europa. Attraverso questa immersione nella pittura italiana vista con gli occhi di Rubens, il suo personale manuale di storia dell’arte, è evidente che l’annosa domanda se Rubens sia da considerarsi fiammingo o italiano, è ormai superata. Rubens è l’uomo nuovo universale, che oltrepassa i confini religiosi, geografici e politici, per inventare un nuovo linguaggio che è, a tutti gli effetti, internazionale. Una lingua figurativa europea, la prima della Storia dell’arte.

PALAZZO TE 

Palazzo Te è uno straordinario esempio di villa rinascimentale, anticamente situato su un’isola, posta al centro del quarto lago di Mantova, prosciugato nel Settecento. L’intero complesso, decorato tra il 1525 e il 1535, fu ideato e realizzato da Giulio Romano (1499 – 1546) per Federico II Gonzaga (1500 – 1540) come luogo destinato all’otium del principe e ai fastosi ricevimenti. Sin dall’origine il palazzo si apriva, attraverso ampie logge, su vasti giardini destinati a rendere gradevole il soggiorno in un edificio pensato ad imitazione delle antiche ville romane. La struttura architettonica delle facciate esterne è caratterizzata dalla lavorazione a bugnato e dalla presenza dell’ordine gigante di paraste lisce doriche che ne scandiscono il ritmo. All’interno il palazzo appare organizzato attorno ad un grande cortile quadrato chiuso sui quattro lati da paramenti murari a bugnato liscio scanditi dall’ordine unico di semicolonne doriche che sorreggono una trabeazione classica a metope e triglifi.

Sebbene anche esternamente si conservino tracce di zone affrescate, è soprattutto negli interni che si possono ammirare la preziosa decorazione ad affresco e i raffinatissimi stucchi. L’intera decorazione degli ambienti fu realizzata su progetto di Giulio Romano, che ideò non solo la struttura architettonica dell’edificio, ma anche gli splendidi cicli decorativi ad affresco, i camini, i soffitti, i pavimenti di tutti gli ambienti, curandone ogni dettaglio, per poi affidarne l’esecuzione a una serie di qualificati collaboratori. Un’iscrizione nella Camera di Amore e Psiche dichiara apertamente il motivo per cui la villa è stata realizzata: il tempo libero, il divertimento e l’onesto ozio del principe. Ospiti illustri vennero accolti, come l’imperatore Carlo V, che fece visita nel 1530 e nel 1532, ed il re di Francia Enrico III nel 1574. Il palazzo, terminato nel 1535, subì un secolo dopo l’occupazione dei lanzichenecchi che misero a sacco la città di Mantova. Sulle pareti affrescate della camera dei Giganti si leggono, tra le altre, le loro firme, datate 1631.

Le sale del pianterreno, destinate ad accogliere gli appartamenti di Federico II Gonzaga e dei suoi ospiti, conservano ancora oggi, quasi integralmente, le preziose decorazioni ad affresco e a stucco cinquecentesche. Veri capolavori dell’arte manierista sono in particolare la Camera di Amore e Psiche e la Camera dei Giganti. Nelle sale del piano superiore, in origine luoghi di deposito e di servizio, sono esposte al pubblico due preziose collezioni, legate alla città e al suo territorio: la raccolta Gonzaghesca di coni, monete, sigilli, medaglie, pesi e misure e la collezione Mondadori composta da diciannove dipinti di Federico Zandomeneghi e tredici di Armando Spadini.

Pieter Paul Rubens, La famiglia Gonzaga in adorazione della Trinità, Palazzo Ducale di Mantova © Palazzo Ducale di Mantova, Ministero della Cultura

PER UN’EUROPA DELLA CULTURA

Una riflessione scientifica, storica e filosofica sul senso “culturale” dell’Europa. Un progetto di Fondazione Palazzo Te e Blest – Università Bocconi, nell’ambito della Scuola di Palazzo Te 2023 e della stagione espositiva 2023 di Palazzo Te Mantova: l’Europa delle città. Ciclo di conferenze online tra scienziati politici, giuristi, storici e storici dell’arte per la proposta di una dichiarazione sintetica sull’Europa culturale e le politiche culturali nel prossimo futuro. I dialoghi saranno successivamente presentati come documenti visivi e podcast e offriranno la base per la proposta di una dichiarazione sintetica sull’Europa culturale e le politiche culturali nel prossimo futuro.

PROGRAMMA 

6 giugno 2023 | ore 17.30, Mr. Europe. Rubens e le radici della modernità europea, MAURIZIO FERRERA, Università di Milano, discussant RAFFAELLA MORSELLI, Università di Teramo

Venticinque anni fa la rivista The New Yorker dedicò un servizio a Rubens, definendolo Mr. Europe. Il suo dipinto sulle conseguenze della guerra raffigurò le condizioni dell’Europa all’apogeo delle guerre di religione. Era la sconfitta di quell’umanesimo universalistico che aveva ispirato l’azione del Rubens politico, mediatore di pace. Un sistema di valori che aveva promosso la fioritura (commerciale e culturale) di quella “city belt” fra Italia e Fiandre che era stata il contesto dell’attività di Rubens stesso. Eppure furono proprio dagli orrori della Guerra dei Trent’anni a generare i semi di un nuovo progetto di convivenza civile basato sulla tolleranza e sulla libera espressione delle idee. Raffigurata come donna con le vesti stracciate e le braccia verso il cielo, l’Europa del quadro di Rubens ritroverà in quel progetto la sua anima e vocazione. E tre secoli dopo i sei paesi attraversati dalla city belt daranno a quel progetto una nuova espressione istituzionale, l’Unione europea.

13 giugno 2023 | ore 17.30, Sul tempo: le narrazioni fondanti della Comunità europea**, CATHERINE DE VRIES, Università Bocconi, discussant FRANCESCA CAPPELLETTI, Galleria Borghese di Roma

Affinché il progetto europeo possa affrontare le sfide attuali, come il cambiamento climatico, l’instabilità economica, la polarizzazione politica o la crisi dello Stato di diritto, gli europei devono confrontarsi con il loro passato. Nel talk si analizzeranno le diverse narrazioni fondative dell’Unione Europea e verrà delineato come queste continuino oggi a plasmare la politica europea. La storia non è solo la ricordanza degli eventi, ma rappresenta le connessioni che l’opinione pubblica e le élite desiderano stabilire. Per sviluppare soluzioni politiche alle questioni transfrontaliere, i cittadini europei di oggi devono quindi rivedere criticamente le connessioni del passato e scoprirne i punti ciechi. Se gli europei riesaminassero le narrazioni fondanti dell’Unione Europea, potrebbero anche capire cosa in essa dovrebbe cambiare.

Pieter Paul Rubens, Martirio di sant’Orsola e delle sue compagne, Palazzo Ducale di Mantova © Palazzo Ducale di Mantova, Ministero della Cultura

20 giugno 2023 | ore 17.30, Europa: uno “state of mind” al di là delle culture e delle identità**RIVA KASTORYANO, Science Politique, Harvard, discussant STEFANO BAIA CURIONI, Fondazione Palazzo Te

Che cos’è l’Europa? Uno spazio geografico o una civiltà? Un progetto economico o politico? Una nuova realtà storica o un pensiero filosofico? Queste domande e molte altre accompagnano la nostra comprensione dell’Europa e del suo potere trasformativo sulle identità – diverse e multiple – che si sono consolidate all’interno dei singoli stati-nazione. Stati e società impegnati nella formazione di uno state of mind europeo cercano di esprimere la loro “volontà di vivere insieme” (Renan sulla definizione di cittadinanza). Gli storici cercano di trovare un passato comune giustificato dalla condivisione di una storia di civilizzazione, un percorso comune di modernizzazione politica e di sviluppo economico. L’obiettivo è trasmettere un’identità europea alle nuove generazioni considerando il ruolo che la storia ha nella definizione del futuro delle nazioni e di una nuova identità che ha confini da definire. Come ha sottolineato Edgar Morin, sociologo e filosofo francese: “L’Europa – chiamata la nostra comunità di fede – non emerge dal passato, che la contraddice. Emerge a fatica dal presente perché è imposta dal futuro”. Il passato si riferisce alle identità che sono state costruite con il processo di costruzione delle nazioni. Da qui i dibattiti sull’effetto dell’Unione sulle identità nazionali, regionali, linguistiche e religiose e, naturalmente, su un’identità europea che le comprenda tutte. Il tema che si vuole esplorare è come articolare l’appartenenza molteplice e complessa di individui, gruppi e popoli in modo da formare un’identificazione comune che sia europea, piuttosto che come creare una nuova identificazione che veda l’Europa come nuovo spazio di mobilitazione e rivendicazione. L’Europa è de facto un luogo plurale dove si impongono tutte le culture nazionali. Uno state of mind europeo richiede un nuovo modello di società, naturalmente plurale e basato su principi definiti rispetto a nuove articolazioni, al fine di creare una cultura comune al di là delle nazioni e degli Stati.

27 giugno 2023 | ore 17.30, “In difference we trust”. I fondamenti interculturali del diritto europeo, DAMIANO CANALE, Università Bocconi discussant CRISTINA LOGLIO, Europa Nostra

Uno dei tratti distintivi della cultura europea è il suo carattere “polemico”. Dagli albori della filosofia greca fino a giungere ai nostri giorni, il proprium dello sguardo europeo sul mondo è rappresentato dal confronto dialettico tra istanze diverse, dal cui reciproco riconoscimento dipende la loro aspirazione all’universale. Questo vale non solo nel campo della filosofia, dell’arte e della religione, ma anche in quello della politica e del diritto. La dimensione eminentemente dialettica e plurale della cultura europea fa da sfondo, infatti, anche al progetto di uno spazio comune Europeo nato nel secondo dopoguerra, la cui sfida è ancor oggi quella di armonizzare istanze politiche e giuridiche diverse in continuo confronto dialettico tra loro. Il mio intervento si propone di mostrare in che modo il carattere “polemico” della cultura europea ha trovato forma nel diritto dell’Unione Europea, e a quali condizioni quest’ultimo può rimanere fedele alla sua missione di fronte alle sfide del presente.

4 luglio 2023 | ore 17.30 Diritto e Cultura in Europa** LORENZO CASINI, IMT Lucca, discussant STEPHAN SIMON, Rathgen – Forschungslabor, Staatliche Museen zu Berlin – PreuiBcher Kulturbesitz

Dal punto di vista giuridico, il patrimonio culturale può rispecchiare diversi significati. Per ognuno di essi, l’Europa rappresenta un importante fattore di trasformazione. In che modo l’Europa ha influenzato l’evoluzione del patrimonio culturale e la sua regolamentazione? Quali sono le sfide future per un’autentica cultura europea?

Pieter Paul Rubens, Alabardiere, Palazzo Ducale di Mantova © Palazzo Ducale di Mantova, Ministero della Cultura

Rubens. La Pala della Santissima Trinità, 7 ottobre 2023 – 7 gennaio 2024; Palazzo Ducale di Mantova, Appartamento Ducale

Rubens arrivò a Mantova nel 1600 al servizio del duca Vincenzo I Gonzaga. Durante il suo soggiorno cercò ogni occasione possibile per spostarsi, per studiare l’arte italiana, conoscere  artisti  e committenti e lavorare ben oltre i confini della clientela gonzaghesca. Il capolavoro mantovano di Rubens, nonché la sua opera più impegnativa, fu il trittico di dipinti per la chiesa della Santissima Trinità, fortemente voluta dai Gonzaga. Al centro del presbiterio era collocata la grande tela raffigurante la Famiglia Gonzaga in adorazione della Santissima Trinità, affiancata sulla parete di sinistra dal Battesimo di Cristo e sulla destra dalla Trasfigurazione. Al tempo delle soppressioni ecclesiastiche in epoca napoleonica, due delle tre tele furono subito rimosse. Nel 1797 i francesi, appena entrati in città, portarono via la Trasfigurazione, che raggiunse Parigi e fu quindi destinata a Nancy, dove si trova ancora oggi (Musée des Beaux-Arts, inv. 71). Nel 1801, dopo la parentesi di dominio austriaco (1799-1801), la città fu nuovamente occupata dalle  truppe napoleoniche e il Battesimo di Cristo fu rubato “da un laureato francese”: il dipinto è ora ad Anversa, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten (inv. 707).

La pala centrale rimase dunque a Mantova, nonostante un tentativo di furto e il taglio in due larghe fasce orizzontali, salvate insieme ad alcuni frammenti. Il dipinto è una grande celebrazione dinastica della famiglia Gonzaga. Come sempre accade nel lavoro di Rubens, infinite idee e suggestioni vengono rielaborate in un linguaggio autonomo di straordinaria modernità. Ogni dettaglio della sua opera prende nuova vita e assume un significato diverso, rivitalizzato e integrato in una nuova forma, in un modo di dipingere che è allo stesso tempo la sintesi delle tendenze dell’arte italiana tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, ma anche qualcosa di assolutamente nuovo: il seme dello stile barocco. Quando arrivò a Mantova (1600) Rubens era un giovane artista molto promettente; quando lasciò l’Italia (1609) era un maestro affermato e sarebbe presto diventato una stella del barocco europeo.

Il progetto espositivo che Palazzo Ducale di Mantova presenta per “Rubens. La nascita di una pittura europea” è un nuovo allestimento dell’intero Appartamento Ducale, voluto da Vincenzo I e realizzato dall’allora prefetto delle fabbriche gonzaghesche Antonio Maria Viani. Qui sono esposte opere della collezione permanente del museo che spaziano dal tardo Cinquecento al Seicento inoltrato: gli ambienti saranno valorizzati da un nuovo allestimento museografico e illuminotecnico. Punto focale di questo rinnovato percorso sarà la Sala degli Arcieri, dove è esposta la Pala della Santissima Trinità, la cui vicenda verrà raccontata attraverso un’innovativa ricostruzione tridimensionale della chiesa della Santissima Trinità, oggi non più accessibile al pubblico, dove sarà fruibile una restituzione dell’assetto originario della composizione con le tre grandi tele. Un allestimento permanente che si pone come momento imprescindibile per la comprensione della fase mantovana del grande maestro della pittura barocca. Straordinaria testimonianza della storia di Mantova, del Rinascimento italiano e dell’arte europea tra Medioevo e Barocco, Palazzo Ducale si colloca tra i più prestigiosi beni culturali del sito UNESCO di “Mantova e Sabbioneta”. Definito come città-palazzo in virtù della sua articolata configurazione spaziale, Palazzo Ducale è un vasto palinsesto architettonico che occupa una superficie di circa

RUBENS
Pieter Paul Rubens, Study of the Torso Belvedere, Purchase, 2001 Benefit Fund, 2002 © Galleria Borghese

35.000 mq con oltre 1.000 ambienti. Il complesso trae origine dalla progressiva aggregazione di una serie di corpi di fabbrica autonomi, che trovano forma organica nel corso del XVI secolo. Gli estremi temporali più significativi della sua edificazione vanno dalla fine del Duecento, con il nucleo costruito dalla famiglia Bonacolsi, fino agli interventi asburgici nel corso del Settecento. La storia dell’edificio coincide in buona misura con la fortuna della famiglia Gonzaga, che ne fece la propria residenza dal 1328 al 1707. Tra i capolavori custoditi tra le sue mura si possono citare il ciclo di affreschi tardo gotici eseguiti da Pisanello all’inizio del Quattrocento, la Camera Picta di Andrea Mantegna, sintesi dei principi del Rinascimento, e i dipinti barocchi di Pieter Paul Rubens. Oggi come in passato, in virtù del suo prestigio, Palazzo Ducale costituisce un formidabile collettore di opere ed eventi culturali, con mostre che spaziano dall’arte antica alla contemporaneità.

Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma, a cura di Francesca Cappelletti e Lucia Simonato, 14 novembre 2023 – 18 febbraio 2024; Galleria Borghese, Roma

Nel corso del Seicento Pieter Paul Rubens venne considerato dai suoi contemporanei, compreso l’erudito francese Claude Fabri de Peiresc e alcuni altri letterati pilastri della République de Lettres, uno dei più grandi conoscitori di antichità romane. Il passaggio romano e la contrastata commissione per la chiesa della Vallicella, oltre al suo ruolo nella rete di pittori e intellettuali stranieri vicini ai Lincei di Federico Cesi, hanno ricevuto una grande attenzione da parte degli studiosi.

Nulla sembra sfuggire alla sua capacità di osservazione e al suo desiderio di imparare e di interpretare gli antichi maestri: i suoi disegni rendono le opere che studia vibranti, aggiungono movimento e sentimento ai gesti e alle espressioni dei personaggi. Rubens mette in atto nelle storie lo stesso processo di vivificazione del soggetto che utilizza nel ritratto: i membri della famiglia Gonzaga escono ravvivati dal suo pennello mentre i loro sguardi si dirigono verso lo spettatore, ma la stessa cosa succede con i marmi e i rilievi e con gli esempi celebri della pittura rinascimentale. A Roma, con le vestigia del mondo antico, accade la stessa cosa: Rubens disegna, a sanguigna, quindi con un carboncino rosso che gli restituisce il colore, la famosa statua dello Spinario. Il foglio, che riprende la posa da due punti di vista diversi, sembra davvero eseguito da un modello vivente, invece che da una statua, tanto da far immaginare ad alcuni studiosi che il pittore abbia utilizzato un ragazzo atteggiato nello stesso modo della statua. Questo processo di animazione dell’antico, per quanto eseguito nel primo decennio del secolo, sembra anticipare le mosse degli artisti che, nei decenni successivi al suo passaggio romano, verranno definiti barocchi.

RUBENS
Pieter Paul Rubens, Susanna e i Vecchioni, olio su tela, 1606-1607 ca, Galleria Borghese, Roma © Galleria Borghese, Ph. M. Coen

Come le intuizioni formali e iconografiche di Rubens filtrino nel ricco e variegato mondo romano degli anni Venti è un problema che non è stato ancora affrontato in modo sistematico dagli studi. La presenza in città di pittori e scultori che avevano avuto modo di formarsi con lui ad Anversa (come Van Dyck e Georg Petel) o che già erano entrati in contatto con le sue opere nel corso della loro formazione (come Duquesnoy e Sandrart) garantì di certo l’accessibilità dei suoi modelli a una generazione di artisti italiani, i quali, non meno del fiammingo, si erano ormai abituati a confrontarsi con l’Antico alla luce dei contemporanei esempi pittorici e sulla base di un rinnovato studio della Natura. Tra tutti, Bernini: i suoi gruppi borghesiani, realizzati negli anni Venti, rileggono celebri statue antiche (l’Apollo del Belvedere) per donare loro movimento e traducono in carne il marmo, come avviene nel Ratto di Proserpina.

In mostra si potrà dunque misurare quanto questi capolavori siano in debito con il naturalismo rubensiano, così come lo furono di certo altre sculture giovanili dell’artista, quali la Carità vaticana nella Tomba di Urbano VIII, già giudicata dai viaggiatori europei del tardo Settecento ‘una balia fiamminga’. In questo contesto figurativo, la tempestiva circolazione di stampe, tratte dalle prove grafiche rubensiane, accelerò per tutti gli anni Trenta il dialogo sollecitando operazioni editoriali come la Galleria Giustiniana, dove le statue antiche prendono ormai definitivamente vita secondo un effetto già definito ‘Pigmalione’ dalla critica. La mostra progettata per la Galleria Borghese, recuperando alcune di queste linee di ricerca, vuole sottolineare il contributo straordinario dato da Rubens a una nuova concezione dell’antico, dei concetti di naturale e di imitazione, alle soglie del Barocco, mettendo a fuoco in cosa consista la novità dirompente del suo stile nel primo decennio a Roma e come lo studio dei modelli potesse essere inteso come un’ulteriore possibilità di slancio verso un nuovo mondo delle immagini.

Per fare questo la mostra terrà conto non solo delle opere italiane che documentano lo studio appassionato e libero dagli esempi antichi, ma anche della capacità di rileggere gli esempi rinascimentali e di confrontarsi con i contemporanei, approfondendo aspetti e generi nuovi. La Galleria Borghese custodisce ed espone una collezione di sculture, bassorilievi e mosaici antichi, nonché dipinti e sculture dal XV al XIX secolo. Tra i capolavori della raccolta, il cui primo e più importante nucleo risale al collezionismo del cardinale Scipione (1579-1633), nipote di Papa Paolo V, ci sono opere di Caravaggio, Raffaello, Tiziano, Correggio, Antonello da Messina, Giovanni Bellini e le sculture di Gian Lorenzo Bernini e del Canova.

RUBENS
Pieter Paul Rubens, Susanna e i Vecchioni, olio su tela, 1606-1607 ca, Galleria Borghese, Roma © Galleria Borghese, Ph. M. Coen

La Villa Borghese, all’interno della quale è situata la Galleria, sorse all’inizio del sec. XVII intorno a un iniziale possedimento della famiglia, a cui furono progressivamente annessi altri terreni fino alla costituzione di un immenso parco. La rapida ascesa dei Borghese, di origine senese, nel contesto romano, culminò nell’elezione a pontefice di Camillo (1605-1621) che, col nome di Paolo V, avviò la grande stagione di interventi urbanistici e di straordinarie imprese collezionistiche grazie anche al nipote prediletto, protagonista assoluto di questo scenario, nonché della rappresentanza diplomatica e cerimoniale della corte pontificia: il cardinale Scipione Caffarelli Borghese. A partire dal 1770 la Villa fu sottoposta a un radicale rinnovamento dell’apparato decorativo, promosso da Marcantonio IV Borghese (1730-1800) e condotto sotto la direzione dell’architetto Antonio Asprucci. La Villa Pinciana divenne un modello di rinnovamento stilistico di portata europea, a ridosso del definitivo affermarsi del Neoclassicismo.

Nel nuovo allestimento Asprucci dispose i maggiori capolavori della scultura antica, oltre all’Apollo e Dafne di Bernini, secondo un nuovo criterio espositivo, ponendoli al centro di ogni sala e raccordando l’intero tema decorativo al nucleo iconografico del gruppo scultoreo. Nonostante la rimozione delle sculture archeologiche dell’antica collezione del cardinale Scipione – conseguente alla vendita imposta nel 1807 da Napoleone a Camillo Borghese (1775-1832) – e le successive integrazioni ottocentesche, ancora oggi, la magnificenza delle decorazioni e l’ordinamento espositivo rispecchiano i criteri dell’allestimento voluto da Antonio Asprucci. wikipedia.org